Violenza ostetrica, il me too raccoglie 100 mila firme: “Essere madri non significa dover soffrire per forza”

Il cliché secondo cui una madre debba necessariamente essere una martire e sacrificarsi per i propri figli si sta finalmente spegnendo e sta lasciando spazio ad una visione più sana e normale della figura materna.

Melissa Matiddi
Melissa Matiddi
Esperta in comunicazione e digital marketing, studia lo yoga e le discipline orientali. Ama creare, leggere e viaggiare. Silenziosa ma rumorosa, è sempre pronta a varcare nuovi orizzonti.
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La violenza ostetrica è costituita da abuso verbale e fisico, umiliazione, mancanza di sensibilità e riservatezza, aggressioni verbali e manovre mediche utilizzate senza consenso. Questi sono solo alcuni dei trattamenti riservati alle donne che stanno per partorire o hanno partorito.

Dopo il caso del neonato morto all’ospedale Sandro Pertini di Roma, il fenomeno si è nuovamente acceso, portando questa volta a galla le testimonianze, la solidarietà di chi ha subito certi comportamenti e la consapevolezza che essere madri non significa essere martiri.

Il concetto di violenza ostetrica non è molto conosciuto in Italia, è infatti difficilmente individuabile a causa dello stigma sociale legato al parto e alla figura della donna più in generale.

La violenza ostetrica attiva la solidarietà tra mamme e smonta il cliché sul parto

Se da un lato il fenomeno della violenza ostetrica ha attivato catene di solidarietà tra mamme che hanno subito il medesimo comportamento da parte degli operatori sanitari, dall’altro ha smontato il cliché comune sul parto e sulla figura della mamma che può superare tutto perché è mamma.

Partorire non significa necessariamente dover soffrire. Essere una madre non vuol dire non poter mai ammettere di essere stanca. Essere una donna non corrisponde a mettersi in secondo piano rispetto ai figli.

Tutte queste distorsioni di pensiero, tramandate dalle generazioni più anziane, non hanno fatto altro che sporcare la nostra visione delle mamme e del parto a tal punto che quando una mamma chiede aiuto per essere stanca o semplicemente perché ha bisogno di sostegno, noi la umiliamo, la deridiamo e la etichettiamo come una cattiva madre.

Per fortuna, la valanga di solidarietà, nata nell’ultima settimana dopo la tragica notizia data dal Pertini a Roma, ha innescato un nuovo filone di pensiero che vede tutte le donne come persone e non come esseri invulnerabili a cui il riposo viene negato.

Partorire non è una passeggiata, eppure quello che pretendiamo dalle nostre madri è proprio soffrire in silenzio, non ammettere mai che hanno bisogno di riposo e soprattutto di cure.

Per fortuna, nel 2023 si comincia a percepire aria di evoluzione e di normalità. Una donna che ha appena dato alla luce un bambino non può e non deve essere lasciata da sola in un momento così vulnerabile.

Leggi anche: Paola Turani e la fatica di crescere un figlio. Perché una madre non può mai essere stanca?

Violenza ostetrica: che cos’è

Save the Children definisce il fenomeno della violenza ostetrica come “un insieme di comportamenti che hanno a che fare con la salute riproduttiva e sessuale delle donne, come l’eccesso di interventi medici, la prestazione di cure e farmaci senza consenso o la mancanza di rispetto del corpo femminile e per la libertà di scelta su di esso”.

Costituisce quindi la violazione dei diritti sessuali e riproduttivi, mettendo a rischio l’integrità fisica e mentale di una donna.

Nel 2007 venne definita per la prima volta in ambito giuridico nella Ley Orgánica sobre el Derecho de las Mujeres a una Vida Libre de Violencia del Venezuela come “appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi della donna da parte del personale sanitario, che si esprime in un trattamento disumano”.

Si può definire come una serie di abusi verbali e fisici commessi durante il parto nei confronti di una persona che si trova in un momento di alta vulnerabilità, stanchezza e stress.

L’Oms, nel 2014, ha pubblicato un documento, La prevenzione ed eliminazione dell’abuso e della mancanza di rispetto durante l’assistenza al parto presso le strutture ospedaliere, in cui ha elencato una serie di condotte definite traumatiche come umiliazione, pratiche mediche coercitive, abusi verbali e fisici, mancanza di riservatezza, rifiuto di offrire terapie contro il dolore, violazione della privacy e trascuratezza nell’assistenza.

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Violenza ostetrica: come riconoscerla

Di solito quando si parla di violenza ostetrica ci si scontra con diverse realtà e percezioni. Il fenomeno degli abusi è spesso giustificato da quella che viene chiamata, violenza morbida, una sorta di umiliazione congiunta ad abusi di vario tipo che si pensa possa essere utile alle donne in fase di travaglio e post-parto, per stimolarle, renderle audaci e per normalizzare il dolore nei loro confronti.

Questa definizione tutela e protegge così tanto chi la commette che la maggior parte delle donne non sanno di aver subito questo tipo di abusi. Gli atteggiamenti di chi commette violenza ostetrica sono in molti casi standardizzati, cuciti addosso alle professioni sanitarie e nutriti dalla convinzione che sia normare soffrire ed essere lasciate da sole. Le manifestazioni più comuni di alcune forme di violenza si possono classificare in:

  • Mancanza di informazioni: capita molto spesso che il personale sanitario ometta informazioni utili al momento del parto. Ogni mamma ha diritto di chiedere e conoscere cosa le verrà fatto.
  • Umiliazione: molte donne si sono sentite umiliate e denigrate per aver esternato le proprie sensazioni. Frasi come: “Non urlare, smettila di lamentarti, non fa così male”, sono tutte manifestazioni di violenza
  • Procedure mediche coercitive: l’esecuzione di pratiche non necessarie è la più diffusa forma di abuso all’interno dei reparti di Ginecologia e Ostetricia
  • Abbandono: molte mamme vengono lasciate completamente da sole dopo il parto. Non ricevono supporto e risposte in un momento di estrema fragilità
  • Assenza di consenso: non sempre ogni donna che sta per partorire riesce a dare la sua autorizzazione per ricevere farmaci o qualsiasi manovra medica

Leggi anche: I sintomi della depressione post partum

Petizione online contro il fenomeno della violenza ostetrica

L’Associazione no profit nata nel 2017, Mama Chat, ha lanciato la petizione online per supportare le mamme, vittime di violenza ostetrica.

Lo scopo dell’iniziativa è garantire negli ospedali la presenza fissa di di un partner o un accompagnatore durante tutto il parto e la degenza ospedaliera.

Nelle prime ore di lancio, sono state raggiunte le 35 mila firme. La Ceo di Mama Chat, Margherita Fioruzzi, ha raccontato a Donna Moderna:

Questa valanga di sostegno alla nostra iniziativa da parte di mamme e papà da ogni parte d’Italia scoperchia un vaso di Pandora: le donne italiane sono stanche di essere lasciate sole in momenti così delicati per la propria vita e per quella del proprio bambino e i papà stanchi di guardare le loro compagne soffrire.

Durante la campagna sono arrivate tantissime testimonianze da parte di chi ha subito abusi fisici e verbali nel momento del parto e del post-gravidanza. Tutte le storie denunciano il vuoto e il senso di abbandono provato dalle mamme a cui viene impedito di riposarsi.

Le conseguenze maggiori della violenza ostetrica sono il rischio di depressione post-partum e disturbi come lo stress traumatico post-partum. Il parto viene vissuto come un evento negativo e pericoloso che rende difficile il rapporto madre-figlio.

Leggi anche: 6 cose che solo chi soffre di depressione può capire

Violenza ostetrica: com’è la situazione in Italia

Secondo i dati pubblicati dall’Osservatorio sulla violenza Ostetrica Italia e condotta dalla Doxa su un campione di cinque milioni di donne italiane, tra i 18 e i 54 anni, con almeno un figlio di 0-14 anni, una mamma su 5 dice di aver subito violenza ostetrica.

Il 41% ha dichiarato di aver subito pratiche lesive per la propria dignità psicofisica.

I risultati di un’altra indagine, svolta dall’Istituto Burlo Garofalo di Trieste su 4824 donne che hanno partorito da marzo 2020 a febbraio 2021, ha evidenziato che su 3.981 persone che hanno partorito, il 78,4% non ha potuto essere assistito dal partner e il 24,8% non si è sentito trattato con rispetto e dignità dal personale sanitario.

Leggi anche: Victim Blaming: cos’è e come riconoscerlo

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