Linguaggio inclusivo contro razzismo e sessismo, ne parliamo con Vera Gheno

Il Brand L'Oréal, nella sua lotta antirazzista, elimina dalle descrizioni dei prodotti per la pelle, le parole potenzialmente discriminanti come bianco/sbiancante. Ne parliamo con la sociolinguista Vera Gheno, in una ampia analisi sull'uso del linguaggio.

Catiuscia Ceccarelli
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Catiuscia Ceccarelli, giornalista e imprenditrice, si occupa di personaggi, interviste, attualità e lifestyle. Segni particolari? Mamma di Matilde
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In seguito alle pressioni antirazziste del movimento Black Lives Matter, il brand francese di cosmetica L’Oréal ha deciso di eliminare alcuni termini discriminatori dai prodotti in vendita per uniformare la pelle. Ne abbiamo parlato con la sociolinguista Vera Gheno.

La rivoluzione inclusiva della bellezza

vera gheno
L’azienda di cosmetica francese L’Oréal ha cancellato termini discriminatori dai prodotti per la pelle.

Un’ iniziativa forte, quella presa da L’Oréal verso l’inclusione. Decisione nata dopo le manifestazioni attiviste del movimento mondiale Black Lives Matter sollevatosi dopo l’uccisione dell’afroamericano George Floyd da parte della polizia americana. Ecco cosa riferisce una nota del gruppo di bellezza francese:

Il brand cancellerà dal suo packaging e dalle descrizioni dei prodotti le parole bianco/sbiancante (white/whitening)chiaro (fair/fairness, light/lightening), da tutti i prodotti destinati a uniformare la pelle.

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Un messaggio inclusivo

Quella di L’Oréal, è davvero la mossa giusta dal punto di vista inclusivo, in questo momento storico? Lo abbiamo chiesto alla nota sociolinguista Vera Gheno:

Forse l’errore è pensare che sia in questo momento storico. In realtà, è molto tempo che si lavora sul cosiddetto linguaggio inclusivo.  Quello che fa L’Oréal è difficile da valutare da persone che non sono toccate dal problema dello schiarimento della pelle. Io frequento moltissimo l’Asia e lì c’è la fissazione per la pelle chiara. Si comprano questi prodotti che poi di fatto, che facciano proprio bene non è detto. Sono volti a schiarire il tono della pelle, come se effettivamente avere una pelle più scura o ambrata fosse un problema estetico. Che le case di cosmetica facciano più caso alle questioni razziali non mi sembra male. Non ci vedo nulla di male sul fatto che L’Oréal lavori su un linguaggio più inclusivo. Se non servono alla cura della pelle, certi prodotti un giorno possono anche scomparire.

La stessa decisione del colosso di cosmetica francese era stata presa precedentemente anche da Johnson & Johnson, che poi si è evoluta con il recente annuncio da parte della multinazionale americana di annullare la vendita di prodotti ‘schiarenti’ destinati al mercato asiatico e del medio oriente

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Quanto conta il linguaggio

La sociolinguista Vera Gheno.

Il linguaggio è sostanza. La consulente di Zanichelli spiega che:


Fra la realtà e il linguaggio c’è una relazione bidirezionale. È un po’ sbagliato tentare di fare una classifica di problematiche di serie A e problematiche di serie B. Normalmente la lingua si muove in parallelo con la realtà. A volte può essere che preceda la realtà, altre sembra che la segua. È un rapporto molto elastico. Che una grande casa cosmetica abbia deciso di intervenire sul linguaggio non mi stupisce.

Utilizzare le parole giuste può attuare un cambiamento nella percezione che abbiamo delle cose?

Certo che sì, anche se sembra essere una affermazione lapalissiana, non è così nota. Un sacco di persone danno più importanza alla sostanza che alle parole, credendo che in certi contesti i problemi da affrontare vanno oltre al mero linguaggio. Questo rimane la forma di comunicazione umana prevalente e più avanzata, non è indifferente quali parole usiamo.

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Il sessismo nel linguaggio

I problemi delle donne sono altri. Una affermazione che l’ autrice del libro “Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole” si sente ripetere spesso, quando sottolinea l’importanza di usare i sostantivi femminili in ambito professionale:

Certo, i problemi delle donne sono anche altri, però nel momento in cui noi chiamiamo al femminile certe figure professionali facciamo anche in modo che si vedano di più e che siano più evidenti ai nostri occhi. Non è indifferente, secondo me, chiamare Ministra una donna che ricopre questo ruolo, oppure ingegnera una donna che ha questo titolo. Chiamandole al femminile, le vediamo meglio e la loro presenza, in certi contesti, si normalizza.

La questione femminile, dal punto di vista anche del linguaggio, è un problema culturale, ancora oggi?

Direi di sì. Dalla pandemia, è evidente che usciamo maschi e femmine molto diversamente. L’onda lunga della pandemia si abbatterà ancora e in maniera molto più violenta sulle donne. Per tutta una serie di ragioni. Dal punto di vista linguistico, vari episodi hanno mostrato che più o meno sottotraccia la società italiana ha dei lineamenti patriarcali. Un esempio, l’autocertificazione delle prime fasi dopo il confinamento era al maschile e quando qualcuna lo ha fatto notare, le è stato risposto che i problemi erano altri.

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La questione di genere per Vera Gheno

Prosegue la Gheno:

Grosso errore è pensare che le questioni di genere siano un qualcosa di lusso, di cui si può parlare solo quando gli altri problemi della società sono risolti. Invece no, questi sono problemi che toccano metà della società. Non stiamo parlando di un problema collaterale.

Purezza della lingua

Esiste la purezza della lingua italiana? Si può violare?

Non esiste la purezza della lingua italiana, semplicemente per come sono fatte le lingue. La lingua italiana già di per sé è una spugna che ha preso termini e modi di dire da decine di lingue diverse. Fino al 1960 gli italiani non parlavano tutti italiano, abbiamo iniziato a modificarlo già da allora. Non c’è mai stata l’età dell’oro della lingua italiana. La storia della lingua italiana si spalma su un percorso lunghissimo, dal latino in poi. Chi difende la purezza della lingua italiana non conosce la storia dell’italiano. Non sa che in latino classico e poi in latino medievale era perfettamente normale creare i femminili professionali quando era necessario. Non è una novità. Alcuni termini sono più storici di altri perché, dovendo rispecchiare la realtà, i femminili sono usati quando compare davanti al naso la persona da chiamare con quel sostantivo. Il fatto, ad esempio, che noi non siamo abituati a “ingegnera” è perché fino a dieci anni fa, il lavoro di ingegnere tra le donne non era così comune.

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L’ideologia della declinazione

Conclude Vera Gheno:

Secondo me, bisognerebbe rendersi conto che è ideologico declinare al maschile le donne, non il contrario. La storia ci dimostra che quando c’erano donne a ricoprire certe posizioni, erano sempre chiamate al femminile.

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