Smart working: è davvero così smart? Sala: “Chi è a casa non stia tranquillo”

Lo smart working potrebbe rivelarsi una trappola psicologica. Il Sindaco di Milano Sala invita a tornare in ufficio per la ripresa dei consumi.

Catiuscia Ceccarelli
Catiuscia Ceccarelli
Catiuscia Ceccarelli, giornalista e imprenditrice, si occupa di personaggi, interviste, attualità e lifestyle. Segni particolari? Mamma di Matilde
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Si dice smart, che significa brillante, ma se questa parola viene posta prima di working, lo smart working è tutto fuor che un lavoro intelligente. La soluzione lo è di certo, ma forse c’è da lavorarci su per non perdere l’occasione brutalmente fornita dal Covid di creare un modo di lavorare costruttivo per le famiglie. In particolare, per le donne, perché lo smart working è a tutti gli effetti una cosa da donne.

Lo smart working è davvero smart?

La possibilità di organizzare gli orari di lavoro in maniera flessibile sfruttando la tecnologia è un punto a favore dello smart working. Un modo per le aziende di ridurre i costi del lavoro e di conseguenza aumentare l’efficienza e la produttività dell’impresa e dei propri dipendenti. Per i lavoratori, o meglio per le lavoratrici (il 60% delle donne lavora in modalità smart working) significa poter conciliare il lavoro con la vita privata. Ma è davvero smart? Il lockdown ci ha presentato una fotografia diversa dalle rosee aspettative del lavoro cosiddetto agile.

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Da smart working a extreme working

Secondo un’indagine svolta a campione tra multinazionali e PMI da Valore D con l’obiettivo di analizzare il mondo del lavoro in Italia in questo periodo di grande criticità dovuto all’emergenza Coronavirus, è venuto fuori che 1 donna su 3 lavora più di prima e non riesce, o fa fatica, a mantenere un equilibrio tra il lavoro e la vita domestica. Tra gli uomini il rapporto è di 1 su 5. Barbara Falcomer, direttrice generale di Valore D commenta:

La ricerca conferma che la responsabilità della cura famigliare continua a gravare in prevalenza sulle donne che, soprattutto in questa situazione di emergenza, fanno fatica a conciliare la vita professionale con quella personale. Sarebbe invece auspicabile che proprio momenti di crisi come questi potessero aiutare a sviluppare una maggiore corresponsabilità genitoriale che alleggerisca la donna dal duplice carico famigliare e professionale.

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Smart working non è lavorare da remoto

Purtroppo, c’è ancora una forte tendenza a percepire lo smart working come lavoro da casa o da remoto. Niente di più vero. Non è il telelavoro e non è neanche un lavoro sottopagato perché gode delle stesse condizioni contrattuali di un’occupazione in presenza. Questo tipo di riorganizzazione del modo di lavorare richiede grande disciplina personale, la ricerca di una postazione di lavoro tranquilla e isolata da gestire nell’arco di determinati orari. Con la tecnologia si può lavorare ovunque ci sia una connessione.

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Stress da smart working

Se prima della quarantena, lo smart working era preso in considerazione solo da poche aziende lungimiranti, adesso è utilizzato molto più frequentemente e in maniera diciamo coatta. Non è tutto oro ciò che luccica. Molto spesso, sui social lo smart working viene raccontato con immagini che ritraggono la donna serena intenta a lavorre con una bella e ordinata scrivania e una tazza di caffè in mano. In realtà è una vera e propria sfida per la salute psicologica dei lavoratori.

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Smart working e telepressione

Chi lavora da casa o con modalità smart, è soggetto alla telepressione. Secondo Luisa Errichiello, ricercatore Cnr Ismed:

Ci si aspetta che poter lavorare in autonomia accresca il senso di libertà migliorando il work-life balance. Ma secondo alcuni studi accade spesso il contrario: ci si sente in dovere di dimostrare che si è presenti anche se fisicamente lontani, avvertendo la pressione di rispondere subito alle mail o ai messaggi, magari senza limiti di orario. Ma questo può danneggiare la salute, la concentrazione, la produttività. Non solo. Quando la tecnologia è l’unico canale per la socialità con i colleghi, i legami deboli importanti per la circolazione di idee e conoscenza, tendono a indebolirsi ulteriormente.

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Lo smart working non è la normalità

Il Sindaco di Milano Beppe Sala dice la sua sullo smart working.

Se da una parte, c’è chi promuove lo smart working per conciliare lavoro e famiglia o per ridurre i costi aziendali e migliorare la qualità della vita, dall’altra c’è chi mette in guardia i lavoratori agili. Il Sindaco di Milano Beppe Sala, in una sua recente intervista a Quante storie su Rai3 crede che lo smart working sia una buona pratica, ma non è la normalità. Il primo cittadino meneghino invita a rientrare negli uffici e crede che molte aziende stiano pensando a dei piani di licenziamento. Chi è a casa di non stia tranquillo:

Con molta gente a casa, le comunità si fermano, a partire dalla ristorazione fino ai tassisti e alla cultura, e non si può pretendere che da un giorno all’altro le città non si basino più sui consumi. Una mia seria preoccupazione è che con i fatturati che scendono le aziende stanno valutando se hanno davvero bisogno di tutti gli spazi e le persone di oggi.

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