Amazzonia, la tribù Kayapo contro Bolsonaro, responsabile di morti Covid e deforestazione

Membri della tribù Kayapo bloccano un'importante autostrada transamazzonica per protestare contro la mancanza di sostegno governativo durante la pandemia di coronavirus e per la deforestazione illegale nei loro territori.

Elza Coculo
Elza Coculo
Elza Coculo, 30 anni, di adozione romana. Lettrice appassionata con formazione in Studi italiani. Laureata in Editoria e Scrittura. Redattrice per Il Digitale. Amo scrivere di attualità e cultura eco-sostenibile.
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I popoli indigeni dell’Amazzonia da tempo gridano alla rivolta contro il presidente Jair Bolsonaro, accusato per la sua gestione irresponsabile e prepotente della Foresta. Prima che iniziasse il caos seguito all’emergenza coronavirus, lo scorso 5 febbraio, il presidente brasiliano ha firmato un progetto di legge, il “PL 191/2020”, che autorizza l’estrazione mineraria su larga scala nei territori indigeni, l’estrazione di gas e petrolio e altre attività distruttive. La proposta, che Bolsonaro ha salutato come un “sogno”, viola apertamente sia la legislazione brasiliana esistente, sia la legge internazionale. I popoli indigeni dipendono solo dalla loro terra per sopravvivere e l’invasione, la distruzione e il furto dei terreni metterebbe in crisi la sopravvivenza stessa della comunità. Questo ennesimo abuso di Bolsonaro lo scorso febbraio aveva scatenato le proteste della comunità indigena, documentata sulla rete e supportata dall’hashtag #StopBrazilsGenocide.

Dopodiché è scoppiato il caos dell’emergenza sanitaria che ha sconvolto l’intero Brasile e inevitabilmente le comunità indigene dell’Amazzonia. Ed è proprio contro la mancanza di sostegno governativo durante la pandemia di coronavirus e contro la deforestazione illegale nei loro territori che i membri della tribù Kayapo sono tornati a protestare, bloccando un’importante autostrada transamazzonica.

Cosa è successo in Amazzonia durante il coronavirus

Manaus, la più grande città e capitale di Amazonas, è apparsa su tutti i giornali per l’alto numero di contagi e morti causate dalla diffusione del virus. Il sistema sanitario è collassato immediatamente, sono state scavate fosse comuni per i numerosi cadaveri e molti altri sono morti nelle loro comunità, senza essere in grado di raggiungere gli ospedali per le cure, e, probabilmente, non verranno mai conteggiati nelle statistiche delle vittime da coronavirus. Già all’inizio dell’emergenza José Joaquín Carvajal Cortés, biologo e ricercatore dell’istituto Fiocruz Amazonia a Manaus, una delle istituzioni di ricerca sulla salute pubblica più importanti al mondo, diceva:

Non abbiamo modo di occuparci della maggior parte della popolazione. L’area è quasi priva di infrastrutture sanitarie e le popolazioni indigene sono più vulnerabili a questo tipo di malattie respiratorie. La storia ci insegna come malattie come questa possono distruggere intere popolazioni native. I posti letto negli ospedali sono finiti nel giro di una settimana.

Leggi anche: Amazzonia, la deforestazione aumenta del 55% durante la pandemia

I popoli indigeni chiedono l’aiuto internazionale

Amazzonia, Manaus
Manaus, Amazzonia brasiliana. Il cimitero della città in aprile.

Di fronte alla non curanza del presidente Bolsonaro per l’emergenza sanitaria, Gregorio Díaz Mirabal, presidente del Coica, il Coordinamento delle organizzazioni indigene del bacino amazzonico, che rappresenta gli oltre tre milioni di abitanti nativi che condividono questo territorio in nove stati, chiedeva aiuto alla comunità internazionale per salvare l’Amazzonia dall’emergenza coronavirus. “I nostri governi sono sotterrati dal debito. Abbiamo bisogno dell’aiuto internazionale per affrontare questa emergenza” scriveva. A suo supporto Sebastião Salgado, il più rinomato fotografo del Brasile, e Lélia Wanick Salgado, sua moglie, rivolgevano a Bolsonaro un accorato appello per fermare il “genocidio degli indigeni” nella sua regione e hanno cercato di sensibilizzare l’opinione pubblica per aiutare le comunità dell’Amazzonia, scrivendo petizioni e facendo circolare le informazioni. Rivolgendosi al presidente hanno scritto:

Chiediamo al presidente della Repubblica, il Sig. Jair Bolsonaro, e ai dirigenti del Congresso e della Magistratura di adottare misure immediate per proteggere le popolazioni indigene del Paese da questo devastante virus.

Leggi anche: Stop a deforestazione, WWF: “Le foreste sono il nostro antivirus”

Le responsabilità di Bolsonaro

Nonostante il presidente del Brasile Jail Bolsonaro fosse chiamato ad assumersi una grande responsabilità, egli ha deciso di trascurare apertamente l’emergenza. Questo comportamento, secondo molti esperti di salute pubblica, è conseguenza diretta dell’alto numero di contagi a Manaus. Pedro Rapozo, segretario della Sbpc, la società brasiliana per il progresso della scienza, ha commentato:

Il popolo fa quello che dice il presidente, diffondendo l’infezione e provocando morti e le persone continuano con la loro vita quotidiana quasi come se niente fosse. Il 10% delle morti per Covid in Brasile è nella regione amazzonica.

Leggi anche: Presidente WWF: “Senza un passo indietro nessun futuro per il Pianeta”

La comunità indigena contro Bolsonaro

La tribù Kayapo ha iniziato una nuova protesta contro il presidente brasiliano Jair Bolsonaro, bloccando la transamazzonica, strada di collegamento principale.

A questo si aggiunga che il lockdown voluto da Brasilia, anche se osteggiato a più riprese dallo stesso Bolsonaro, ha confinato gli indigeni lontano, consentendo a cercatori d’oro illegali e agricoltori senza autorizzazione di disboscare. Come conseguenza di questo momento di paralisi del governo e di estrema fragilità delle comunità indigene dell’Amazzonia, le invasioni degli sfruttatoti sono aumentate notevolmente. Allo stato attuale, gli incendi continuano a distruggere la foresta e i piani imprenditoriali del presidente Bolsonaro sono una minaccia costante. Tutto sommato, saranno presto chiare le motivazione delle nuove proteste della tribù Kayapo che stanno bloccando la transamazzonica.

Leggi anche: Amazzonia, è di nuovo allarme incendi, e non possiamo voltarci

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Elza Coculo, 30 anni, di adozione romana. Lettrice appassionata con formazione in Studi italiani. Laureata in Editoria e Scrittura. Redattrice per Il Digitale. Amo scrivere di attualità e cultura eco-sostenibile.
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