Stop a deforestazione, WWF: “Le foreste sono il nostro antivirus”

Elza Coculo
Elza Coculo
Elza Coculo, 30 anni, di adozione romana. Lettrice appassionata con formazione in Studi italiani. Laureata in Editoria e Scrittura. Redattrice per Il Digitale. Amo scrivere di attualità e cultura eco-sostenibile.
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L’essere umano è senza dubbio la specie più invadente che abiti il pianeta Terra. In poche migliaia di anni abbiamo occupato più di 1/3 delle terre emerse con le nostre città, i nostri pascoli e le nostre colture. Per farci spazio abbiamo raso al suolo foreste, arso praterie, prosciugato falde acquifere, danneggiato l’aria, prodotto scorie. E abbiamo compromesso la biodiversità di flora e fauna. Decenni di deforestazione e frammentazione degli habitat, di facilitazione all’accesso di zone remote del Pianeta e di commercio, legale e non, di animali selvatici, hanno creato forti squilibri ecologici. Scrive il WWF nell’ultimo rapporto:

Le foreste sono il nostro antivirus. La loro distruzione può quindi esporre l’uomo a nuove forme di contatto con microbi e con specie selvatiche che li ospitano. Il cambiamento di uso del territorio come le strade di accesso alla foresta, l’espansione di territori di caccia e la raccolta di carne di animali selvatici, hanno portato la popolazione umana a un contatto più stretto con nuovi virus, favorendo l’insorgenza di nuove epidemie.

Deforestazione e frammentazione dell’habitat

Secondo la Global Forest Watch Institute, ogni anno perdiamo un’area grande quanto il Belgio di foreste primarie per la produzione industriale di materie e prime. Per accedere alle aree trasformate si costruiscono strade e si formano nuovi insediamenti. Ciò comporta la cosiddetta frammentazione, cioè l’habitat naturale, che un tempo ricopriva con continuità una vasta area, viene suddiviso in frammenti, separati tra loro da aree antropizzate. Le specie reagiscono in modi diversi ai cambiamenti dell’habitat. Molte non riescono a trovare più le condizioni necessarie per la loro sopravvivenza e si estinguono. Alcune riescono, grazie alle loro capacità di spostamento, a raggiungere nuovi territori ed esplorano nuovi habitat. Altre, invece, si adattano alle nuove condizioni, come nel caso delle zanzare Anopheles, vettori del virus che causa la malaria. E certamente la frammentazione dell’habitat è responsabile delle esplosioni di casi di malaria in Africa, Asia e America Latina. Questo tipo di zanzara prospera negli ambienti agricoli o urbanizzati sorti a discapito delle foreste. Sono luoghi in cui circolano molte persone e offrono spesso accumuli d’acqua stagnante, condizione favorevole per la riproduzione. Leggi anche: “Voglio che tutti i media vedano questo”, la Foresta Amazzonica brucia. Ecco come possiamo salvarla

Perché tante epidemie nascono in Africa e Asia?

Il professor Suresh Kuchipudi, della Pennsylvenia State University, è esperto di virus zoonotici, cioè di virus che passano dagli animali all’uomo. In un articolo l’esperto spiega perché questo genere di epidemie si sviluppi spesso in Paesi dell’Asia o dell’Africa, zone che stanno conoscendo una profonda riorganizzazione. In queste due regioni del globo abita il 60% circa della popolazione mondiale. Nell’ultimo decennio circa 200 milioni di asiatici hanno lasciato le campagne per raggiungere le nuove zone urbane. Urbanizzazione significa deforestazione e distruzione dell’habitat. Ciò ha spinto gli animali selvatici, privati delle loro case, ad avvicinarsi ai centri urbani. Gli animali selvatici sono ospiti perfetti per i virus, alcuni dei quali possono fare il salto di specie e passare all’uomo. Inoltre, l’uccisione di predatori, prime vittime dell’urbanizzazione, ha permesso il moltiplicarsi dei roditori, anche loro veicolo perfetto di virus zoonotici. Negli ultimi vent’anni abbiamo avuto tre diverse epidemie di una qualche variante di coronavirus. Continuando a stravolgere l’ecosistema non riusciremo a evitarli. Scrive il professor Kuchipudi:

C’è urgente bisogno di strategie contro la deforestazione e che riducano il contatto tra uomo e animali selvatici.

Cos’è il bushmeat

È comprovato che il contatto con specie selvatiche possa portare all’insorgere e contribuire alla diffusione di gravi zoonosi. Non a caso le ricorrenti esplosioni di epidemie di Ebola sono spesso collegate al consumo di carne di scimmia contaminata. La deforestazione è legata a doppio filo al bushmeat, la caccia e il consumo di animali selvatici nelle zone tropicali. Letteralmente bushmeat significa ‘carne di foresta’. Molto spesso nelle aree tropicali è permesso agli stessi operai forestali di praticare questo tipo di caccia in modo incontrollato. È una sorta di benefit che controbilancia i salari bassi. Per uccidere gli animali i cacciatori si inoltrano in zone remote della foresta, uccidono o catturano animali che vivono all’interno. Poi li mangiano o li vendono nei mercati. È un commercio in drammatica espansione e che garantisce introiti elevati. Le Nazioni Unite hanno valutato che il business generato da questo fenomeno ha un indotto compreso tra i 7 e i 23 miliardi di dollari l’anno. La recente decisione della Cina di vietare sul proprio territorio nazionale il commercio di animali vivi a scopo alimentare rappresenta una scelta di fondamentale importanza, ma ancora non sufficiente. Leggi anche: Cina, è finalmente vietato mangiare cani e gatti: “Non più commestibili per legge”

Tanti alberi non fanno una foresta

Alcuni colossi delle energie fossili sostengono che ci si può prendere cura delle foreste e del clima creando piantagioni a uso commerciale. Ma non è così. Secondo le simulazioni di Brad Stelfox, un ecologo indipendente di Bragg Creek, nello stato di Alberta, se gli esseri umani scomparissero, le foreste ricoprirebbero l’80% di queste superfici nel giro di una cinquantina di anni. Ma nei luoghi in cui le foreste originarie sono state sostituite da un’unica specie di alberi, invece, ci potrebbero volere diversi secoli prima che tutto torni allo stato naturale. Oltre ad ospitare gran parte della biodiversità terrestre, le foreste hanno la capacità di assorbire e immagazzinare grandi quantità di carbonio. Esso viene immagazzinato nei fusti massicci e nelle radici profonde di alberi che hanno centinaia di anni. Piantare oggi mille miliardi di alberi per compensare le emissioni di CO2 non è una soluzione valida. Anzi, è parte del problema. Le foreste non vanno sostituite ma tutelate. Quando l’emergenza COVID19 sarà finita potremo tornare alle nostre vite di sempre. Ma è stata proprio la nostra normalità, il nostro standard di vita, a portarci il virus. È chiaro che la nostra sopravvivenza sia strettamente legata alla tutela della natura. Abbiamo ancora possibilità per imparare dagli errori, ma, certamente, non abbiamo un altro pianeta. di Elza Coculo

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Elza Coculo, 30 anni, di adozione romana. Lettrice appassionata con formazione in Studi italiani. Laureata in Editoria e Scrittura. Redattrice per Il Digitale. Amo scrivere di attualità e cultura eco-sostenibile.
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