Un ristorante giapponese ti presenta il conto in base ai tuoi follower di Instagram

Valentina Cuppone
Valentina Cuppone
Valentina Cuppone, classe 1982. Caporedattore de Il Digitale. Formazione umanistica, una laurea in Lettere Moderne e una specializzazione in Comunicazione della cultura e dello spettacolo all’Università di Catania. Curiosa e appassionata di ogni cosa d’arte, si nutre di libri, mostre e spettacoli. Affascinata dal mondo della comunicazione web, il suo nuovo orizzonte di ricerca è l''innovazione.
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11-10-2018. Sarà una data che si ricorderà per i prossimi anni e di cui si sentirà parlare, con entusiasmo, curiosità e forse a volte critiche. Perché nell’ambito della ristorazione e della vita mondana è successo qualcosa che fino a ora era possibile associare solo a scenari alla Black Mirror. Una realtà talmente distopica da non poter credere che in un futuro, più o meno vicino, potesse accadere. E invece questo futuro non era poi così lontano. Anzi ora è proprio presente. Perché lo scorso 11 ottobre ha inaugurato a Milano un altro ristorante della catena This is not a sushi bar. Bene, niente di strano. È il sesto punto vendita della serie di locali di cucina giapponese creata da due fratelli padovani, Tommaso e Matteo Pittarello. Ma la cosa innovativa è che lì e solo lì, non solo a Milano ma in tutta Italia, puoi pagare la cena sfruttando la fan base di Instagram. Il locale si trova in via Lazzaro Papi, zona Porta Romana. Il sesto di una catena di sushi delivery nata nel 2007, prima realtà che fa sbarcare nel capoluogo meneghino la prassi del cibo giapponese a casa propria, trova una bizzarra ma funzionale possibilità di farsi pubblicità. Come? Usando la mania di condividere tutto. Una prassi che ormai invade quasi ogni momento della vita delle persone. Pensiamo, quante foto vediamo scorrendo Instagram di gente che fotografa il proprio pasto? Tante, anzi tantissime. Un momento di partecipazione, quello del pranzo o della cena, della merenda o della colazione, che non si condivide più solo con i commensali con cui si è seduti al tavolo. Ma che si estende anche a chi non di persona si conosce, a chi ci segue attraverso le piattaforme social. I ragazzi del sushi meneghino sfruttano questo principio di condivisione, partecipazione e collaborazione che caratterizza l’epoca del web 3.0. E che, ormai, coinvolge la maggior parte delle persone. Leggi anche: Il digitale ci renderà eterni? Un’app memorizzerà la nostra personalità per sempre Leggi anche: E se il bar sotto casa diventasse la tua portineria? L’idea di tre amiche milanesi

Influencer, influser e gli infiniti vantaggi

Forse per quelli della Generazione Z, i cosiddetti nativi digitali, abituati a vivere sotto l’influenza dei social network, perché ci sono nati e cresciuti in quest’epoca in cui la reputazione sociale passa e viene filtrata anche attraverso questi canali, l’invenzione non spiazza. Per i Millennials, probabilmente è un po’ meno diretto il collegamento tra un conto al ristorante e il suo pagamento con la notorietà su Instagram. Perché i trentenni di oggi si ricordano ancora quando nei ristoranti si poteva pagare solo con i contanti ed era un evento trovare qualcuno di così avanti con la tecnologia da tenere una macchinetta per i pagamenti con carta. Che accettasse l’American Express, era addirittura un miraggio. Ma stiamo parlando degli anni ’80 inizi ’90. Oggi siamo quasi nel secondo decennio del 2000. Il mondo è andato incontro a un progresso tecnologico vorticoso e velocissimo. Investito da innovazioni continue e rapide che hanno contribuito a cambiare tanti aspetti della vita sociale. Così, ad esempio, sempre più spesso ci capita di andare al ristorante e notare tavolate di amici o piccoli gruppi che, tra un boccone e l’altro, tra una chiacchiera e l’altra, non lasciano in pace il loro device, telefonino, smartphone o tablet che sia. Che stanno facendo? Il più delle volte trascorrono il tempo coltivano il loro network, non solo quello che hanno dall’altro lato del tavolo o seduto accanto, ma anche quello che si trova dall’altro lato del mondo. Oltre quello schermo. Grazie ai social, a quelle piattaforme di condivisione che hanno accorciato le distanze e che ci consentono di essere sempre in contatto con tutti. E che ci permettono anche di fare pubblicità a qualcuno o a qualcosa facendo leva sulla notorietà che siamo riusciti a guadagnare sulla rete. Diventa sempre più comune puntare su influencer e influser per promuovere se stessi e far conoscere gli altri e i loro prodotti. Leggi anche: Basta con gli influencer. Il marketing oggi punta sugli “influser”

Dimmi quanti follower hai e ti presento il conto

Prima o poi sarebbe arrivato qualcuno che avrebbe utilizzato la frenesia comune a tanti, se non a tutti, di fotografare il pasto per condividerlo su Facebook, Instagram e quant’altro. Ed è arrivato a Milano. Dall’11 ottobre infatti è possibile pagare il conto rapportandolo al numero di follower che si ha sulla piattaforma delle storie. Ma attenzione a non crearle in questo caso, perché i titolari del This is not a sushi bar non vogliono contenuti digitali che si smaterializzano in 24 ore, ma post che durano. Quindi attenzione a cosa create intorno al vostro piatto di sushi. E ricordatevi di taggare il nome del locale prima di pubblicare lo scatto. Anche un hastag, se preferite. Al momento del conto mostrate il vostro post. Ora scatta la promozione! C’è dove ciò che si consuma si paga a peso, ogni grammo tot euro. Qui, ogni piatto vale n. follower! Da 1.000 a 5.000, un solo piatto gratis. Mi dispiace, non siete troppo seguiti! Da 5 a 10 mila, due portate regalate. Da 10 a 50 mila, vi siete meritati quattro porzioni. Dai 50 ai 100 mila, potete offrire otto consumazioni ai vostri amici. Oltre i 100 mila, mangiate quanto volete! Leggi anche: Addio YouTube, perché una star decide di abbandonare il canale?

Pagare in visibilità? Si può

Probabilmente qualcuno la criticherà. Altri la imiteranno, forse. Basterebbe non prendere sempre tutto troppo sul serio e vedere i benefici che una strategia del genere apporterà probabilmente ai fratelli padovani. Sicuramente riusciranno a farsi pubblicità, perché è innegabile il potenziale di marketing e comunicazione che racchiude questa operazione. E se consideriamo che il mood dell’azienda è quello del delivery, della consegna a domicilio, una trovata del genere potrebbe spingere sempre più persone a gustare il cibo giapponese seduti ai tavoli del locale piuttosto che sul divano di casa propria. Ma, forse, soprattutto è un modo per coinvolgere i propri clienti in un gioco tipico dell’era che stiamo vivendo. Quello della condivisione, dove quasi tutto quello che facciamo viene “spiato” nel mondo della rete. Con la nostra autorizzazione, s’intende. Perché, come Matteo e Tommaso dicono, vogliono “giocare con i clienti” e fare in modo che “si sentano partecipi del nostro progetto”. Insomma a breve, tra i vari adesivi che spesso si trovano appiccicati vicino alle casse dei bar, pub o ristoranti, insieme alle icone di carte di credito, tra i pagamenti possibili, troveremo anche il simbolo di Instagram. Attenzione però se a prenotare la cena è Chiara Ferragni! Leggi anche: Psicologia e marketing: 5 teorie dimostrano il legame indissolubile di Valentina Cuppone

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