Mascolinità tossica: cos’è e in che modo ci condiziona tutti

Cosa definisce un vero uomo? Approfondiamo il concetto di mascolinità tossica: un insieme di comportamenti e atteggiamenti poco sani che la società si aspetta dagli uomini.

Marianna Chiuchiolo
Marianna Chiuchiolo
Giornalista con studi in Mediazione Linguistica, una formazione da teatrante e una generale tendenza a perdersi nei vicoli di una fervida immaginazione. Ama in egual misura la scienza e la poesia e si spende da tempo per la crociata della Mental Health Awareness come missione di vita.
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Mascolinità tossica: tutti ne parlano, ma pochi hanno capito di cosa si tratti. Per introdurre l’argomento, facciamo un gioco: di seguito elencheremo tre luoghi comuni lasciando a voi lettori il compito di decidere se essi corrispondano a verità oppure no.

  • Luogo comune numero uno: è l’uomo a dover provvedere alle necessità economiche della famiglia.
  • Luogo comune numero due: sentirsi realizzati e aver successo nel lavoro è più importante per gli uomini che per le donne.
  • Luogo comune numero tre: gli uomini sono meno adatti a occuparsi delle faccende domestiche rispetto alle donne.

Futili stereotipi di genere, verrebbe da dire, eppure tuttora condivisi da una larga fetta della popolazione. Queste affermazioni, infatti, sono parte di un’indagine ISTAT, svolta in collaborazione con il Ministero per le Pari Opportunità, pubblicata alla fine del 2019.

I risultati: a concordare con la prima affermazione era il 27,9% degli intervistati, il 32,5% si dichiarava d’accordo con la seconda e un notevole 31,5% concordava con la terza. Altro dato emerso dall’indagine è che le preferenze espresse in merito di ruoli di genere e stereotipi ad essi legati erano equamente ripartite tra uomini e donne, ed è qui che nasce il problema.

Cos’è la mascolinità tossica

Cosa succede quando i ruoli di genere percepiti dalla società – particolarmente una società in cambiamento e sempre più consapevole di quanto detti stereotipi siano scientificamente infondati – diventano così radicati da interferire con la percezione del sé e del proprio ruolo nel mondo? Succede, come accennato in apertura, che si creano delle ferite individuali e comunitarie la cui perpetrazione alimenta convinzioni malsane e giustifica comportamenti tossici.

Un esempio di cronaca su tutti è l’atroce omicidio di Willy Monteiro Duarte a opera dei fratelli Bianchi, colpevole di esserti esposto in difesa di un compagno contro questi ultimi.

Il concetto di mascolinità tossica è stato introdotto negli anni ‘80 dallo psicologo Shepherd Bliss che, in uno studio pubblicato sul Journal of School of Psychology, lo definiva come “l’insieme di tratti maschili socialmente regressiviche servono a favorire il dominio, la svalutazione delle donne, l’omofobia e la violenza insensata”.

Una vera e propria piaga sociale le cui vittime non sono soltanto donne, queer o persone LGBTQ, ma gli uomini stessi. Oltre a stabilire la dominanza del genere maschile, infatti, i dettami di questa cultura del maschio dominante stabiliscono anche i limiti comportamentali che definiscono se gli uomini possono o non possono essere considerati tali.

Caratteristiche della mascolinità tossica

La definizione di maschio tossico non è intrinsecamente legata al concetto di maschio etero cisgender – che di per sé è semplicemente un modo di essere come qualsiasi altro – ma a una serie di caratteristiche in assenza delle quali qualunque possessore di cromosoma Y può essere etichettato con l’appellativo di femminuccia, con buona pace di lotte sociali e battaglie per la consapevolezza.

Analizziamo nel dettaglio quali sono le caratteristiche principali della mascolinità tossica e in che modo essa intacca il benessere degli individui e dei gruppi sociali.

1. Forza e durezza

In tutti i sensi. La base di partenza del pregiudizio è che l’uomo deve essere forte, sempre e comunque e non solo fisicamente. Anzi, a dire il vero, è soprattutto a livello emotivo che un uomo dovrebbe mostrarsi saldo e glaciale. Quindi a una certa possanza fisica è necessario si accompagni uno stoico distacco dalle emozioni. Tutte tranne una: la rabbia, che è invece accettabile, poiché comportamenti aggressivi sono visti come segno di potenza e dominanza.

2. Rifiuto di tutto ciò che è percepito come femminile

Corolla della caratteristica fondante di cui sopra: la prima cosa da cui un uomo deve dissociarsi è il pianto e la capacità di esprimere emozioni, che sono visti come comportamenti tipici delle donne o delle femminucce di cui sopra.

Ad arricchire il quadro si aggiungono gli stereotipi di genere di cui si parlava in apertura: niente faccende domestiche – Un uomo che si prende cura della casa mentre la moglie è assente? Sacrilegio! – o cura dei bambini, per non parlare poi dell’onta di dover ammettere che si ha bisogno di aiuto per qualcosa, o addirittura arrivare a chiederlo.

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3. Potere

A conti fatti, il nocciolo della questione. Da un uomo ci si aspetta che abbia una posizione di dominio sotto diversi punti di vista. Un vero uomo deve essere attratto dallo status e tramite esso rinsaldare la sua posizione. Vale a livello sociale, fosse anche solo nel microcosmo del proprio nucleo familiare, ma anche economico. Anzi, probabilmente è proprio tramite il denaro che sottolineare la propria dominanza diventa più semplice. Va da sé che, per un maschio tossico, non c’è condizione più evirante di avere una compagna che guadagni più di lui, onta che legittima lo scherno da parte dei pari.

Tutti i preconcetti appena elencati sono il lascito di una società patriarcale e nutrono un ideale di maschio misogino e omofobo. Le conseguenze di una tale spirale di pregiudizi, alimentati attraverso i secoli, si riflettono, come detto in apertura, non solo sulle donne, ma anche sugli uomini stessi.

Mascolinità tossica: conseguenze per le donne

Relegate a ruoli di supporto, educate a non fare troppo rumore e non dare fastidio, una cultura svezzata a stereotipi e mascolinità tossica si aspetta che le donne siano capaci di sottostare ai criteri di durezza e potere che spettano alla controparte maschile.

Non è insolito, quindi, che in un contesto sociale del genere, le donne non siano incoraggiate a perseguire una carriera appagante, cosa che può avvenire in maniera sistemica – con evidenti disparità di opportunità e di salario e scarse tutele in caso di gravidanza – o in maniera più subdola, tramite sensi di colpa e ricatti morali.

Ma una tale separazione dei ruoli si riflette anche su diversi aspetti della vita sociale. Un esempio su tutti: vivere apertamente la propria sessualità è visto come un valore aggiunto per un uomo e come motivo di vergogna per una donna. Per fare un esempio nazionalpopolare, basti pensare al trito paradosso della chiave e della serratura che, ormai sarebbe il caso di dirlo, fa acqua da tutte le parti e non convince più nessuno.

Andando ancora più a fondo, sempre conseguenza di una concezione malsana del maschile è la tendenza a giustificare comportamenti abusanti, tossici e intrinsecamente violenti. Vale per la violenza fisica e psicologica – troppo spesso liquidata con un gli uomini sono fatti così, sono passionali! – derivante, tra le altre cose, dall’accettazione della sola rabbia come emozione maschile, ma anche per atti più subdoli come il catcalling, che costringe le donne attraenti a sentirsi violate e quelle che non rientrano in specifici canoni estetici a sentirsi invisibili.

Nei casi più gravi, poi, si arriva persino a incolpare le vittime di violenza.

A dimostrazione di quanto siano incancreniti certi preconcetti nella società attuale, è il fatto che spesso sono le donne stesse a farsi portavoce di talune convinzionimamme pancine, anyone? – e a supportare una società che le vorrebbe operose, silenziose e caste, e quasi sempre destinate a dipendere da un uomo.

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Mascolinità tossica: conseguenze per gli uomini

Ma attenzione: al di là di osservazioni antipatriarcali e lotte femministe, a subire le conseguenze di un’educazione a base di stereotipi e mascolinità malsana sono anche gli uomini stessi.

Vale per gli uomini LGBTQ, bersaglio di annose discriminazioni e insensate omotransfobie, ma non solo.

A pagare il prezzo di lezioni malsane sono anche insospettabili maschi etero cis con la ‘colpa’ di avere un’elevata sensibilità, di amare i bambini, di soffrire – dio non voglia – di disturbi mentali o altre malattie invisibili, di chiedere e accettare aiuto quando ne hanno bisogno. L’appellativo di femminuccia è per loro dietro l’angolo e, particolarmente negli anni dello sviluppo, pesa come un macigno sulla coscienza di ragazzi che finiscono col sentirsi sbagliati e col reprimere, non solo le proprie emozioni, ma anche la propria identità.

Dover nascondersi al mondo e a se stessi, convincersi che per essere accettati sia necessario cambiare può avere conseguenze devastanti: chiudersi alle emozioni e non chiedere mai aiuto per timore di bullismo o ingiurie può portare a stati ansiosi e depressivi o, nel peggiore dei casi, a ideazioni suicidarie.

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Come distinguere la mascolinità tossica da quella sana: esempi dalla cultura pop

I Cavalieri dello Zodiaco, al di là di determinazione e spirito di sacrificio

saint seiya mascolinità tossica

Nel periodo a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90, i Cavalieri dello Zodiaco era un cult di quelli che hanno segnato la generazione dei primi Millennials in un modo successivamente eguagliato soltanto dai Simpson e da Boris. L’anime ebbe il merito di insegnare ai ragazzi i valori della giustizia, della resistenza – nonché della resilienza, prima che questo diventasse uno dei termini più abusati nel linguaggio comune – e a non tirarsi indietro davanti alle sfide, per quanto sanguinosa potesse essere una battaglia.

Se non fosse che, alla luce di un’analisi più matura e meno nostalgica, anche nell’insospettabile saga dei Cavalieri red flag e comportamenti non esattamente salutari da parte dei giovani protagonisti erano tutt’altro che sottintesi.

Vale in particolare per uno dei cinque protagonisti: il Cavaliere di Andromeda che, nonostante fosse in grado di canalizzare il potere devastante di un’intera galassia, era considerato il più debole del gruppo poiché poco desideroso di far ricorso alla violenza e generalmente incline alla commozione e alla pietà. Complice anche una sfavillante armatura rosa,il pubblico sembrava dare per scontato che Andromeda fosse in qualche modo gay, effeminato o comunque molto in contatto con il suo lato femminile.

Nonostante si rendesse protagonista di imprese notevoli come tutti gli altri e avesse affrontato uno dei percorsi di iniziazione più duri, lo si ricorda soprattutto per il fatto di venir spesso salvato in extremis dal fratello maggiore Phoenix, che era invece la personificazione del maschio che non deve chiedere mai e che, per quanto mosso da un profondo affetto per il fratellino, non mancava di sottolineare quanto gli atteggiamenti di Andromeda fossero indice di debolezza.

Ora, toccare un mostro sacro come Saint Seiya è impresa destinata a raccogliere ben pochi consensi, ma lo scopo di questa digressione è far presente come, in passato, una cultura tossica del maschile fosse talmente radicata da portarci a insegnare ai bambini che piangere è da deboli e che la bontà d’animo sia in ogni caso peculiarità femminile. Che ci piaccia o no, la società in cui siamo cresciuti è più malsana di quanto vorremmo ammettere

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Twilight: come insegnare alle ragazze a dipendere dai propri uomini

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Lo stesso insegnamento arriva anche da prodotti usciti diversi decenni dopo e destinati a un pubblico femminile: la saga letteraria e cinematografica di Twilight.

Sottolineare come la saga sia esempio di ciò che un uomo non dovrebbe essere è un po’ come sparare sulla croce rossa, data la miriade di recensioni che opinionisti e psicoappassionati hanno già realizzato in proposito, ma l’opera della Meyer rimane un ottimo esempio di quanto la manipolazione del maschilismo tossica sia subdola. Così subdola da convincere una donna che avere un uomo ossessivo, limitante e aggressivo significhi essere amata.

Nell’intera saga non è presente una singola figura maschile – fatta eccezione per il padre della protagonista che, di fatto, è una figura di mentore e quindi spogliata di qualsivoglia attrattività – che non metta in atto comportamenti tossici nei confronti delle persone intorno, mentre le figure femminili esistono solo per prendersi cura dei propri partner o esserne oggetto di desiderio.

Vediamo quali sono gli insegnamenti della storia.

  • I due protagonisti maschili, Edward e Jake, non fanno che lottare tra loro – fisicamente e verbalmente – per l’amore di Bella, ma i sentimenti della ragazza non vengono mai presi in considerazione. Messaggio: non c’è cosa più lusinghiera che vedere due uomini ricorrere alla violenza per te, ma ciò che provi tu passa in secondo piano.
  • Jake, il pretendente ‘scartato’ dalla protagonista non accetta il suo no e non fa che imporsi sulla sua volontà poiché convinto di essere perfetto per lei. Messaggio: la volontà di un uomo deve sempre prevalere. Corollario: essere sconfitto in amore da un rivale ti rende meno uomo.
  • Edward, che diventerà il love interest principale della protagonista, mette in atto comportamenti di controllo nei suoi confronti: decide per lei dove andare e con chi andarci, le impedisce fisicamente di spostarsi se lui non vuole e la spia di continuo. Il tutto giustificato dal fatto che desidera proteggerla. Messaggio: un uomo che ti impedisce di vivere ma lo fa perché ci tiene a te è sempre giustificato.
  • Sempre Edward rifiuta di accordare a Bella ciò che lei desidera più di ogni cosa – essere vampirizzata – nonostante questo la renda una preda vulnerabile a ogni tipo di pericolo, ascoltando solo le proprie motivazioni. Messaggio: il tuo uomo sa sempre cosa è meglio per te.

Ciliegina sulla torta è l’identità stessa della protagonista, che esiste e vive solo in funzione della storia d’amore con Edward e non ha di suo alcun interesse, passione o amicizia sincera al di fuori della famiglia di lui.

Una visione così pesantemente sbilanciata è stata poi esacerbata dall’impresa della scrittrice di invertire i ruoli di genere nella storia, fallendo miseramente. Per difendersi dalle accuse di sessismo ricevute, infatti, la Meyer ha poi rimesso mano alla saga realizzando un ulteriore volume, dal titolo Life and Death, nel quale tutti i personaggi hanno i sessi invertiti.

Peccato, però, che abbia anche modificato passaggi fondamentali della storia rendendo, se possibile, la versione gender swapped persino più tossica dell’originale: il protagonista maschile è responsabile del benessere di ogni donna nella sua vita – inclusa la madre, che viene dipinta come totalmente incapace di badare a se stessa da sola – le donne sono tutte incasellate nel ruolo di sogno erotico in una taglia 40 e per i ragazzi è normale che se una donna dice no, in realtà vuol dire forse e, se dice forse, vuol dire sì.

Il Signore degli Anelli: puoi pestare a sangue un branco di orchi e comunque amare la poesia

mascolinità sana aragorn signore degli anelli

Un esempio, anzi più di uno, di mascolinità sana arriva direttamente dalla saga Premio Oscar ispirata all’opera di Tolkien: Il Signore degli Anelli, il che è per certi sorprendente se si considera il periodo storico in cui il materiale da cui sono tratti i film è stato scritto.

Spicca, infatti, tra i protagonisti la personalità di Aragorn figlio di Arathorn, che possiamo considerare un ottimo esempio di come la mascolinità possa esprimersi attraverso forza, status e potere e comunque imporsi in maniera funzionale.

Aragorn è indubbiamente un uomo forte, dalla profonda saggezza e dall’invidiabile carisma. Nel corso della storia lo vediamo sgominare, spesso in solitaria, qualsivoglia tipologia di nemico, sia esso un gruppo di nazgul – creature oscure e maledette – o un manipolo di orchi armati fino ai denti. La sua abilità di ranger gli permette di seguire una traccia per giorni e cavare deduzioni estremamente complesse da semplici solchi nel terreno. Lo vediamo resistere all’annegamento e convincere una schiera di fantasmi a combattere per lui. Come se ciò non bastasse, è destinato a diventare re ed è di fatto il leader indiscusso del suo gruppo: i suoi compagni – e non solo loro – si fidano ciecamente di lui e per lui mettono a rischio anche le proprie vite. Un condottiero sotto ogni aspetto.

Ma la sua persona non si esprime solo in questo: a dispetto di tutti i cliché dell’uomo virile ammazzaorchi, Aragorn ha un lato profondamente empatico che non manca mai di mostrare. Quando Boromir, suo compagno di avventura, viene ferito a morte, il futuro re di Gondor gli sta accanto fino all’ultimo respiro, non ha paura di abbracciarlo e stringergli le mani e non trattiene le lacrime quando quello infine spira. Lo stesso quando il gruppo perde il proprio mentore Gandalf: oltre a soffrire sinceramente per la presunta morte dello stregone, Aragorn si rende conto che i suoi compagni hanno bisogno di elaborare il dolore e concede loro qualche attimo di lutto prima di riprendere il cammino.

Nonostante appartenga a una stirpe molto più longeva del normale e abbia girato il mondo maturando un corposo bagaglio di esperienza e saggezza, Aragorn non dà mai per scontato se stesso: più volte si interroga sulla sua effettiva capacità di compiere il proprio destino e, in tali occasioni, si rivolge ai suoi alleati e mentori in cerca di consiglio.

Notevole è, infine, il modo in cui si approccia a Eowyn, principessa di Rohan che sogna un destino da combattente anziché consumarsi al capezzale di un parente in fin di vita dopo l’altro. A differenza degli altri uomini della saga, Aragorn non scoraggia Eowyn dal perseguire il suo desiderio e rispetta la sua scelta di non sottostare al ruolo di angelo del focolare. Riconosce la determinazione negli occhi della principessa e, pur non ricambiando il sentimento di amore che ella nutre per lui, la indirizza verso il suo vero destino.

Passiamo ora a un esempio meno lampante dalla stessa saga analizzando i due hobbit protagonisti della storia: Frodo Baggins e Samwise Gamgee. Lontani dall’immagine di leader carismatico e potente incarnata da Aragorn, i due inseparabili hobbit della Contea sono spesso al centro di gag e reinterpretazioni che li vorrebbero segretamente innamorati. Questo perché, a differenza degli altri, non si mostrano duri e infallibili: hanno paura quando vengono attaccati, sono tormentati dalle ferite ricevute durante il cammino, hanno nostalgia di casa e si prendono cura l’uno dell’altro, soffrendo, scontrandosi e riavvicinandosi.

Eppure, a conti fatti, Frodo e Sam restano gli eroi della storia, quelli che distruggono l’artefatto che minaccia di sprofondare il mondo, e riescono nella loro impresa soprattutto perché si supportano l’un l’altro. Questa loro amicizia profonda che, a differenza dello stereotipo maschile, non si basa su dimostrazioni di forza e sfottò ma su una sincera devozione, somiglia più a quella che è generalmente la rappresentazione di un’amicizia tra ragazze, almeno a una visione superficiale e stereotipata. Invece, al di là delle apparenze, la loro mascolinità raramente viene intaccata dalla continua vicinanza, basti pensare che, al suo ritorno a casa, Sam riesce a sposare la hobbit più bella della contea.

È davvero possibile riscrivere la definizione di mascolinità eliminando i tratti tossici?

mascolinitò tossica meme

Attualmente stiamo assistendo a un vero risveglio di coscienze in tal senso, soprattutto grazie alla maggiore consapevolezza su argomenti come il benessere mentale e l’identità di genere, che sta portando le generazioni più giovani a spezzare i circoli viziosi entro i quali sono state cresciute per andare alla ricerca di un nuovo concetto di virilità molto più sano e inclusivo.

Nonostante le resistenze incontrate, soprattutto per mano di chi, suo malgrado, non riesce o non ha la possibilità di dissociarsi da preconcetti e stereotipi perpetrati da padri, madri e nonni, questa società sta cambiando profondamente. Il futuro che si prospetta per le prossime generazioni, costruito sulle lotte e le battaglie attuali, vedrà una nuova concezione del sé, più consapevole e finalmente più libera.

E comunque Andromeda era il più forte di tutti.

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