Plastica, i traffici illeciti dell’Italia. Ecco dove finiscono i nostri rifiuti

Invece di riciclare, la plastica viene abbandonata dall’altra parte del mondo in discariche fuori legge. Secondo l’unità investigativa di Greenpeace, oltre 1.300 tonnellate di rifiuti italiani sono finiti in Malesia illegalmente.

Elza Coculo
Elza Coculo
Elza Coculo, 30 anni, di adozione romana. Lettrice appassionata con formazione in Studi italiani. Laureata in Editoria e Scrittura. Redattrice per Il Digitale. Amo scrivere di attualità e cultura eco-sostenibile.
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Tra gennaio e settembre 2019, il 46% della plastica italiana diretta in Malesia, circa 1.300 tonnellate su 2.880, è uscito dalla filiera legale dello smaltimento, alimentando il business illegale dei rifiuti. Secondo un’inchiesta dell’unità investigativa di Greenpeace, l’Italia farebbe ricorso ad aziende malesi che non hanno adeguate autorizzazioni per lo smaltimento e che anzi accettano e bruciano illegalmente qualsiasi tipo di rifiuto. Il nostro paese dunque, invece di riciclare la plastica, si limita ad abbandonarla dall’altra parte del mondo, senza assicurarsi che venga adeguatamente smaltita.

L’Italia annualmente consuma 7 milioni di tonnellate di plastica

L’Italia è al secondo posto in Europa per domanda di plastica. Annualmente il Paese necessita di circa 7 milioni di tonnellate, di cui il 40% sono imballaggi. Fino a due anni fa i nostri rifiuti venivano spediti in Cina, ma dal 2018 il colosso asiatico ha smesso di importare dall’Italia plastica poco riciclabile e quindi altamente inquinante. E, secondo Eurostat, proprio nel 2018 la Malesia diventa il primo importatore di rifiuti plastici italiani. Tra gennaio e settembre 2019 circa 7 mila tonnellate di plastica sono state inviate in Malesia, per un valore di quasi un milione e mezzo di euro. Di queste 7 mila tonnellate, secondo i documenti ottenuti da Greenpeace, 2.880 corrispondevano a rifiuti plastici destinati al riciclo e inviati in Malesia per via diretta. Ma circa la metà sono state dirottate in impianti privi di autorizzazioni.

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Traffico illecito di rifiuti?

In Malesia sono 68 le aziende autorizzate a importare e trattare rifiuti plastici dall’estero. Sono impianti che garantiscono un corretto smaltimento, cioè il rispetto degli standard minimi di protezione per l’ambiente e la salute umana. Da verifiche incrociate con documenti confidenziali, l’unità investigativa di Greenpeace Italia ha però riscontrato delle anomalie. Tra gennaio e settembre 2019 quasi la metà dei rifiuti diretti in Malesia sono stati spediti ad aziende prive dei requisiti obbligatori per legge. Ha detto Paola Ficco, giurista ambientale e avvocatessa:

Se quanto documentato fosse confermato dalla autorità, le contestazioni a carattere penale sarebbero elevate e nello specifico saremmo di fronte adattività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e associazione per delinquere transnazionale.

La norma europea sullo smaltimento della plastica

La norma europea, di pari passo con quella malese, stabilisce che l’Ue può esportare plastica solo per il riciclo. Dal canto suo, la Malesia permette l’import esclusivamente di plastica pulita e non contaminata. Il ricorso ad aziende non certificate, invece, consente di poter spedire loro qualsiasi tipo di rifiuto plastico senza rispettare questo requisito. L’indagine di Greenpeace ha dimostrato che gli imprenditori malesi sono disposti a importare e trattare sia plastica contaminata che rifiuti urbani. È un business altamente redditizio al quale il paese non ha intenzione di rinunciare. Ma come conferma YB Ng Sze Han, membro del comitato esecutivo dello Stato malese di Selangor:

Ciò che trasportano i container non corrisponde quasi mai a quanto dichiarato nella documentazione. La maggior parte delle volte si tratta di un miscuglio di rifiuti plastici. La parte che può essere riciclata è davvero bassa, forse il 20-30 per cento. Tutto il resto deve essere gettato da qualche parte, e questo provoca enormi problemi e inquinamento.

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Meno del 2,5% dei container vengono controllati

La mancanza di controlli sui container che l’Italia spedisce in Malesia sembra agevolare il traffico illecito di rifiuti. Secondo la Direzione Distrettuale Antimafia, meno del 2,5% dei container che spediamo dai porti italiani è ispezionato con visita merci. Lo conferma la giurista ambientale Paola Ficco:

I controlli soffrono di carenze di organico e di fondi per poter affrontare complesse e costose attività di intelligence, le uniche a poter garantire un intervento mirato sulla esagerata mole di containers che affolla i nostri porti.

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La raccolta differenziata della plastica non basta

plastica
Discarica illegale malese. L’intero settore della plastica in Malesia vale oltre 6 miliardi di euro. Anche se il Paese non è in grado di gestire il flusso dei rifiuti, è attratto dall’enorme guadagno che esso rappresenta.

Molti cittadini europei non sono consapevoli del problema. Buttare i rifiuti che produciamo negli appositi bidoni è solo il prima passo verso un ciclo virtuoso dello smaltimento. Conclude la giurista Ficco:

La gestione dei rifiuti è il metro del nostro livello di civiltà e di responsabilità e raccoglierli in modo differenziato non basta. Esportare i rifiuti significa affermare la propria incapacità di gestire il problema. Se è vero che dobbiamo proteggere l’ambiente che ci è più prossimo e la nostra salute, questo non ci autorizza ad offendere quello di chi è lontano da noi e minare la sua salute.

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Le conseguenze del traffico illecito sulla Malesia

Le conseguenze di questo traffico illegale stanno avendo effetti negativi evidenti sulla salute dei cittadini malesi. L’associazione ambientalista ha documentato, proprio accanto agli impianti di una di queste aziende, un incendio illegale di materie plastiche. E dall’analisi di acqua, suolo e frammenti di plastica i livelli di inquinamento sono risultati allarmanti. Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace, ha dichiarato:

Abbiamo trovato livelli elevati di contaminazione per numerose sostanze chimiche pericolose per l’ambiente e per l’uomo.

I numeri dei pazienti del Metro Hospital a Sungai Petani, area a nord ovest del Paese circondata da fabbriche illegali del riciclo, confermano quanto denunciato da Greenpeace. Tneoh Shen Jen, primario del Metro Hospital ha precisato:

I pazienti con asma e problemi respiratori sono aumentati del 20-30 per cento rispetto allo scorso anno.

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Elza Coculo, 30 anni, di adozione romana. Lettrice appassionata con formazione in Studi italiani. Laureata in Editoria e Scrittura. Redattrice per Il Digitale. Amo scrivere di attualità e cultura eco-sostenibile.
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