Cara Giorgia, ti spiego perché sei diventata un meme

Marianna Chiuchiolo
Marianna Chiuchiolo
Giornalista con studi in Mediazione Linguistica, una formazione da teatrante e una generale tendenza a perdersi nei vicoli di una fervida immaginazione. Ama in egual misura la scienza e la poesia e si spende da tempo per la crociata della Mental Health Awareness come missione di vita.
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Da un po’ di tempo a questa parte sembra essersi scatenata una guerra. Da una parte i Boomers, nostalgici dei bei vecchi tempi che, dopo aver ripagato alla società il debito di esser venuti al mondo con il lavoro e un’integerrima condotta morale, scuotono il capo davanti alle nuove generazioni, i cui valori non sono profondi e belli quanto i loro. Dall’altra i Millennials, che il boom economico l’hanno vissuto solo attraverso i discorsi dei suddetti progenitori, e che da essi vengono accusati di aver rovinato il commercio, l’industria e le basi di quella società nella quale ogni cittadino che si rispetti dovrebbe inserirsi e collaborare. Fin qui niente di insolito, in fondo già ai tempi di Seneca le nuove generazioni venivano viste come masse di fannulloni poco educati, la storia si ripete insomma. Se non fosse che qualcosa è cambiato. Qualcosa ha reso il divario generazionale attuale diverso da tutti quelli precedenti: internet. Il conflitto tra generazioni adesso si svolge a colpi di post e video virali. Una volta c’erano i banconi da bar, i salotti, i parrucchieri e – per i più carismatici ─ i palchetti di piazza, arene perfette ove infervorarsi quel tanto che bastava per i 15 minuti di notorietà e poi tornarsene a casa. Adesso no. Adesso le piazze sono quelle dei social, la cui risonanza va ben oltre i confini del rione e ogni parola scagliata può rimbalzare fino all’altra parte del mondo. Adesso il quarto d’ora di gloria resta in cronologia per il diletto dei posteri che, dopo il Placito Capuano e Viva V.E.R.D.I., analizzeranno i murales di denuncia di Banksi affiancandoli ai pucciosissimi e glitteratissimi archivi di kaffè e buongiornissimo. Ma stiamo divagando. Quello di cui volevamo parlare è l’ultimo fenomeno social che ha messo in contrapposizione estremismi e tolleranza a colpi di creatività e inventiva. Tutto è cominciato a Roma, in Piazza San Giovanni, il 19 ottobre. Leggi anche: Il Premier Conte parla al Senato: “Caro Matteo, mi preoccupa la tua concezione di governo”

Il discorso in Piazza San Giovanni e il remix musicale

Ora parlano di togliere la dicitura “padre” e “madre” sui documenti. Perché la famiglia è un nemico, l’identità nazionale è un nemico, l’identità di genere è un nemico. Per loro tutto ciò che definisce è un nemico. È il gioco del pensiero unico: ci devono togliere tutto quello che siamo, perché quando non avremo più un’identità e non avremo più radici, noi saremo privi di consapevolezza e incapaci di difendere i nostri diritti. È il loro gioco. Vogliono che siamo Genitore 1, Genitore 2, genere LGBT, Cittadini X, dei codici. Ma noi non siamo dei codici, noi siamo delle persone e difenderemo la nostra identità. Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana. Non me lo toglierete!

Queste parole di Giorgia Meloni, leader di FdI e tenace artigliera degli ideali perduti e rimpianti di cui sopra, sono state montate in musica da MEM & J e hanno dato vita alla #GiorgiaChallenge. Il pezzo remixato ha scatenato l’ilarità e la creatività dei Millennials, che lo hanno reinterpretato con ogni mezzo di espressione. Ripresa nei fumetti, montata su scene di film e serie famose ─ memorabile la versione su Ross, Chandler e Joey di “Friends” ─ coreografata con ogni stile di danza e persino rivenduta da agenzie di marketing, la Giorgia Challenge è il tormentone degli ultimi giorni e rappresenta in pieno i Millennials e il loro modo di prendersi le proprie rivincite sul mondo. E, se la Meloni dovesse sentirsi offesa, spieghiamo perché. Il video parodia lanciato da MEM & J che ha dato il via al fenomeno virale

I Millennials e il web: come il cambiamento della società ha creato nuove opportunità di vita

Cara Giorgia, ti spiego cosa vuol dire essere un Millennial. Siamo cresciuti con i nostri genitori che ci parlavano di un futuro radioso, accessibile in particolare a chi avesse studiato. Abbiamo sentito parlare di effetto serra, buco nell’ozono e riciclo dei rifiuti sin da piccoli. Ai tempi provammo a convincere i più grandi – coi capelli laccati e il macchinone alimentato a super ─ a fare la differenziata insieme a noi, ma il loro impegno per l’ambiente ammiccava alla nostra tenera ingenuità di piccoli sognatori. Siamo cresciuti seguendo i loro consigli e ci siamo ritrovati davanti alla riforma della maturità, poi dell’università, poi del lavoro. Dopo aver speso anni sulle sudate carte leopardiane, abbiamo cominciato a lavorare senza esser pagati. A dire il vero non abbiamo mai capito perché ─ visto che le generazioni precedenti non hanno vissuto nulla di simile ─ ma per qualche motivo ci dicevano che così funzionava il mondo. Ci siamo barcamenati tra contratti a tempo determinato, in previsione dell’assunzione, co.co.co., co.co.pro., apprendisti con esperienza, il CV europeo non si usa più, le faremo sapere, orari flessibili, piccoli rimborsi spese, straordinari dovuti e non retribuiti e ogni sorta di combinazione lessicale applicabile al mondo del lavoro. In contemporanea la gente si è accorta che faceva un filino più caldo e la raccolta differenziata a cui giocavamo da piccoli è diventata una necessità, fare qualcosa per il clima è diventato una necessità, a un certo punto persino trovare un pianeta B è diventato una necessità. Sai come siamo sopravvissuti? Accettando il fatto che il mondo stava cambiando e smettendo di ascoltare chi viveva ancora nel mondo di prima. Ma questo non ci ha fatto sentire minacciati nella nostra identità. Abbiamo seguito la natura, perché la legge di natura non è la sopravvivenza del più forte, ma la sopravvivenza di chi si adatta ai cambiamenti. Leggi anche: Richard Gere contro Matteo Salvini: “È un Baby Trump, stessa ignoranza e cattiva politica, ma vorrei incontrarlo”

Confrontarsi con altre realtà ha permesso ai Millennials di accettare il diverso senza temerlo

Cara Giorgia, nonostante le difficoltà che la nostra generazione affronta, noi abbiamo imparato ad essere ottimisti. Abbiamo seguito il cuore. Per necessità spesso abbiamo dovuto espatriare e così abbiamo imparato a conoscere altri punti di vista. Ci siamo confrontati con stranieri, immigrati, autoctoni dei luoghi in cui gli immigrati eravamo noi, incontrando la stessa accoglienza e la stessa repulsione che si trovano dappertutto e imparato che dappertutto gli uomini si assomigliano. Qualcuno si è sentito attratto da persone dello stesso sesso accorgendosi che questo non lo rendeva un pazzo criminale. Poiché non c’era alcuna certezza lavorativa, abbiamo cominciato a inventarcelo, il lavoro, e a quel punto molti hanno pensato che tanto valeva rispolverare qualche sogno nel cassetto. Abbiamo colto al volo le opportunità del web creando mestieri che ancora non sappiamo bene come spiegare alle nostre nonne. Noi siamo gli equilibristi, e andiamo avanti a forza di inventiva, creatività e cervello. È per questo che il diverso non ci spaventa, ed è per questo che siamo in grado di fare ironia su qualunque cosa, persino su noi stessi. Leggi anche: Licenziata da scuola senza preavviso: “Forse è perché sono transessuale”

Perché le famiglie non sono in pericolo

Matteo Salvini, leader della Lega ed ex Ministro dell’Interno, insieme a Giorgia Meloni sul palco di Piazza San Giovanni.
Cara Giorgia, anch’io sono una donna e sono italiana. Non sono madre e non credo che lo sarò, ma questo non mi rende meno donna. Intendiamoci, come ho già scritto in un precedente articolo, per me non c’è nulla di male nel sentirsi orgogliose di esser madri ed è giusto e sacrosanto che ognuno persegua nella vita ciò che lo fa sentire più realizzato, sia esso la carriera, la famiglia o una vita da nomade digitale. Quello che non mi spiego è questo vedere il diverso come un nemico a prescindere. Il movimento LGBT ti fa sentire minacciata, ma credimi, nessuno vuole privarti dei tuoi valori. Semplicemente ti viene richiesto di accettare che altri vivano diversamente. Stai tranquilla che la tua identità di donna, madre, italiana e cristiana non te la toglierà nessuno. Se due donne si sposano, non verranno a bussare alla tua porta chiedendoti di lasciare tuo marito per partecipare a un sabba a base di coca, sesso lesbo e dannazione. Sul fatto che i sussidi alle famiglie e gli asili nido siano cosa sacrosanta puoi star tranquilla che sono d’accordo anche le famiglie arcobaleno. Quello che loro chiedono è soltanto che, appunto, i diritti della famiglia vengano riconosciuti a tutte le famiglie. Anche perché, Giorgia, quando dici che un bambino per crescere sano ha bisogno di una figura materna e una paterna, secondo questa logica a un genitore che resta vedovo dovrebbero esser tolti i figli. Lo capisci anche tu che non ha senso. Sostenere i diritti di tutti non è una minaccia per nessuno. Se una cosa diventa un diritto, non vuol dire che diventa obbligatoria. E poi, Giorgia, per quanto anche a me – che ho fatto del caotico buono uno stile di vita – dispiaccia ammetterlo, i codici a volte sono necessari. Non si tratta di toglierti l’identità, si tratta di evitare confusione o errori burocratici dai quali, come tu stessa saprai, a volte uscire è talmente complesso che lasciar perdere e rassegnarsi è una soluzione più salutare. Credimi, vengo da un paesino del Sud e conosco linee familiari dove i primogeniti si tramandano gli stessi due nomi da generazioni, e i cugini sono costretti a riconoscersi con appellativi personalizzati perché nonne e zie non facciano confusione. E in fondo non credo che tu abbia reso allo stato la tua tessera sanitaria perché ti infastidiva essere solo un codice fiscale. Leggi anche: “Sono 27 anni che fa politica e non ha portato a casa nulla”, Renzi contro Salvini in TV

Non si attacca la persona, ma la chiusura ideologica

Cara Giorgia, a conti fatti, comunque, della challenge non fartene un cruccio: non contestiamo te come persona, ma la chiusura dietro le tue parole. La voce sulla canzone è tua, certo, ma fosse stato qualcun altro a fare quel discorso, oggi avremmo la Gigino Challenge, la Matteone Challenge o la Salveeni Challenge. Anche noi abbiamo i nostri ideali e lottiamo perché ci vengano riconosciuti. Ma lo facciamo come noi Millennials amiamo fare: con l’ironia anziché l’odio e le accuse. Perché noi crediamo che l’odio e la paura non portino da nessuna parte. Perché, per forza di cose, abbiamo dovuto imparare a fare gli equilibristi tra un presente incerto e nessun futuro possibile, e allora la leggerezza è diventata uno stato di necessità. Noi combattiamo sostenendoci a vicenda. Ed è per questo che amiamo così tanto il web, perché quello con cui non siamo d’accordo lo rilanciamo indietro come un boomerang, rimasticato e reinventato finché non annoia. Finché non muore. Del resto gli stessi MEM & J, che hanno dato il via al tormentone, si definiscono fautori di “musica tamarra, trash e fatta da gente che non sa cantare”. Perché in fondo noi Millennials, sopravvissuti alle riforme di maturità/università/lavoro, al cambiamento climatico, a un governo sempre più confuso e a offese creative come choosy, gretini e bamboccioni, ci siamo salvati proprio grazie all’ironia. E quella, credimi, centra sempre il bersaglio. Leggi anche: Perché non facciamo più figli   di Marianna Chiuchiolo

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