Anno 2019, abbiamo ancora bisogno di una giornata contro la violenza sulle donne

Domenico Di Sarno
Domenico Di Sarno
Informatico e politologo laureato con Lode. amante dei libri di ogni genere perché fortemente convinto che la cultura sia come il cibo, ne serve ogni giorno per nutrire la mente. Appassionato di storia e diritto costituzionale.
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Dopo un immobilismo politico internazionale e domestico che è durato decenni, dal 2000 per quanto riguarda l’Organizzazione delle Nazioni Unite e dal 2005 in Italia, si è deciso di dedicare la giornata del 25 novembre al rifiuto della violenza sulle donne. Il problema su cui l’Assemblea Generale prima, e il legislatore italiano poi, si proponevano di sensibilizzare l’opinione pubblica tutta è purtroppo atavico. È stata infatti atipicamente normale, per decenni, o addirittura per secoli, l’idea della disuguaglianza tra i sessi. Appunto qualche giorno fa, un doodle festeggiava Matilde Hidalgo come pioniera dei diritti politici delle donne. Per moltissimo tempo, nel mondo apparentemente civilizzato, alle donne sono stati negati i diritti politici e non solo quelli. Sono state necessarie rivoluzioni sociali, talvolta conseguenti a eventi bellici, per ottenere diritti che oggi sono scontati e fanno parte della normalità della vita sociale. Basti pensare al nuovo ruolo della donna nella società all’indomani della Prima Guerra Mondiale. Tali conquiste, che si sono succedute negli anni e nei decenni, soprattutto nel XX secolo, non sono state sufficienti a risparmiare, al genere femminile tutto, discriminazioni e a rendere vittima l’intero universo femminile di disuguaglianze che contrastano con il termine civiltà. Leggi anche: Vittoria Craxi: “Vi racconto cosa vuol dire essere la nipote di mio nonno”

Il ruolo della donna tra storia e speranze per il futuro

La Repubblica Italiana riconosce l’uguaglianza formale e sostanziale delle donne fin dall’entrata in vigore della Costituzione avvenuta il 1° gennaio 1948, eppure sono stati necessari i movimenti rivoluzionari degli anni Sessanta e Settanta per vedere, in parte, i risultati di questa uguaglianza dal punto di vista sostanziale. Le donne hanno sofferto, in quasi tutti i sistemi sociali ed in quasi tutte le epoche, di una condizione ingiusta ed incivile di discriminazione sessuale che non vedeva loro riconosciuto il ruolo fondamentale che hanno in tutte le formazioni sociali quali la famiglia, il luogo di lavoro, le corporazioni sindacali, i partiti politici, nel mondo dell’imprenditoria e nella vita militare. Nella Prima Repubblica abbiamo avuto dei ruoli importanti come quelli ricoperti da Tina Anselmi e Nilde Iotti, che sono state delle pioniere della politica pur senza riflettere, almeno nell’immediato, i loro successi sull’intero corpo sociale. Possiamo citare un esempio ancora più datato, risalendo agli anni Cinquanta in cui Lina Merlin riuscì a far approvare la legge che chiudeva le case di tolleranza in Italia. Leggi anche: “Che nessun talento sia lasciato indietro!” – Alessia D’Epiro, la coach delle imprenditrici

Proteggere le donne non dovrebbe essere compito solo dello Stato

Prescindendo da quella che può essere l’esegesi dei vari episodi storici, possiamo dire che nella vita di tutti i giorni la donna è stata ed è tuttora oggetto di violenza e vittima di soprusi da parte di uomini ma anche di altre donne. Il problema, come si diceva all’inizio, è atavico perché per troppi anni tutto questo è parso normale. Oggi lo Stato ha imparato a tutelare anche le sue cittadine riconoscendo loro diritti e strumenti, normativi ma anche concreti, per poter far valere e quindi realizzare quella uguaglianza sostanziale che è sancita dall’articolo 3 della nostra Costituzione. Se da un lato lo Stato può e deve fare il possibile, invocando gli aspetti del diritto positivo e negativo, dall’altro occorre precisare che lo Stato non è solo il Legislatore e che quindi il compito di tutelare le donne dalla violenza non è solo del Parlamento ma di tutte le istituzioni e dell’intero corpo sociale. Esistono ancora delle consuetudini che permettono soprusi verso le donne. Ogni forma di imposizione è una violenza, non c’è amore che si impone così come non c’è democrazia che si esporta. La democrazia, come l’amore, è una scelta e può essere scelta solo da chi ne è destinatario. Questo non significa limitare il diritto d’amare ma riconoscere in maniera naturale il diritto a donare e la facoltà di chi riceve di scegliere se rifiutare. Leggi anche: Crollo di iscrizioni a scuola per donne migranti, i mariti non vogliono

Non solo violenza fisica: esistono anche abusi psicologici come il revenge porn

Ancora oggi, nel 2019, esistono omicidi passionali, femminicidi e spesso si crede che sia un diritto usare violenza contro la donna amata, perché si ha l’assurda convinzione che questa sia una proprietà o addirittura un oggetto di cui si possa liberamente disporre. Dopo aver considerato le prime tre generazioni di diritti, parlando della loro quarta generazione siamo in presenza anche di un altro tipo di violenza, non necessariamente fisica ma anche psicologica, una violenza da usare come deterrente per condizionare chi si ama, il cosiddetto revenge porn. Un problema attualmente sottovalutato, che andrebbe e va preso in considerazione non solo da chi deve produrre le norme, ma anche da chi deve garantire gli strumenti tecnici per applicarle. La cronaca è piena di episodi di violenza fisica sulle donne: purtroppo non tutte trovano la forza per invocare l’intervento dello Stato, altre ancora non possono e poi ci sono quelle che, per indole caratteriale o culturale, accettano di subire perché pensano che la vergogna sia della vittima e non del carnefice. Un aspetto, questo ultimo, da non sottovalutare sia negli episodi di violenza fisica che di revenge porn. È assurdo che un uomo ─ o perché no, anche una donna ─ conservi delle foto per usarle come deterrente verso l’altra persona, è tipico di personalità perverse, di persone che in definitiva non hanno stima neppure di sé stesse perché non si sentono capaci di sopportare la libertà di scelta e quindi attuano un ricatto preventivo. Leggi anche: Ilaria Di Roberto rompe il silenzio: “Di bullismo non si deve più morire”

Si parla di emancipazione ma i pregiudizi sono duri a morire

Nel 2019 il mondo e l’Italia sono pieni di casi del genere: esistono paesi in cui le donne non possono guidare, non possono andare allo stadio, non possono mostrare il viso, non possono uscire di casa se non accompagnate da un parente maschio. L’Italia, in molti territori, è vittima di usanze e consuetudini che fanno insanamente parte della cultura popolare e che permettono la violenza sulle donne da tutti i punti vista. Non siamo di certo in un paese in cui una donna che è stata fidanzata con due diversi uomini viene lapidata, ma abbiamo delle situazioni incresciose per una civiltà libera, democratica e fondata sull’uguaglianza. Nel 1881 l’apice del verismo Verghiano trovava espressione nel famoso libro “I Malavoglia”, uno spaccato della realtà. È passato più di un secolo e ancora si discute di come dare sostanza alla parità dei sessi. Si è arrivati a proporre una esegesi dei testi sacri, Bibbia e Vangelo in particolare, piegata alla necessità di giustificare la falsa inferiorità della donna e di conseguenza la legittimità del carattere possessivo dell’uomo. Nell’auspicio che la sensibilizzazione dell’opinione pubblica possa contribuire allo sviluppo educativo delle nuove generazioni, è bello concludere con una frase che ha un po’ di secoli e che è presente nel Talmud:

La donna uscì dalla costola dell’uomo, non dai piedi per essere calpestata, non dalla testa per essere superiore ma dal lato, per essere uguale, sotto il braccio per essere protetta, accanto al cuore per essere amata.

Leggi anche: Giappone, tacchi alti e niente occhiali in ufficio se sei donna: si scatena la polemica Domenico di Sarno

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