PTSD: cos’è il disturbo da stress post-traumatico? Katniss Everdeen e gli Hunger Games

PTSD, tutto quello che devi sapere sul disturbo da stress post-traumatico e sul perché la saga di Hunger Games spiega benissimo.

Marianna Chiuchiolo
Marianna Chiuchiolo
Giornalista con studi in Mediazione Linguistica, una formazione da teatrante e una generale tendenza a perdersi nei vicoli di una fervida immaginazione. Ama in egual misura la scienza e la poesia e si spende da tempo per la crociata della Mental Health Awareness come missione di vita.
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In un periodo di gravi sconvolgimenti ambientali e sociali, l’attenzione del grande pubblico comincia a rivolgersi a una delle forme di disagio mentale più stranianti: il disturbo da stress post-traumatico, noto anche come PTSD, dall’Inglese Post-Traumatic Stress Disorder.

Si tratta di una condizione molto complessa, descritta nel DSM-5 nel capitolo dei disturbi correlati a trauma e stress, che può svilupparsi a seguito di esperienze traumatiche vissute dai soggetti interessati. Tra le esperienze cosiddette traumatiche possono esserci episodi di violenza, incidenti, catastrofi ambientali e guerre, ma anche abusi familiari, abbandono, degrado e condizioni esterne stressanti vissute per periodi prolungati.

Il disturbo da stress post-traumatico presenta un quadro sintomatico che può variare notevolmente da caso a caso, ma in generale i suoi effetti sul vissuto di chi ne soffre sono legati all’impossibilità di elaborare e lasciarsi alle spalle il trauma, che continua a perseguitare il soggetto in maniera più o meno invasiva e debilitante.

Si tratta, in verità, di una condizione molto sottovalutata e non sempre compresa, particolarmente a causa dei diffusi costrutti sociali secondo i quali bisogna mostrarsi forti e inaffondabili, e a una generale tendenza a sottovalutare esperienze di vita ritenute meno dolorose di altre.

PTSD, chi ne è colpito e come influisce sull’organismo

Per comprendere la natura del PTSD bisogna innanzitutto capire come si manifesta. Il disturbo può interessare soggetti di ogni età e classe sociale e non bisogna compiere l’errore di pensare che solo i soggetti più fragili ne siano affetti. Difatti, la condizione in sé è stata approfondita a livello accademico soprattutto a seguito della guerra in Vietnam, poiché molti veterani ne presentavano i sintomi.

Da un punto di vista fisiologico, diverse ricerche hanno rilevato livelli anormali di ormoni coinvolti nella risposta allo stress e alla paura nel cervello di individui affetti da PTSD, con funzionamento anomalo dell’amigdala e dell’ippocampo, le due ghiandole coinvolte nella gestione delle emozioni e della memoria.

In alcuni casi, lo stress vissuto era talmente importante da aver portato ad alterazioni del flusso sanguigno cerebrale e a cambiamenti strutturali nei tessuti del cervello.

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Sintomi del disturbo da stress post-traumatico

Da un punto di vista clinico, chi soffre di PTSD continua a rivivere l’esperienza traumatizzante senza riuscire a lasciarsela alle spalle.

In alcuni casi, i soggetti mostrano emotività, attacchi di rabbia improvvisa, confusione emotiva, ansia, depressione e insonnia, particolarmente in occasione di eventi o commemorazioni che ricordino loro l’esperienza traumatica.

Possono verificarsi anche manifestazioni fisiche come dolori al torace, iperventilazione, vertigini o emicranie.

Nelle forme più complesse, i soggetti rivivono l’esperienza traumatica in maniera più invasiva, attraverso incubi o flashback che, nei casi più gravi, possono essere talmente vividi da distaccare al persona dal momento presente e convincerla che l’evento traumatico si stia verificando nuovamente.

Si tratta di manifestazioni molto difficili da gestire poiché, sebbene la parte razionale della persona sia consapevole di essere altrove e al sicuro, la loro vividezza riesce a mettere in dubbio la percezione del reale.

Questi episodi di intrusione possono portare a comportamenti evitanti nei confronti dei cosiddetti trigger, cioè persone e situazioni che ricordino loro dell’esperienza vissuta. Nel lungo andare, questo può portare a un disinteresse e un distacco verso le attività quotidiane, che possono cronicizzarsi in stati ansiosi o depressivi.

In altri casi, il costante senso di pericolo e vigilanza può portare all’abuso di sostanze inebrianti come droghe o alcol, e al rischio di ideazioni suicidarie o comportamenti suicidi.

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PTSD, esempi letterari: la saga di Hunger Games

ptsd sintomi

Un esempio narrativo e cinematografico che può aiutarci a comprendere la complessa natura del PTSD e dei differenti modi in cui può manifestarsi è quello descritto da Suzanne Collins nella popolare saga Hunger Games, e nella conseguente serie di film che hanno avuto come protagonista l’attrice Premio Oscar Jennifer Lawrence.

Sebbene, a uno sguardo superficiale, l’intera saga sia uno Young Adult con al centro della vicenda un classico triangolo amoroso in un contesto post-apocalittico, il mondo di Hunger Games ci mette davanti a un’ucronia distopica incredibilmente brutale, dove la società è caratterizzata da un estremo divario tra ricchi e poveri, dove le ribellioni vengono soffocate nel sangue e le conseguenze dei tentativi di rivolta di un popolo ricadono sui loro figli e sulle generazioni a venire.

Difatti, sebbene l’esperienza del PTSD sia ben caratterizzata nell’arco narrativo della protagonista Katniss Everdeen, quasi tutti i personaggi principali della saga soffrono o mostrano sintomi di disturbo da stress post-traumatico, nello specifico tutti quelli che hanno preso parte ai cosiddetti Hunger Games. Si tratta di un cruento reality show, che si svolge con cadenza annuale, nel quale 24 ragazzi tra i 12 e 18 anni vengono estratti a sorte e costretti a una sfida all’ultimo sopravvissuto per il diletto dei cittadini del Distretto Centrale.

Osservare i protagonisti della saga rapportarsi ai propri demoni è un compendio sorprendentemente accurato delle forme che il PTSD può assumere e delle strategie – siano esse efficaci o fallimentari – che questi mettono in atto per poter convivere con i propri fantasmi.

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Le conseguenze di vivere in una condizione di trauma persistente

disturbo da stress post-traumatico katniss everdeen

Katniss viene introdotta nella storia con alle spalle un passato già traumatico: suo padre è morto quando lei era ancora una bambina, sua madre è conseguentemente piombata in un catatonico stato di depressione e per diversi mesi la famiglia ha patito la fame, finché Katniss stessa non si è vista costretta a farsi carico del sostentamento della madre e della sorella più piccola.

A una storia così logorante si aggiunge la partecipazione ai giochi, un’esperienza paragonabile in ogni aspetto alla guerra: l’unica salvezza è resistere fino all’ultimo, poiché può esserci un solo sopravvissuto. E questo non vuol dire soltanto trovare il modo di nutrirsi e proteggersi dal freddo e dalle infezioni, ma anche, quando necessario, uccidere.

Se il primo capitolo della saga ci mette di fronte a un mondo brutale, dal secondo in poi ci confrontiamo con le conseguenze di un tale costrutto societario, con la straniante dissonanza che porta i soggetti con PTSD a dissociarsi da se stessi in una realtà crudele che non permette loro di guarire, ma solo di trascinarsi dal giorno precedente a quello successivo.

Dal secondo libro in poi, infatti, Katniss ha modo di interagire con altri sopravvissuti ai Giochi, con il loro dolore e con la voglia di rivincita di un popolo che da troppi anni subisce la continua repressione del Distretto Centrale.

Sebbene i protagonisti della storia finiscano col diventare eroi in grado di portare a compimento una ribellione che riscrive le sorti di un intero popolo, il prezzo da pagare per la loro vittoria è schiacciante.

Katniss Everdeen e il disturbo da stress post-traumatico

Ma quali sono i sintomi di PTSD mostrati dalla protagonista?

A partire dal secondo libro, Katniss sperimenta una forma molto complessa di disturbo post-traumatico: vive in una situazione di costante pericolo ed è costretta ad affrontare una schiera di fantasmi che le impedisce di lasciarsi il passato alle spalle.

Una costante della sua quotidianità sono gli incubi notturni, ma il ricordo del trauma subito permea in profondità anche i suoi periodi da sveglia attraverso vividi flashback dell’esperienza passata.

Durante le battute di caccia con il suo amico d’infanzia Gale, unici momenti in cui prima riusciva a rilassarsi e riconnettersi con se stessa, Katniss rivive davanti ai suoi occhi gli attimi in cui ha ucciso i concorrenti dei precedenti giochi, al punto da perdere il contatto con la realtà e ritrovarsi letteralmente nell’arena. Quando questo accade, anche il suo corpo è visibilmente sconvolto: trema, ha il fiato corto, cerca di guardarsi intorno ma spesso le gambe cedono sotto il peso del dolore. Queste manifestazioni intrusive accompagnano la protagonista per tutta la durata della storia.

Nel terzo libro, per non perdere del tutto il contatto con la realtà dopo l’ennesima esperienza devastante, la vediamo svolgere con regolarità un esercizio di grounding che consiste nell’elencare ad alta voce una serie di informazioni su se stessa e sulla sua identità, un mantra che la ragazza ripete ogni volta che ne ha bisogno.

È solo alla fine della ribellione che Katniss ha la possibilità di ricominciare a vivere, pur con la consapevolezza che la sua cicatrice emotiva non sparirà mai del tutto.

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Il disturbo da stress post-traumatico in Hunger Games: personaggi secondari

ptsd hunger games

La penna della Collins è riuscita, tuttavia, a raccontare il PTSD in maniera efficace anche attraverso l’esperienza di altri personaggi:

  • Haymitch Abernathy è il mentore di Katniss, vincitore di una precedente edizione degli Hunger Games. Haymitch è ormai un quarantenne solo e senza voglia di vivere che non mostra alcun interesse verso qualsivoglia attività. Il suo modo di sfuggire al passato è una grave dipendenza dall’alcol, che lo porta a ottundere la propria coscienza per non confrontarsi con i suoi demoni. Non è l’unico ad essere caduto in una dipendenza: altri due personaggi minori vengono descritti come addicted, nel loro caso a una sostanza antidolorifica paragonabile alla nostra morfina che, a lungo andare, ha danneggiato le loro facoltà intellettive.
  • Peeta Mellark è un compagno di Katniss e suo grande amico che, oltre ad aver partecipato agli Hunger Games, viene anche catturato e torturato dal Governo Centrale. Peeta subisce un vero e proprio lavaggio del cervello che spesso lo porta a non distinguere il mondo reale da una sua visione distorta in cui i suoi amici vogliono ucciderlo. La presenza di alcune persone diventa per lui un trigger che lo porta a violenti scatti di furia omicida.
  • Annie Cresta, anche lei reduce di una precedente edizione dei giochi, vive una sorta di regressione emotiva che la porta a comportarsi come se non si trovasse esattamente nella realtà e vivesse in un suo piccolo mondo personale. Quando si confronta con un trigger, si chiude completamente in se stessa, in uno stato di negazione, coprendosi le orecchie e rannicchiandosi in posizione fetale.
  • Finnick Odair, altro vincitore, vive una situazione ancora più complessa. Costretto sotto ricatto a prostituirsi in base ai comodi dell’attuale classe politica, si mostra spesso completamente anaffettivo e cinico. In verità, per sua stessa ammissione, il suo vivere non è altro che un trascinarsi tra la veglia e il sonno nell’attesa della fine.
  • Johanna Mason è un’altra sopravvissuta ai giochi che viene catturata e torturata dal Distretto Centrale. Nel suo caso assistiamo a una serie di comportamenti evitanti. Johanna si mostra sin dall’inizio cinica e provocatoria nei confronti del Governo, come non avesse alcun interesse a restare in vita. Dopo essere stata torturata tramite immersione in acqua ed elettrocuzione, sviluppa una grave fobia verso i liquidi, mostrandosi terrorizzata dalla pioggia e utilizzando soltanto uno straccio umido per lavarsi.

PTSD, terapie e cure

Dopo aver esaminato una tale devastazione emotiva e psicologica, una domanda è dovuta: esiste una cura per il PTSD?

Allo stato attuale, non c’è un consenso generale sulla via più efficace per trattane le manifestazioni. Le terapie più utilizzate possono prevedere l’utilizzo di farmaci e, in generale, si fa molto affidamento sui percorsi di psicoterapia.

Molto efficace si sta dimostrando la terapia EMDR, una metodologia che utilizza i movimenti oculari e altre forme alternate di stimolazione per portare i soggetti a confrontarsi con il ricordo del trauma e desensibilizzarli al dolore legato ad essi.

Altre variabili possono incidere positivamente sul percorso di guarigione.

Fondamentale è avere un ambiente familiare accogliente e comprensivo: è generalmente in questi casi che si ottengono i migliori risultati.

Poiché non si può tornare indietro e impedire all’evento di avvenire, l’unica via possibile è riconnettersi con se stessi, imparando a gestire il ricordo e riprendere il controllo di sé.

È quindi necessario seguire un percorso di accettazione di ogni aspetto di se stessi e imparare a radicarsi nel momento presente e a mantenere calma e concentrazione in ogni circostanza. Arricchire il proprio stile di vita con pratiche volte all’apprendimento di queste capacità – come la meditazione, le arti marziali o alcune forme di esecuzione musicale – può fornire un valido supporto nel percorso di guarigione.

Leggi anche: EMDR: cos’è e come funziona la terapia che agisce sul ricordo dei traumi

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