Klodiana Çuka, Integra Onlus: “Ho chiuso 55 case d’accoglienza. E ancora vedo solo demagogia”

L’imprenditrice italoalbanese è impegnata nel settore terzo da oltre vent'anni. Dopo i decreti Sicurezza ha dovuto rinunciare alla sua missione. Nell'intervista il racconto sul business dell’immigrazione nell'Italia odierna.

Elza Coculo
Elza Coculo
Elza Coculo, 30 anni, di adozione romana. Lettrice appassionata con formazione in Studi italiani. Laureata in Editoria e Scrittura. Redattrice per Il Digitale. Amo scrivere di attualità e cultura eco-sostenibile.
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Klodiana Çuka è un’imprenditrice e mediatrice culturale italoalbanese. Dopo la laurea in lingue, dal 98 ha gestito lo sportello accoglienza migranti del comune di Lecce, inizialmente come volontaria. Si è impegnata nel sociale con riconoscimenti nazionali e internazionali e ha collaborato con il Cnel. E nel 2003 fonda Integra Onlus, associazione umanitaria di cui è presidente, e arriva a gestire 55 case d’accoglienza per migranti in diverse regioni italiane. Dopo una militanza in Alleanza Nazionale, nel 2010 è diventata la prima cittadina albanese candidata a elezioni regionali italiane.L’anno scorso ha dovuto chiudere tutto. Con i decreti Salvini non c’erano più le condizioni per il Terzo Settore in questo campo. Le banche hanno chiuso i fondi e l’accoglienza è diventata un business. Ma ha detto nella nostra intervista:

Ci possono togliere gli strumenti, ma non la dignità e la speranza. Noi continueremo sulla nostra strada. Un insegnamento che mi porto scolpito nel cuore dalla tremenda esperienza della dittatura comunista, dove sono nata e cresciuta fino a 20 anni e dove ho assistito al martirio della mia famiglia materna. 

Si sono recentemente tenuti a Roma gli Stati Popolari, nati dalla protesta del sindacalista Aboubakar Soumahoro. Si può dire che le sue iniziative abbiano portato la discussione sui migranti a un livello successivo?

Certamente sì! Oggi, servono sicuramente in Italia migliaia di Aboubakar, che ricordino ai governanti che nelle campagne, nelle periferie e nelle città servono diritti e non solo braccia! Non siamo figli di un Dio minore, i migranti meritano un altro posto nella contemporaneità italiana. Meritano rispetto e considerazione per troppi motivi, sarebbe retorico qui ripetere. Ma il grado di civiltà di una nazione si misura dal trattamento che riserva ai migranti, agli anziani, ai più deboli, agli ultimi e dalle politiche sociali che attua. Certamente in questo momento storico in Italia non possiamo andare fieri e l’emergenza Covid-19, come ogni crisi, diventa semplicemente una lente di ingrandimento sulle lacune del sistema. 

Ci tocca solo aspettare e vedere se gli impegni presi dal Premier Conte e dai suoi Ministri avranno seguito o se finiranno nel calderone delle promesse politiche. Lo stato di fatto è che nonostante sia passato quasi un anno dal cambio di guardia del Viminale, e il Governo abbia cambiato colore, nessun effetto di doveroso cambiamento è conseguito alla stagione politica e legislativa più vergognosa degli ultimi 30 anni in Italia. 

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Tra le richieste degli invisibili anche quella di abolire i decreti Sicurezza salviniani. Lei che di accoglienza si occupa, da dove ricomincerebbe?

In verità i decreti INSicurezza, non c’è un altro modo per definirli, almeno da parte mia, hanno sollevato subito dubbi di legittimità costituzionale, perché violano i trattati internazionali. Andrebbero aboliti in quanto Antimigranti e AntiUomo! Il caso drammatico della nave Sea Watch 3 è ancora vivo e il governo italiano ha dovuto rispondere alle dure contestazioni della stessa ONU, che lo ha accusato di “mettere in pericolo la vita dei migranti”. Il traffico degli scafisti è criminale, da stroncare con ogni mezzo, ma salvando sempre le vite umane dei migranti.

Mentre, il tema della sicurezza interna, a discapito della sicurezza internazionale, sembra l’ossessione prevalente della nostra opinione pubblica. Il governo “Sovranista-Populista” ha proposto soluzioni facili a problemi complessi, a colpi di slogan a effetto. Ma la realtà risulta ben diversa. La maggioranza dei provvedimenti d’urgenza sono rimasti monchi nella loro effettiva applicazione, anche in aspetti decisivi. E ancora, i cosiddetti decreti Sicurezza hanno solo peggiorato le condizioni del sistema di gestione e accoglienza dei migranti: non hanno portato alla diminuzione degli sbarchi né dei morti in mare, non hanno portato alla riduzione del numero di irregolari, né del numero dei rimpatri. E tanto meno alla realizzazione della cosiddetta politica dei “porti chiusi”. Non è successo nulla di tutto questo! 

Chi riesce ad arrivare in Italia rischia più di prima di diventare un irregolare, condizione che alimenta il rischio di attività illegali e la generale percezione di insicurezza. I decreti hanno paralizzato in modo drammatico la gestione dei flussi migratori e i processi di integrazione in Italia, come mai era accaduto negli ultimi 30 anni. Al momento della nascita del primo governo Conte, uno dei rari dati citati nel Contratto di governo, nel capitolo dedicato all’immigrazione, era la stima di quanti stranieri vivevano senza permesso sul territorio italiano. All’epoca erano circa 500 mila. Il dato era corretto. Ad oggi, secondo le analisi, il numero degli irregolari è aumentato vertiginosamente, raggiungendo i 750 mila. Il primo decreto Sicurezza, in particolare, ha letteralmente smantellato il lavoro di 30 anni su politiche migratorie e integrazione. Il sistema dell’accoglienza andava rivisto in molti aspetti, ma funzionava e certamente non produceva clandestini. L’integrazione è un passaggio cruciale per accompagnare i migranti verso l’indipendenza nel tessuto socioeconomico del Paese ospitante ed è stata letteralmente abolita.

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Altra richiesta, abolizione della legge Bossi-Fini. Cosa ha comportato esattamente nel 2002 l’applicazione di questa legge?

Ricordo bene l’estate 2002. Era l’anno in cui mi diplomavo come mediatrice linguistico culturale a Roma presso il CIES. Opportunità fortunata, che mi diede la possibilità di seguire l’acceso dibattito contro la proposta di legge direttamente da Roma. La Bossi-Fini, oltre che inasprire le regole d’ingresso, e collegare il permesso di soggiorno a un duraturo contratto di lavoro, inaspriva l’espulsione degli irregolari. Lo straniero espulso che rientra nel proprio paese senza permesso commette un reato e viene detenuto in carcere. Una pagina molto brutta e molto dibattuta, senza alcun successo, non solo per politiche migratorie italiane dei primi anni duemila, ma per tutto ciò che concerne i diritti umani. 

Mentre per quando riguarda i respingimenti, la legge mirava a fare in modo che i barconi non potessero attraccare sul suolo italiano e che l’identificazione degli aventi diritto all’asilo politico, o a prestazioni di cure mediche e assistenza, avvenisse direttamente in mare. Per questo motivo spesso i migranti si buttano in mare dai barconi provando ad arrivare a riva a nuoto. Un’altra schizofrenia riguarda il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, previsto per chiunque porti in Italia dei migranti senza un visto d’ingresso.

Un memorabile spiacevole ricordo riguarda l’episodio dell’8 agosto del 2007, quando i capitani tunisini di due pescherecci salvarono 44 naufraghi provenienti dall’Africa che stavano per affogare e li portarono nel porto più vicino, quello di Lampedusa. Vennero sospettati di essere scafisti, subirono un processo lungo quattro anni, con una prima condanna a più di due anni, 40 giorni di carcere e il sequestro degli strumenti di lavoro. Il nostro Paese ha processato dei pescatori che hanno salvato vite umane con l’accusa di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Ma la Convenzione SAR del 1979 impone sempre e comunque il soccorso in mare e l’accompagnamento dei naufraghi in un luogo sicuro.

Impegnati a perseguire i clandestini, la politica ha dimenticato invece di costruire le basi sociali, ma soprattutto culturali, su cui poggiare l’accoglienza verso i regolari ed il loro inserimento a beneficio della società e dell’economia italiana. E con l’involuzione della normativa è diventato caratterizzante l’elemento di continuità nella progressiva trasformazione dell’immigrazione da fenomeno sociale a fattore essenzialmente economico. Se irregolari, gli stranieri possono formare quell’esercito di riserva a basso costo necessario a un’economia capitalistica che affronta la propria crisi strutturale con l’assalto al costo del lavoro. Triste, molto triste tutto questo, quando oramai la percentuale dei regolari in Italia ha superato l’8% della popolazione. Un sottoproletariato che pur contribuendo attivamente all’economia del Paese, non ha affatto gli stessi diritti dei cittadini italiani. Ecco a malincuore, cosa possiamo concludere a 18 anni dalla Bossi-Fini.  

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Ha detto che destra e sinistra alla fin fine fanno demagogia sulla pelle dei migranti e poco di concreto. Secondo lei manca la volontà politica?

Dopo tutti i fatti elencati sopra, paradossali e schizofrenici, non credo che la mia affermazione possa essere giudicata fuori luogo. L’Italia resta il Paese delle contraddizioni e dei paradossi, dove la cultura millenaria dell’accoglienza del “Forestiero”, citata anche dalle Sacre Scritture, si scontra sempre più con una previsione legislativa restrittiva e miope, che al primo Dl InSicurezza, ne ha fatto seguire il Bis.

Occorre, invece, un nuovo modello di sviluppo umano e non solo italiano, ma anche europeo, che tuteli i diritti inalienabili dell’uomo. Ora si impone un progetto globale e condiviso, che, in primis, rafforzi la rete pubblica di protezione sanitaria, ma anche con la fase due, quella economica e sociale, all’interno di un rinnovato Patto Europeo. In particolare, bisogna ridare centralità al valore della solidarietà, non “una tantum”, ma coniugata con la sussidiarietà verso il privato sociale, riconoscendo al Terzo Settore un ruolo non marginale ed accessorio. Esso, proprio ora, sta dando un apporto decisivo alla lotta al virus, con i suoi oltre 350 mila soggetti che quotidianamente animano il tessuto del volontariato italiano.

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A seguito dei decreti Sicurezza le 55 case d’accoglienza gestite da Integra Onlus sono state chiuse per mancanza di fondi. Ci spiega come vengono gestiti i finanziamenti dell’accoglienza? Chi paga? L’Europa, l’Italia…

Nonostante l’origine primaria dei fondi per l’accoglienza sia europea, in Italia l’unica possibilità che permette l’avvio dei servizi è il sistema degli anticipi bancari. Per ottenere quell’anticipo dalla Banca bisogna presentare garanzie e firmare una fideiussione che compromette il patrimonio personale dei soci. Nonostante i soldi siano nelle casse della ragioneria del Viminale, questi arrivano prima presso le Prefetture, prima accoglienza, e presso il Servizio Centrale. Solo in seguito arrivano ai Comuni e poi nelle casse degli enti gestori. Ci vuole un minimo di sei mesi, ma arrivano anche con un anno di ritardo dopo l’avvio degli appalti. In nessun altro paese europeo esiste l’anticipo delle somme degli appalti da parte delle banche. Le fatture vengono anticipate per tre mesi, rinnovate per altri tre e al massimo fino a nove mesi. Poi le banche richiamano a rientrare, facendo pagare interessi molte volte discutibili.

Integra non voleva assolutamente chiudere le sue strutture, ma siamo stati costretti. Era insostenibile fare il bancomat per lo Stato italiano, hanno detto i colleghi di Cagliari. Come era insostenibile non pagare i dipendenti e gli operatori per mesi, come è successo nelle case di Monza, di Pavia e Lodi. Insostenibile essere accusati come mal pagatori, nonostante resi insolventi per colpa dello Stato. Abbiamo incontrato anche dei funzionari che hanno fatto con zelo e responsabilità il proprio lavoro, ma purtroppo il sistema ha reso vano anche il loro impegno. Dato di fatto inconfutabile, le Prefetture ancora devono saldare le somme per i servizi effettuati per il 2018 ed il 2019 e non solo a Integra Onlus, ma anche a tanti altri Enti gestori. Integra ha scritto varie volte lettere aperte, pubblicate in diverse testate, ha promosso anche una petizione sui ritardi dei pagamenti, ma proprio per non essere punti, molti enti gestori preferiscono non alzare la voce. Per tutto ciò Italia a gennaio del 2020 è stata condannata dalla Corte di Strasburgo per i ritardi di Pagamento della PA, tra i primi della lista il Ministero dell’Interno. Tutto denaro dei contribuenti italiani. Di chi è la responsabilità? Accadrà mai che qualche ministro o Premier di prenderà il fastidio di esaminare tali abusi, affinché non siamo più ripetuti?

Ecco perché servono oggi più che mai, migliaia di Aboubakar Saumahoro, per una pacifica rivoluzione delle politiche migratorie italiane, ma servono prima di tutto politici italiani coraggiosi che amino veramente il futuro del proprio Paese e dei propri figli, che cresceranno inevitabilmente in un mondo sempre più multietnico, perché il Mondo è di tutti noi e gli uomini non riusciranno a lungo tenerne sbarrati i confini.

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