Recovery Fund, tutto quello che c’è da sapere

Domenico Di Sarno
Domenico Di Sarno
Informatico e politologo laureato con Lode. amante dei libri di ogni genere perché fortemente convinto che la cultura sia come il cibo, ne serve ogni giorno per nutrire la mente. Appassionato di storia e diritto costituzionale.
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Il 23 aprile 2020 dopo numerose peripezie il Consiglio europeo è giunto finalmente, anche se non in via definitiva e tuttora non completamente chiara, a una sintesi che per rilanciare l’economia europea prevede il cosiddetto Recovery Fund. Sostanzialmente per quanto riguarda la traduzione letteraria dall’inglese si tratta di un fondo di recupero che avrebbe lo scopo, ricalcando quella che era stata l’iniziativa proposta della presidente della commissione europea Ursula Von Der Leyen, di emettere dei titoli di debito comuni in modo da avere una condivisione del debito futuro e conseguentemente una affidabilità di questi titoli.

La proposta e gli aggiustamenti

La proposta era stata prima avanzata e poi ritirata, salvo poi riproporla dopo l’indignazione del governo italiano. Ci eravamo già occupati di questo prima del Consiglio Europeo del 23 aprile tuttavia, i recenti sviluppi rendono opportune nuove considerazioni. Quello che era accaduto aveva visto la contrapposizione tra i cosiddetti paesi del nord quali tra gli altri l’Olanda, l’Austria e la Germania, ma anche paesi scandinavi, ai cosiddetti paesi del Sud tra i quali la Francia, il Portogallo, la Spagna e soprattutto l’Italia che aveva fatto del Recovery Fund una necessità espressa addirittura dal Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, nel suo intervento in Parlamento. Leggi anche: Conte: “Dal 4 Maggio più di 2,7 milioni di persone torneranno a lavoro”

Italia e Germania, i due Parlamenti si fronteggiano, poi “Effetto Macron”

In opposizione, se pure non diretta, a quanto dichiarato dal Presidente del Consiglio Conte, era intervenuta la cancelliera tedesca Angela Merkel, in un riferimento fatto davanti al Bundestag, il Parlamento tedesco. La cancelliera sosteneva che vi erano possibilità diverse sul tavolo, ossia una serie di opzioni che non prevedevano necessariamente l’emissione dei cosiddetti Eurobond in quanto, l’emissione degli stessi, avrebbe comportato la necessaria modifica dei trattati. A mediare tra le soluzioni ci ha pensato la proposta, accompagnata dal peso politico transalpino, del presidente francese Emmanuel Macron, il quale ha ipotizzato la presenza di Recovery Bond che sostengono il Recovery Fund basata su dei titoli che vanno a condividere i rischi di un debito futuro e non ad assimilare quelli che sono già stati accumulati in passato.

I titoli garantiti dall’Europa condividono il debito futuro non quello preesistente

Si tratterebbe quindi di emettere dei titoli di Stato che sarebbero garantiti non da un singolo stato membro ma dalla Commissione Europea. La differenza con quanto ipotizzato all’inizio, e soprattutto a caldo, dalla presidente Von Der Leyen, è proprio questa. In questo caso, vale a dire con i Recovery Bond, la condivisione del debito riguarderebbe solo l’emissione di titoli futuri mentre l’Euronond o Coronabond, com’era stato all’inizio definito, andava a ipotizzare la condivisione di tutti i debiti, anche quelli pregressi. Secondo moltissime fonti la presidente della commissione europea starebbe per presentare il prossimo 6 maggio una proposta per poter raccogliere una liquidità prossima ai 1000 miliardi di euro che andrebbero ad aggiungersi al meccanismo europeo di stabilità, il cosiddetto MES tanto osteggiato dall’Italia. Leggi anche: Premier Conte: “La Fase 2, un intervento economico di 50 miliardi”

A cosa servono i soldi del Mes?

Va aggiunta una considerazione a proposito del meccanismo europeo di stabilità che riguarda la possibilità di applicarlo senza condizioni anche se, al momento non è ancora chiaro se le spese senza condizioni riguarderanno esclusivamente la sanità o potranno servire anche per il rilancio dell’economia. L’indicazione riportata da vari organi di stampa specifica che dovrebbero essere fondi dedicati esclusivamente a spese dirette dovute al coronavirus. Fatto sta che il governo italiano al momento, per bocca del presidente Conte e del ministro Gualtieri, ha annunciato di non avere intenzione di richiederne l’attivazione.

Alternative come la SURE?

Se l’Italia dovesse attivare il meccanismo europeo di stabilità potrebbe richiedere un importo che non dovrebbe accedere il 2% del PIL e cioè al massimo 36 o 38 miliardi di euro. Il Presidente del Consiglio Conte, ha poi specificato che i ministri dell’economia dell’eurogruppo hanno concordato circa l’attivazione di un altro strumento molto importante ossia il sostegno per mitigare i rischi di emergenza degli impieghi. In altre parole si tratta del cosiddetto SURE che prevede di utilizzare delle risorse di circa 100 miliardi di euro e di emettere dei Bond che hanno un Rating, secondo Moody’s, di Tripla A e che quindi sarebbero giudicati dai mercati con un alto grado di affidabilità e collocabili sul mercato con un basso tasso di interesse a lungo termine. Leggi anche: Conte: “Il 4 maggio l’Italia riparte ma con piano differenziato per territori”

Altri strumenti, la BEI

Un altro strumento è poi la Banca europea degli Investimenti dalla quale dovrebbero arrivare circa 25 miliardi di euro. Tale strumento suscita tuttavia la perplessità di molti analisti finanziari. Dopo una prima gaffe, non sappiamo quanto volontaria, da parte della presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde, si è avuta l’espressa intenzione di quest’ultima a collaborare a un rilancio. Secondo molti analisti e molti membri della commissione, tra i quali anche il commissario agli affari economici, l’italiano Paolo Gentiloni, questa inversione di tendenza avrebbe la sua ratio nella volontà dell’Europa di esprimere una risposta comune alle emergenze coronavirus. D’altro canto l’Europa è stata definita “della solidarietà”.

La Germania ha bisogno di più dell’Italia

Nella pratica il Corriere della Sera riporta la notizia riguardante il colloquio tra Ursula Von Der Leyen e Angela Merkel che secondo indiscrezioni avrebbe il proprio fulcro nel fatto che il paese che più necessità di sostegno al momento non è l’Italia ma la Germania. Intanto una donna francese, la già citata Lagarde, proseguendo la politica del suo predecessore Mario Draghi, ha annunciato che ci saranno degli acquisti di titoli di stato da parte della banca centrale per un valore di 750 miliardi di euro, questo al fine di contenere la differenza di rendimento tra i titoli di Stato e quindi di garantire i fondamentali dell’economia. Infine va spesa qualche parola su quella che potrebbe essere il recupero della cosiddetta sovranità monetaria. Leggi anche: Conte: “Non possiamo aspettare che il virus scompaia, dobbiamo conviverci”

L’Euro è ancora “irreversibile”?

Bisogna dire che in Europa, fino a qualche tempo fa l’euro era considerato come un progetto irreversibile o meglio, il recesso dall’euro era considerata una opzione non realistica. È vero che le banche centrali possono emettere una loro quantità di moneta ed è altrettanto vero che la strategia seguita dalla BCE per gran parte della sua esistenza, nel rispetto degli accordi di Maastricht, aveva finito per spingere l’economia europea sull’orlo di una depressione finanziaria. Bisogna però tenere presente che l’Europa unita rappresenta circa il 15% dell’economia mondiale mentre i vari stati, separati, avrebbero delle quote molto inferiori e meno significative il che finirebbe per minare la fiducia dei mercati nei titoli di Stato emessi.

Revisione dei trattati si ma non con la “dottrina Merkel”

Varrebbe anche il discorso inverso ovviamente ossia quello per il quale l’Europa priva di un qualche stato che magari appartiene anche al G7, avrebbe un peso politico ed economico meno rilevante. La recente Brexit ha tolto una parte del potenziale politico all’organizzazione sovranazionale del vecchio continente. Quando la cancelliera Merkel ipotizza la necessità di una revisione dei trattati, in realtà lo fa per una opportunità politica e probabilmente di legittimazione legata al suo Parlamento e al suo elettorato federale ma di per sé, una revisione dei trattati sarebbe opportuna oltre che necessaria. Leggi anche: Premier Conte: “La storia chiama e non avverte quando arriva”

Possiamo usare un “bazooka” in Europa?

Negli Stati Uniti il presidente Trump ha avuto la possibilità di utilizzare il cosiddetto bazooka in quanto la Federal Reserve, la Banca Centrale Americana, è l’entità emittente del dollaro. In Europa, la Banca Centrale Europea è l’entità emittente dell’Euro ma la differenza sostanziale sta nel cosiddetto prestatore di ultima istanza. In altre parole nel momento in cui gli Stati Uniti emettono moneta il governo federale contrae un debito con la Banca Centrale. Il meccanismo europeo invece, anche alla luce degli ultimi interventi, quali meccanismo europeo di stabilità, sistema delle casse integrazioni europee, finanche all’emissione dei cosiddetti Recovery Bond, finisce per sottrarsi in tutto o in parte al ruolo di prestatore di ultima istanza.

Il giusto mezzo

Questo non necessariamente è un male ma nell’immediato rende l’economia americana sicuramente più reattiva rispetto a quella europea e permette al governo federale degli Stati Uniti di reagire con più dinamismo rispetto a quanto non possano fare i governi del vecchio continente. Da questo punto di vista una revisione sarebbe necessaria fermo restando che la politica del rigore, per quanto applicata a singhiozzi e solo in ottica parzializzata, effettivamente persegue lo scopo dichiarato delle banche centrali.

La liquefazione del Pil. Rivedere la globalizzazione

A oggi l’emissione di moneta sta di fatto liquefacendo il PIL mondiale che prima della crisi era liquefatto per il 30 o 40%. Con le iniezioni di liquidità attuali sta finendo per raggiungere, seppur lentamente, la liquefazione totale. Il Giappone ha già superato, come liquidità circolante, il 100% del PIL. Questo significa che la moneta circolante in Giappone supera il totale della ricchezza prodotta in un anno. Ovviamente questo va a scapito del valore della moneta e dell’affidabilità dei titoli di Stato. In questo caso si vedono quelli che sono i maggiori effetti collaterali della globalizzazione e della liberalizzazione dei capitali. il rilancio deve quindi passare attraverso la ragionevolezza e la leale collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti. Leggi anche: Vaccino Covid, Bill Gates pronto a finanziarlo in tutto il mondo   di Domenico Di Sarno

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