Cerano in Puglia: quale futuro? Un tempo era un posto meraviglioso

Silvia Buffo
Silvia Buffo
Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.
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Oggi quando si parla di emergenza ambientale in Puglia, la prima cosa che viene alla mente è l’Ilva, ma c’è altro: Cerano. Un posto che un tempo, prima dell’introduzione della Centrale, era conosciuto come un luogo meraviglioso. Poi inevitabilmente tutto è cambiato. Cerano per chi non la conoscesse è una contrada situata a pochi chilometri da Brindisi, a pochi chilometri dalla frazione sampietrana di Campo di Mare e dalla frazione brindisina di Tuturano. Qui ha sede la Centrale Federico II di proprietà dell’ENEL attiva dal ’99. Era un territorio florido, come si può immaginare pensando alla bellezza del panorama naturale pugliese, basti pensare che di zona è la Riserva naturale del Bosco, un paradiso verde che si estende su un territorio di circa 1300 ettari. Elencare i cambiamenti che la presenza e l’attività della Centrale hanno innescato in questa zona è ormai quasi retorico. Ciò che è certo è che come tutte le altre centrali della stessa tipologia, anche la Federico II dovrà chiudere i battenti entro il 2030, fra poco più di dieci anni, così come è stato confermato dall’amministratore delegato di Enel Francesco Starace. L’impianto ha già dimezzato la produzione con una riduzione del carbone di circa il 40 %. Ma nel frattempo quali conseguenze ha subito il territorio che ha ospitato la Centrale? E come si è dovuto adattare quotidianamente a questa realtà chi il territorio lo abita? Lo abbiamo chiesto ai legali impegnati nel recente processo sulle Polveri, Leonilda Gagliani, Lillo Gianvito e Alberta Fusco. A loro abbiamo fatto delle domande molto dirette per dar voce a chi da molti anni vuol farsi sentire.

Perché in termini di disagio ambientale e sociale si parla solo di Ilva e mai di Cerano?

Il disagio ambientale e sociale derivante dall’Ilva ha avuto una maggiore attenzione dei media a livello nazionale. Tuttavia, a livello locale, entrambe le problematiche sono sempre state fortemente sentite. Il procedimento di Cerano nasce proprio dall’esposto formulato dall’insieme dei residenti e dei coltivatori della zona che hanno per anni subito i disagi provocati dalle polveri di carbone derivanti dal nastro trasportatore o dal carbonile. Questa problematica, così come stabilito dalla sentenza di primo grado, era ben nota sin dall’inizio ai dirigenti Enel che fino al 2008 hanno “risarcito” gli abitanti e i coltivatori della zona in seguito a consulenze redatte dal loro tecnico di fiducia Dott. Trotti. Con molta scaltrezza, però, nel corso delle consulenze, Enel non ammetteva che la polvere nerastra trovata sulle colture, sui frutti o sulle abitazioni provenisse dal parco carbonile o dal nastro trasportatore, motivando gli esborsi di denaro sulla base dell’esistenza di sploveramenti, ma non specificandone la provenienza, né ha mai costituito oggetto di accertamento. Mentre in altri casi il denaro veniva elargito sotto forma di contratti preliminari di vendita di cui si faceva scadere scientemente l’opzione d’acquisto.

Leggi anche: Ilva di Taranto: chiudere subito, rinascere in fretta

Come è cambiata la società in base al disagio ambientale del territorio negli ultimi decenni?

Nell’ambito del procedimento che ci occupa non è stato contestato alcun reato di natura ambientale. I reati per cui si procede sono il getto pericoloso di cose e il danneggiamento aggravato ovvero insudiciamenti e imbrattamenti alle colture, ai terreni e alle abitazioni adiacenti alle Centrale. Le contestazioni nonostante tutto hanno certamente destato forti preoccupazioni non solo per i coltivatori costituitisi parti civili nel processo penale ma anche per l’intera comunità brindisina, tanto con riferimento alla salubrità dell’aria respirata quanto alla qualità dei cibi consumati. Infatti, così come contestato dalla Pubblica Accusa, per ben 14 anni, la Centrale di Cerano ha scaricato, stoccato e trasportato milioni di tonnellate di carbone su una superficie di 125.000 metri quadrati tanto da indurre il Comune di Brindisi a vietare la coltivazione dei terreni vicini alla centrale nel 2007. Comunque gran parte dei terreni sono stati abbandonati per le oggettive difficoltà a rivendere quei prodotti “marchiati” negativamente per il luogo di provenienza.

Che tipo di processo è in corso e che aspettative realistiche ci sono per risanare con un intervento eco- sostenibile la zona?

Il processo in corso non riguarda dunque reati di natura ambientale tant’è vero che le uniche parti a cui la sentenza di condanna di primo grado ha riconosciuto il risarcimento del danno sono proprio i coltivatori e i residenti nelle aree adiacenti alla Centrale, sono invece stati esclusi gli enti istituzionali, i Comuni e la Provincia di Brindisi e le associazioni ambientaliste.

Che tipo di danni ha riscontrato l’economia locale?

Oltre ai legali abbiamo ascoltato anche le parti, ecco le loro testimonianze dirette: In merito ai danni subiti e alle aspettative relative ad una riqualificazione dell’area con interventi eco-sostenibili, a parlare è Romano Cosimo, una delle tante parti interessate, in qualità di coltivatore diretto:

In seguito all’imbrattamento causato dalle polveri di carbone sulle nostre colture, io come altri abbiamo subito una forte crisi economica che in alcuni casi, nel tempo, ci ha costretto ad abbandonare i terreni e ad estirpare i vigneti. Io personalmente ho perso la mia principale fonte di guadagno e ho dovuto concentrare la mia attività su altri terreni più piccoli e meno redditizi lontani dalla Centrale. Purtroppo non guadagnando più come un tempo ho dovuto reinventarmi dedicandomi anche ad altre attività al fine di poter far fronte alle esigenze di vita quotidiana della mia famiglia. Mi auguro che la vicenda processuale si concluda positivamente per tutte le persone che hanno sofferto, anche da un punto di vista psicologico, il drastico e disastroso cambiamento di quella che un tempo era una zona florida dal punto di vista agricolo, un luogo dove la gente sceglieva di andare a vivere per respirare aria pulita nonché una riserva naturale. Confido in una riqualificazione dell’intera area attraverso investimenti mirati nel settore del no food e delle energie rinnovabili.

Un’altra parte civile, Spedicato Giovanni, imprenditore agricolo, aggiunge la sua testimonianza:

La mia azienda agricola sorge da sempre in località Cerano ovvero da prima che si insediasse la Centrale a carbone. L’insediamento ha influito negativamente sui miei introiti economici in termini di deprezzamento o in alcuni casi impossibilità di vendere i prodotti agricoli. La semplice conoscenza del luogo di provenienza destava diffidenza e spesso i prodotti restavano invenduti o ceduti a prezzi inferiori.

I problemi di salute e il vano tentativo di vendere le proprie case

Ancora Suma Antonio e Suma Oronzo, in qualità di residenti nella zona di Cerano, raccontano le difficoltà di vita:

Da quando c’è stato l’insediamento della Centrale di Cerano le nostre abitudini di vita sono drasticamente cambiate in quanto i continui fenomeni di spolveramento di carbone ci hanno costretto non solo a respirare quotidianamente le polveri ma anche a vivere sigillati in casa con finestre chiuse nel periodo estivo, a ritinteggiare i muri con frequenza semestrale, a non poter utilizzare gli spazi aperti di nostra pertinenza per stendere il bucato o per coltivare l’orticello di famiglia. In particolare molti dei nostri familiari hanno sviluppato forme di allergia alle polveri di carbone e in alcuni casi si sono manifestate malattie tumorali e leucemie. Nonostante in seguito alla copertura del carbonile i fenomeni di spolveramento si siano in parte ridotti oggi come in passato quando il fenomeno era di più grossa portata e assolutamente intollerabile abbiamo provato a mettere in vendita le nostre abitazioni al fine di trasferirci altrove, ma purtroppo nessuno è stato seriamente interessato all’acquisto se non a fronte di prezzi irrisori. Ancora oggi ci sono in vendita delle abitazioni come le nostre collocate a 50 metri dal carbonile che nessuno è intenzionato ad acquistare.

Perché si parla di carbone in termini di disagio e non di attentato all’ambiente e alla salute?

La parola ritorna ai legali:

Al di là del procedimento che come già chiarito non riguarda reati di natura ambientale e nonostante diversi studi scientifici abbiano dimostrato che la zona di Cerano è fortemente inquinata, vi è sicuramente la difficoltà di poter stabilire una correlazione certa e oggettiva tra il fattore inquinamento e le attività della Centrale. Purtroppo, allo stato attuale, non è possibile identificare un vero e proprio attentato all’ambiente e alla salute considerata la mancanza di studi accreditati dalla comunità scientifica di riferimento che possano oggettivamente dimostrare questa correlazione. Ci auguriamo un esito positivo del procedimento penale in corso non solo per il ristoro dei danni morali e patrimoniali subiti dalle persone offese ma anche perché la condanna della società Enel Produzione S.p.A. per le gravi e reiterate condotte possa sensibilizzare ancor di più l’opinione pubblica con riferimento a quanto accaduto e aprire una riflessione più ampia sia nella comunità scientifica sia nelle istituzioni che consenta di valutare in maniera concreta la sussistenza di danni di natura ambientale.

Che la giustizia faccia il suo corso. di Silvia Buffo

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