L’Italia deve tagliare le emissioni del 92% entro il 2030

Il rapporto del CAT rimanda a settembre l'Italia, mentre ammonisce sulle decisioni della Cop26: i provvedimenti contro i cambiamenti climatici sono insufficienti.

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Tempi duri per l’Italia green: il Bel Paese deve tagliare le emissioni di gas a effetto serra del 92% entro la fine del 2030, rispetto a quelle registrate nel 1990.

Gli obiettivi di decarbonizzazione e transizione energetica sono talmente bassi che se tutti gli altri stati si comportassero allo stesso modo, si supererebbero facilmente i 3°C di innalzamento di temperature entro la fine del secolo.

Il rapporto del CAT

Si conclude oggi il vertice internazionale Cop26 contro i cambiamenti climatici, ma il report Climate Action Tracker ammonisce: le proposte, per quanto le migliori possibili, non valgono nulla se poi i singoli stati e gli individui non applicano le soluzioni previste per la decarbonizzazione.

Anzi, lo scenario è devastante: secondo i dati delle due ong tedesche, Climate Analytics e NewClimate Institute, anche seguendo alla lettera i programmi adottati alla Cop26, entro il 2100 si assisterà a un aumento globale di temperatura compreso tra gli 1,8 e i 2,4°C, sfondando nettamente il tetto imposto a 1,5°C dall’Accordo di Parigi del 2015.

Leggi anche: Tutti i numeri della Cop26 e dell’emergenza clima

La situazione italiana

Per tagliare le emissioni del 92% entro il 2030 comporta un ripensamento fondamentale di tutto il processo produttivo italiano.

Se qualche sforzo è stato già compiuto, sembra allo stato attuale delle cose del tutto vano, di fronte all’obiettivo che si prospetta per la prossima decade.

L’Italia ha registrato un picco nel 2005 per poi tagliare le emissioni di gas serra di quasi un terzo nei successivi 13 anni. La pandemia ha poi ulteriormente ridotto i consumi, ma con la riapertura si è assistito a un incremento del +5% di produzione di anidride carbonica.

Attualmente la nostra nazione è al 30esimo posto nella classifica dei paesi impegnati nella lotta contro i cambiamenti climatici, sia per lo scarso investimento nel settore delle energie rinnovabili che per le politiche sul clima adottate dal governo. Fanno meglio di noi il Marocco, all’ottavo posto, e l’India, al decimo.

Leggi anche: PNRR e fotovoltaico, bisogna fare di più

La dipendenza dal gas naturale

Tagliare le emissioni

Tagliare le emissioni significa soprattutto rinunciare ai combustibili fossili: è un assioma ormai tanto diffuso e conosciuto che sembra sbalorditivo come ancora l’Italia si affidi più che alle rinnovabili al gas naturale per quasi l’interezza della sua produzione energetica.

I settori che consumano di più in assoluto sono quelli dei trasporti, dell’edilizia e dell’agricoltura, che contribuiscono per il 41% alle emissioni nazionali. Abbandonando il carbone, richiederanno ingenti quantità di gas per mantenere competitiva la produzione, allontanando l’Italia dal poter contribuire equamente alla riduzione delle emissioni.

L’Italia arranca nella decarbonizzazione

Nonostante sia l’ottava potenza mondiale in termini di PIL e la quarta in Europa, il Bel Paese non riesce o non ha le strutture economiche e politiche per stare al passo con gli altri paesi europei per quello che riguarda gli impegni e il raggiungimento degli obiettivi climatici .

I piani per tagliare le emissioni fino allo zero del 2050 prevedono per l’Italia un primo step di -29% entro il 2030, al di sotto della media europea fissato a -55%. Ma per il ventennio 2040-2050 non esistono ancora leggi firmate sulle iniziative da intraprendere.

I due scenari proposti nella strategia climatica a lungo termine presentata alla Commissione europea all’inizio del 2021 – con un primo obiettivo fissato a tagliare le emissioni del 57% e un secondo, molto più oneroso, del 92% – sembrano già essere obsoleti.

Lo scenario incontro al quale andiamo

La situazione è allarmante, ma secondo Greenpeace è ancora recuperabile a patto che nell’accordo finale di Glasgow si inserisca l’eliminazione graduale dei combustibili fossili, l’abbandono di egoismi e sabotaggi reciproci, il mantenimento dei patti di risarcimento per i paesi in via di sviluppo.

Non rispettando gli accordi, o lasciando solo che siano carta stampata, si arriverà ben prima della fine del secolo a condizioni meteo estreme, con innalzamento del livello dei mari, carestie, aumento dei prezzi dei beni di consumo, scarsità energetica e malattie.

Leggi anche: Crisi climatica: quali sono i possibili scenari futuri

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