La pandemia ci restituirà un mondo ecosostenibile? L’intervista a Stefano Ciafani

Silvia Buffo
Silvia Buffo
Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.
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Nei giorni della quarantena forzata, a causa dell’emergenza coronavirus, stiamo assistendo a profondi cambiamenti nel nostro stile di vita, al nascere di nuovi abitudini e costumi, e il comune denominatore di questi sembra essere involontariamente uno solo: ecosostenibilità. Nel flusso inarrestabile delle notizie drammatiche, incoraggiante è invece l’effetto benefico del Coronavirus sulla disperata condizione dell’inquinamento in Cina e sul territorio della pianura padana, il più inquinato d’Europa e il primo per morti da polveri sottili. La concentrazione di biossido di azoto nell’atmosfera è crollata drasticamente.
Guardando le foto diffuse dalla NASA, vediamo come il cielo abbia cambiato colore, da gennaio a febbraio, già in un solo mese, da giallo è tornato a essere azzurro. In più, a influire sul miglioramento delle condizioni dell’inquinamento è stata la riduzione della circolazione delle auto con milioni di persone in quarantena. Sono effetti positivi che non avevamo messo in conto, ma che ci indicano la strada su come poter migliorare la qualità della vita, anche una volta che usciremo dall’emergenza Coronavirus. Nonostante la tragedia che stiamo vivendo, il rallentamento della vita quotidiana ci sta mostrando come la natura sia in grado di riprendersi i suoi spazi. Ce lo raccontano le immagini che arrivano da tutta Italia: cinghiali e papere immortalati per le strade deserte delle città, cigni e delfini che ritornano ai loro spazi naturali, le acque italiane, e fra gli effetti più inaspettati, i canali di Venezia, limpidi come non li abbiamo mai visti.
La ripresa della natura è rapida. Cosa sta succedendo? Abbiamo intervistato il presidente di Legambiente Stefano Ciafani, per parlare di questa evidente inversione di tendenza, ma anche di tutto quello che abbiamo lasciato indietro a causa dell’inevitabile saturazione mediatica del coronavirus delle ultime settimane. Abbiamo dovuto metter da parte troppi temi urgenti, che accanto alla pandemia esistono e meritano attenzione.

L’INTERVISTA

L’agenzia spaziale europea ESA in questi giorni sta registrando un forte calo delle emissioni di diossido d’azoto, il gas prodotto dalle attività industriali, dalle automobili e dalle centrali elettriche, in particolare nella zona della pianura Padana e del nord Italia. Tale diminuzione è certamente dovuta alle misure restrittive messe in atto dal governo per contrastare la diffusione del nuovo Coronavirus. Una volta superata l’emergenza, come potremmo convertire questo stile di vita in un impatto politico, sociale, economico ecosostenibile? Le immagini diffuse dal satellite Copernicus Sentinel – 5P sono inequivocabili: la macchia rossa che da decenni copre la pianura padana, segno della fortissima presenza di inquinanti, si è “scolorita” nel giro di pochi giorni. Lo stop alla circolazione delle auto per via delle restrizioni alla mobilità delle persone, come la riduzione di alcune attività industriali e del riscaldamento degli uffici chiusi, ha confermato, semmai ce ne fosse bisogno, che la responsabilità dell’inquinamento atmosferico è tutta nostra. Tra i tanti spunti che, come Paese, dovremo essere capaci di trarre, una volta debellata la diffusione del coronavirus e terminata l’emergenza sanitaria, c’è anche quello della necessità di ripensare in modo drastico il modello di mobilità urbana e di uso dei combustibili fossili (petrolio, carbone e gas) in tutte le attività, spingendo su innovazione e rinnovabili, anche per rendere più salubre l’aria delle nostre città, che è la drammatica causa di almeno 60mila morti premature ogni anno.
Quanto è cambiata la percezione dell’emergenza ambientale nell’ultimo anno? È cambiata moltissimo. Un contributo importante è certamente arrivato dal movimento globale dei giovani della “generazione Greta”, che hanno preso coscienza del problema e hanno invaso le piazze reclamando il loro diritto ad avere un futuro sostenibile. Se è vero che la questione climatica è diventata patrimonio collettivo, adesso, per influenzare gli stili di vita e di consumo, è necessario tradurla in azione pratica. Si deve spingere la politica a un cambio di registro, adottando tutte le scelte concrete che ci permettano, sia a livello individuale sia come comunità, di contribuire in modo significativo allo sviluppo sostenibile. Quanto pensi possa incidere un’educazione, sensibilizzazione sui temi dell’ecosostenibilità a livello collettivo per contrastare concretamente gli sprechi, l’inquinamento, le emissioni? Legambiente ha sempre considerato l’educazione ambientale un tassello basilare nella propria azione associativa. Per affermarsi su larga scala, lo sviluppo sostenibile deve essere socialmente desiderabile e questo avviene solo se i cittadini ne conoscono e capiscono i vantaggi, in termini di salute, economici e sociali, non solo per l’ambiente ma per la vita quotidiana di ciascuno. Se dovessi indicare comportamenti green che nel quotidiano, a partire dalla vita di tutti, possono fare la differenza, quali suggeriresti? Certamente la scelta di forme di mobilità sostenibile, incrementando il trasporto pubblico e l’uso di mezzi privati a zero emissioni, come biciclette, monopattini e veicoli elettrici. Una buona raccolta differenziata dei rifiuti, che dia impulso ai circuiti virtuosi dell’economia circolare. La messa al bando della plastica monouso a favore di contenitori riutilizzabili e la drastica riduzione degli imballaggi inutili. L’uso razionale delle risorse contro gli sprechi, in primo luogo di acqua ed energia. La scelta di prodotti alimentari stagionali e di filiera corta, infine, la diffusione capillare delle energie rinnovabili per trasformarci in un paese carbon free. Roma: traffico, piste ciclabili impraticabili. Quale soluzione ridurrebbe notevolmente le emissioni senza immobilizzare la vita dei cittadini? Serve un radicale ribaltamento della prospettiva, che renda le auto “out” liberando la città dal traffico e dallo smog. Una strategia a tutto campo, partendo da un serio piano di rilancio del trasporto urbano, disincentivando pesantemente l’uso delle automobili private inquinanti, favorendo la mobilità collettiva, i mezzi elettrici e la micro-mobilità a emissioni zero. Le risorse per mettere in efficienza un modello di mobilità sostenibile, a Roma come in tante medie e grandi città, ci sono e vanno reperite in un sistema fiscale nazionale “di scopo”, a cominciare dalla rimodulazione delle accise sui carburanti e dall’eliminazione dei sussidi all’autotrasporto e al trasporto aereo, passando per le pedonalizzazioni e altre forme di limitazione al traffico. Il criterio generale deve essere che chi inquina di più deve pagare di più. 2020: Quali obiettivi ci poniamo nella lotta ai cambiamenti climatici e ai disastri ambientali, quali sono le priorità italiane e che traguardi potremmo raggiungere in 12 mesi? L’uscita dal carbone e la mitigazione del rischio idrogeologico. A dicembre, in occasione della Cop 25 di Madrid, Legambiente ha presentato una road map per la completa decarbonizzazione dell’Italia entro il 2040 e per rendere il Piano nazionale energia e clima (Pniec) all’altezza della sfida climatica che abbiamo di fronte. Dobbiamo accelerare questo cambiamento, mettendo a punto un percorso con obiettivi e misure coraggiose e praticabili, soprattutto nel settore dell’efficienza energetica, dei trasporti, dell’industria e in quello civile. Per quanto riguarda gli effetti del cambiamento climatico sulla stabilità del nostro territorio, non è più rimandabile un serio piano nazionale con obiettivi e risorse per mitigare il rischio, in particolare in caso di frane e alluvioni, puntando in primo luogo sulla prevenzione con interventi puntuali di manutenzione. La necessità di mettere in sicurezza il territorio non è più solo una preoccupazione degli ambientalisti, ma anche degli economisti, che ormai da alcuni anni prefigurano i sempre maggiori e insostenibili costi necessari per riparare i danni. Se si mettessero subito in moto questi due grandi progetti, potremo toccare con mano i primi risultati anche in tempi medio brevi. Un bambino su 4 nel rione Tamburi si ammala e mediamente si celebrano 3 funerali al dì. Quale futuro prevedi per il caso Ilva, che evoluzione ci sarà? E per la centrale di Enel di Cerano? Nella drammatica e complessa vicenda dell’Ex Ilva abbiamo sempre rifiutato la sterile contrapposizione tra i diritti, ossia il diritto al lavoro e il diritto alla salute, provando ogni volta a suggerire un approccio che avesse basi scientifiche e mettesse al centro la qualità della vita delle persone. Per tutelare i posti di lavoro, non solo nel breve periodo, e un futuro industriale a Taranto va difesa innanzitutto la salute delle persone. Per farlo su basi scientifiche occorre affidarsi alla Valutazione preventiva dell’impatto sanitario oltre che ambientale che chiediamo – inascoltati – dal 2013, ma che non si è mai utilizzata, per paura di ridurre l’occupazione e le quantità produttive. Nel frattempo, si sono comunque persi i posti di lavoro e la comunità locale è più fragile e lacerata che mai. Cerano, come denunciamo da anni nei nostri dossier, è una delle centrali più inquinanti d’Italia. È una storia che ci ha visto anche parte civile nel processo contro i responsabili della centrale, condannati nel 2016 per i danni prodotti dallo spandimento delle polveri di carbone e che oggi vede altri undici dirigenti Enel rinviati a giudizio. Dobbiamo puntare alla riconversione dell’impianto, non il semplice passaggio dal carbone al gas proposto dall’azienda. Taranto, Brindisi, così come tante altre aree del paese segnate da una storia industriale simile, devono poter contare su un progetto di bonifica e valorizzazione del territorio, in cui la produzione dell’acciaio sostituisca definitivamente il carbone con nuove tecnologie non inquinanti, contando sull’innovazione di processo e prodotto e sull’integrazione completa degli impianti nel territorio. Leggi anche: Cerano in Puglia: quale futuro? Un tempo era un posto meraviglioso Cosa senti di dire sullo scandalo 2018 riguardo il traffico illecito di rifiuti per il quale sono stati indagati ex boss camorristi? E che vantaggi ha portato per la riqualificazione del territorio italiano? Quell’anno abbiamo conferito il nostro annuale Premio Ambiente e Legalità proprio ai giornalisti di Fanpage che hanno pubblicato l’importante inchiesta Bloody money e che ha dato impulso all’indagine della Procura di Napoli. Un lavoro che ha messo in luce come, ancora una volta, dietro gli affari dell’ecomafia ci sia un dannato intreccio di interessi, che vede i boss seduti al tavolo con imprenditori, politici e colletti bianchi spregiudicati. Una holding che non ha confini nelle regioni a tradizionale presenza mafiosa, ma si insinua ovunque ci sia la volontà di fare soldi sporchi a danno dell’ambiente. Oggi le mafie hanno bisogno di costruire una rete di professionisti che lavora per loro, una vera e propria impresa criminale multidivisionale, con la manodopera, i consulenti, i tecnici, i politici e i funzionari degli uffici pubblici, impegnati ognuno nel proprio ruolo a fare funzionare una grande economia parallela. di Silvia Buffo  

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