Il digitale ci renderà eterni? Un’app memorizzerà la nostra personalità per sempre

Valentina Cuppone
Valentina Cuppone
Valentina Cuppone, classe 1982. Caporedattore de Il Digitale. Formazione umanistica, una laurea in Lettere Moderne e una specializzazione in Comunicazione della cultura e dello spettacolo all’Università di Catania. Curiosa e appassionata di ogni cosa d’arte, si nutre di libri, mostre e spettacoli. Affascinata dal mondo della comunicazione web, il suo nuovo orizzonte di ricerca è l''innovazione.
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Si chiama Augmented Eternity ed è l’app alla quale sta studiando l’imprenditore e il ricercatore della Ryerson University di Toronto Hossein Rahnama. Ed è un po’ inquietante o estremamente esaltante. Perché stiamo parlando di una startup, un’applicazione che dovrebbe creare una riproduzione digitale di se stessi. Udite, udite. Per poter mantenere i contatti con la terra anche quando arriverà il momento di passare a miglior vita. Sembra uno scherzo. A qualcuno potrebbe risultare di cattivo gusto o quanto meno eccessivo. Una proposta eccentrica e forse anche un po’ egocentrica. Magari un modo per sfidare la vita spingendosi un po’ più oltre il previsto. Scavalcandola e arrogandoci il diritto di poter decidere noi, o chi per noi, quando è giunto il momento o meno di tacere. Non analogicamente, ma virtualmente. Oppure prova, l’ennesima, di come il progresso avanza e la tecnologia travalica ogni senso del limite. Non dipende da lei. Ma da chi la manovra e la utilizza. Da come la riempie. Da cosa mette all’interno di questo recipiente che di per sé ci offre “solo” un mondo immenso fatto di infinite possibilità.

Una coscienza digitale in grado di renderci eterni

Morale, etica, valori. Concetti da associare ormai anche alla tecnologia e al digitale. Oggi la nostra vita è fortemente influenzata dai dati sulla rete, dalle tante personalità create all’interno dei social. Dai diversi modi che abbiamo di affrontare il lavoro sfruttando il network. Dallo sfaccettato approccio tenuto con gli svariati contatti della nostra rete. E il nostro pc, tutti questi elementi, li assorbe. Li incamera. Li registra. Basta un backup ed è tutto fissato lì dentro. Magari anche per sempre. Ma cosa succede quando gli studi, le ricerche di scienziati e programmatori si spingono oltre una soglia che magari per alcuni, o forse per tanti, è considerata intoccabile? Non sappiamo rispondere perché il dibattito sull’anima è antico come il mondo. E perché le risposte investirebbero uno spettro infinito di opinioni. Niente di oggettivo. Tutto soggettivo. Perché l’eticamente corretto o meno dipende da noi, dalla cultura in ci siamo immersi, da come siamo cresciuti, dai nostri pensieri. E quelli ancora sono solo nostri. E speriamo lo rimangano. Leggi anche: Come ne “La Casa di Carta”: Direttore di banca ruba un milione ai più ricchi per aiutare più bisognosi

Il mito della realtà aumentata

La filosofia greca, il platonismo, poi il neoplatonismo. Il cristianesimo, le filosofie orientali. Giordano Bruno, Spinoza, Kant, Hegel. L’interno indice di un qualsiasi manuale di filosofia. Scorretelo pure. Non esiste nessun illustre pensatore che non abbia affrontato questo intricato problema. Quello dell’anima. Della sua immortalità, della sua persistenza oltre la materia. Resta qui, vaga nell’iperuranio o in qualche dimensione sconosciuta. Insomma, mille e tante altre sono le ipotesi nei sulla natura o meno di quell’essenza. E non esiste una risposta definitiva. Ogni posizione è frutto del momento storico, legata a quelle precise vicende e scoperte. Agli uomini che hanno nutrito di pensieri e cultura le diverse fasi della storia. Arriviamo alla nostra epoca. Multimediale, post mediatica e digitale, che ci spinge a porre continui interrogativi. Si creano scenari problematici da un lato, consolatori dall’altro. Lo vediamo anche nell’intrattenimento. Un esempio, lo “specchio nero”, Black Mirror. Serie tv popolare e premiata che pone davanti agli occhi di incantati spettatori, curiosi e affascinati, situazioni di realtà aumentata o di vita eterna digitale. Pensiamo all’episodio di Marsha e Ash. Lei, Marsha, la donna che crea un software sul quale incamera i dati raccolti tramite la rete del compagno da poco scomparso. Per continuare a parlargli come se fosse ancora qui su questa terra. Un profilo virtuale per prolungare la loro storia d’amore e forse avvertire di meno la separazione. Leggi anche: Netflix Party: un’esperienza senza precedenti

Si rischia di sovrapporre definitivamente entità digitali e persone

Ma può essere realmente così? Quanto non si rischierebbe di sfociare nell’assurdo, di sovrapporre la realtà con il virtuale? Come potremmo gestire un chatbot che prenda il posto di chi è stato, sentendolo parlare magari pure con lo stesso tono di voce? A nostro avviso una prospettiva del genere, è un po’, diciamo così, terrorizzante. Ci si attacca a foto, filmati, lettere, ricordi vari per superare il distacco. Mai per nessuno sarà semplice. Anche se è cinico, è la vita. Il suo bellissimo percorso naturale. Ma la mente umana è ricca di sorprese e risorse. E un modo per superare le difficoltà si trova sempre. Allora ci chiediamo, quanto senso ha “realmente”, coinvolgere la tecnologia in un “affare” che è strettamente legato alla sfera puramente privata e personale di ognuno di noi? Anche a questa domanda non possiamo dare risposte, ma solo riferire opinioni.

L’app che non farà sentire la nostra mancanza qualsiasi cosa succeda

Una ricerca che onestamente lascia un po’ senza fiato. O comunque lo sospende. C’è chi studia questi argomenti e non è poi così impensabile che anche le invenzioni tecnologiche, e non solo film, fiction e cartoni si possano occupare di pensare a un modo per renderci immortali. Chi non ha mai visto la testa di Nixon immersa in formaldeide che parla come se fosse in vita in Futurama? Futuristico, allarmante, elettrizzante, spiazzante. Comunque estremamente affascinante. Così è la sperimentazione dell’app di Hossein Rahnama. Augmented Eternity, un’applicazione in sviluppo che mira a ricreare una copia degli individui post mortem assorbendo i dati in rete. Sarà un chatbot, un assistente vocale, un ologramma, o un robot umanoide. Non è dato sapere. Ma si presume sarà la nostra copia. A differenza di altre prove di questo tipo, come il social network Etern9 o Replica Project, lo studioso canadese cerca di dare un elemento in più al suo/nostro sogno d’immortalità. Tenta di adeguare l’AI alla base del progetto ai molteplici contesti che si troverà ad affrontare per diventare il nostro tramite tra il paradiso e la terra. Questa posizione non stupisce, dato che Hossein è fondatore e CEO di Flybits, una piattaforma digitale che contribuisce a generare interazioni personalizzate tra utenze e aziende, creando esperienze digitali intelligenti. Augmented Eternity sarà, in teoria, in grado di adattare le risposte degli individui clonati ai diversi contesti. Un clone che usi non solo le nostre stesse parole, che conosca le nostre passioni, che riesca a simulare le nostre opinioni, ma che abbia anche uno spiccato senso pragmatico. E per fare questo i dati raccolti attingeranno da diverse fonti e contesti, mirando a creare contenuti emozionali e semantici. Non puramente meccanici. Fa paura. Forse sì, forse no. È la tecnologia che avanza scavalcando tutto. Forse sì, forse no. È mancanza di sensibilità, probabilmente. O un’opportunità in più. O forse è solo l’ennesimo modo che trova l’uomo per combattere la mortalità. Un modo che si adegua alla società in cui viviamo sfruttandone le rivoluzioni e le scoperte. C’è chi nei secoli passati si faceva immortalare in ritratti, chi in foto e quant’altro per lasciare impronte di se stessi in questo mondo. Oggi c’è chi studia per lasciare una copia conforme dei nostri pensieri ancorati alla terra. Un fantasma 3.0. Sarà possibile? Leggi anche: Innovation Day: Tim Wcap presenta il meglio dell’innovazione digitale   di Valentina Cuppone        

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