Videocracy e potere mediatico: come la TV del disimpegno mina le basi a una coscienza civile

Nome completo: Videocracy-Basta apparire, documentario potentissimo che a 12 anni dalla sua uscita è ancora capace di far riflettere sulle sfumature, o storture, del potere mediatico.

Luca Tartaglia
Luca Tartaglia
Classe 88. Yamatologo laureato in Lingue Orientali, specializzato in Editoria e Scrittura, con un Master conseguito in Diritto e Cooperazione Internazionale. Ama dedicarsi a Musica e Cultura, viaggiare, “nerdeggiare” e tutto ciò che riguarda J. J. R. Tolkien
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Parliamo di Videocracy – Basta Apparire, un documentario creato e pensato dal regista Erik Gandini nel 2009, di produzione svedese.

Videocracy nasce con lo scopo di raccontare sotto alcuni punti di vista la “televisione italiana”, in particolare quella di Silvio Berlusconi, chiamato dal regista, che è anche la voce narrante, sempre e solo “Il presidente”.

Il documentario, la cui distribuzione è stata vietata in Rai come in Mediaset, magari si potrebbe dire un pò datato, ma espone un tema sempre attuale: quello del potere mediatico, oggi enormemente sottovalutato.

La televisione rappresentava, e rappresenta ancora, un’enorme sorgente di informazioni che confluiscono nelle menti delle persone e che creano una coscienza civile.

Quindi? Di cosa parla un documentario sulla televisione dell’ex presidente Berlusconi, che racconta di personaggi quali Lele Mora, Flavio Briatore, le veline e le ambiziose aspirazioni di un giovane, quale era Fabrizio Corona, che ha fatto dell’apparire in televisione il centro della sua vita?

Videocracy parla di cultura, di cultura nazionale.

Videocracy: la televisione del Presidente e l’esercito delle veline

videocrazy racconta lele mora e fabrizio corona

Per avere uno spaccato di cosa era, e in effetti è tutt’oggi, la televisione tra la fine degli anni ’90 e la prima decade dei 2000, ci si può sicuramente appoggiare a Videocracy, documentario tutto italiano.

Videocrazy racconta le aspirazioni di giovani, e non, che a frotte partecipavano ad audizioni “pubbliche” (spesso si tenevano anche nei centri commerciali sotto gli occhi di decine di persone) per aspirare al ruolo di velina, o partecipante del Grande Fratello, talent che cominciava oramai a imporsi, o semplicemente per far parte del pubblico di un qualsivoglia programma televisivo. Insomma, occasioni in cui semplicemente bastava “apparire”.

Cosa c’è di male? In effetti nulla. Però il dovere di chi scrive è porsi delle domande. Ad esempio, chiedersi se si faceva del corpo della donna un oggetto del desiderio, scoprendolo in tutte le sue parti per incollare più persone alla Tv, quindi denaturandolo del suo spessore e della sua integrità.

Chiedersi se dare ai giovani come unica prospettiva quella di diventare marito o moglie del famoso di turno, così da avere un futuro garantito economicamente, non fosse un messaggio fuorviante. E invece, far credere che “vendendo” la propria personalità a favore della famelica necessità di spettacolarizzazione si avrebbe avuto accesso all’Eliseo televisivo e quindi a una vita fatta di onori e successi eterni?

Se si avesse una propensione alla critica vera, ci si chiederebbe se la qualità di un monopolio mediatico come quello della famiglia Berlusconi, con la sua “nuova” programmazione, non abbia inciso pesantemente sulla mente, coscienza e formazione civile delle persone. E se sia un caso che chi negli ultimi 20 e passa anni, con un vero impero mediatico multiforme fatto di televisioni nazionali, giornali, riviste e case editrici, ne abbia anche beneficiato, ad esempio diventando svariate volte il “Presidente” del consiglio amato da tutti?

Discussione vecchia? Non credo.

Leggi anche: Trash Tv, lo sfogo di un insegnante: “È causa del decadimento culturale del Paese”

Tv trash: ecco cosa ci racconta Videocracy

videocracy e trash tv

Videocracy è un documentario semplice, in nessun modo infastidisce lo spettatore con giudizi o commenti superflui ai fatti raccontati. Ci permette di entrare brevemente nella testa di alcuni dei personaggi chiave della TV del presidente, come “il burattinaio” Lele Mora. Personaggi che hanno dato vita a un vero e proprio mondo fatto di circoli, palinsesti, personaggi e agenzie, e da cui non siamo più usciti come televisione italiana. Una rivoluzione.

Erik Gandini si limita nel parlare, ma veleggia nel mostrarci immagini, riprese e testimonianze di chi sta dentro, di chi è fuori, e di chi in Tv vorrebbe entrarci come scopo finale della vita.

Videocracy ci parla di ambizioni, di gossip, di soldi: della voglia di apparire a qualsiasi costo. Ci parla della televisione, in particolare quella del presidente, fatta di tronisti, veline, tentatori e letterine, dove non si richiedeva nessuna particolare qualità, se non quella di saper apparire appunto.

Una buona presenza, certo, non si contesta a chi deve lavorare in tv, ma spesse volte apparire “molto” ha significato anche spogliarsi dei vestiti. Questo emerge “violentemente” dal documentario. Questa è l’unica “qualità accettabile” per chi si candida alla televisione del presidente.

Negli anni si è andata delineandosi una certa rincorsa alla televisione, che alcuni chiamano “spazzatura”, o anche “trash”, fatta di spettacolarizzazione, temi semplici ma di forte impatto, immagini e suoni accecanti, esperienze fini a se stesse, alcune al limite della decenza (quando non superata di gran lena). Un netto taglio con la televisione delle decadi precedenti, intesa come strumento informativo e educativo, o almeno quando provava ad esserlo.

L’ignaro spettatore ne esce senza nessun guadagno esperienziale o valoriale, nessuna conoscenza acquisita da ciò che ha appena visto, ma anzi matura una propensione, sempre più tossica, a ricercare al ribasso tra programmi con contenuti similari, che i più li definirebbero “leggeri”, evitando la “fastidiosa” complessità, dirottando il pensiero critico dentro una melma informe fatta di luci e colori e corpi nudi.

Quindi, vediamo nel documentario le diverse fasi che hanno portato a questo risultato, con lo scopo di anestetizzare la mente sociale e la coscienza diffusa. Testimonianza ne sono il proliferare in quegli anni di una certa programmazione, che perdura saldamente ancora oggi, solo annacquata dalla tv on demand.

La televisione, allora, smette quasi totalmente di essere uno strumento comunicativo, informativo e neutrale perché, ci viene spiegato, la gente, il pubblico, è sempre più famelico e proiettato verso questo tipo di comunicazione. Inutile e perversa.

Infine, la cultura, sconfitta, cede il passo a un seno scoperto, a un lancio di torte o al gossip più spinto.

Videocracy e il ruolo della tv nella società moderna, perché parlarne oggi?

videocracy e trash tv

Si vuole riproporre una riflessione a partire da questo documentario perché, anche nella recente pandemia, la televisione ha avuto un ruolo centrale.

Pensiamo a come la Tv ha parlato di campagna vaccinale e a come è stata gestita l’informazione rispetto alla sospensione del vaccino AstraZeneca (una scelta totalmente politica) e alla psicosi indotta nell’opinione pubblica, plasmata da programmi e informazioni volontariamente ambigue e inesatte.

Perché, ribadiamolo, l’EMA (European Medicines Agency) e OMS (Organizzazione mondiale della sanità) non hanno mai richiesto la sospensione del vaccino anglo-svedese, e queste due organizzazioni non risentono delle decisioni dei singoli governi.

Il vaccino è tornato in opera, dopo nuovi controlli, ma l’opinione pubblica tramite televisione e media ne è uscita frastornata e confusa. Perché? Perché l’informazione non ha adottato una linea chiara e sembra non curarsi della sua responsabilità sociale, invece intrinseca nel suo ruolo.

Il ruolo della televisione e dei social nella politica nazionale

Videocracy e il ruolo della televisone

È soprattutto questo senso di superficialità imperante che si riflette nella Tv italiana, una mancata attitudine all’analisi. E possiamo affermare con una certa sicurezza che proprio la televisione degli ultimi anni ha dato l’imprinting a quelli che sono anche i modi comunicativi dei social media moderni.

Sembra che in tv come sui social regni una sorta di anestetizzata svogliatezza nell’informarsi, di disinteresse alla complessità e di una totale assenza di senso critico. Tutti elementi che generano delle fratture sociali e politiche importanti, fratture che verranno sanate solo se l’informazione e i media, quindi la televisione in primis, torneranno a scoprire il loro ruolo di “garanti” della democrazia.

Una possibile cura sarebbe produrre programmi di vera informazione, programmi non necessariamente superficiali e scevri di valori, ma anzi essere educativi e plurali. Come si può fare ciò? Invertendo la tendenza della domanda.

Una società assetata di verità, di senso critico, di comprensione e di buon senso, forse si vedrebbe restituita una televisione finalmente in grado di comprendere il suo peso specifico, in grado di rivoluzionarsi, e quindi rinascere, riscoprendo i valori di una sana e rispettosa comunicazione.

Oggi un documentario come Videocracy è ancora attuale perché questo non accade. Oggi Videocracy deve esser rivisto per raddrizzare le storture di una società scollata prima dalla politica, poi dalla realtà. Una realtà che non si vede in Tv, perché purtroppo non fa audience.

Leggi anche: Celentano scrive a Corona: “I tuoi errori non si possono equiparare a quelli di chi uccide una persona”

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