Slow fashion, quando la moda rallenta e diventa green

Ecco perché scegliere i capi d'abbigliamento sostenibili e come orientarsi nel mondo della moda amica dell'ambiente.

Enrica Vigliano
Enrica Vigliano
Enrica Vigliano, romana per adozione. Lavora nel mondo dell’arte e della comunicazione di eventi, dopo gli studi di Archeologia e di Business dei beni culturali. Adora parimenti la matematica e la grammatica, avendo una predilezione per le parole crociate e per la vita all’aperto.
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Fast food, fast line, fast track, fast fashion: siamo talmente abituati alla velocità e al consumismo del “vedo e acchiappo” che spesso non ci rendiamo conto di quanto le nostre scelte, dettate dalla rapidità e dalla fretta, costino in termini sociali e ambientali.

Per questo, la slow fashion si contrappone all’industria dell’abbigliamento prodotto in serie, su larga scala e con qualità scadente dei materiali impiegati, per promuovere uno stile di vita più rispettoso della natura, senza rinunciare alla moda e allo stile.

Lo spreco dietro allo shopping veloce

Si stima che nei paesi occidentalizzati la media di acquisto individuale di un nuovo capo di abbigliamento si aggira intorno a uno ogni cinque giorni. Il (de)merito di questa tendenza risiede nei prezzi sempre più contenuti del vestiario a disposizione, grazie a un settore che produce enormi quantitativi di nuovi capi a ritmi incessanti, utilizzando materie prime e filiere produttive scadenti. Il 90% dei vestiti, poi, viene buttato prima che sia necessario sostituirlo.

Per fare un esempio, grandi catene come Zara o H&M sono in grado di proporre alla loro clientela tra le 12 e le 24 nuove collezioni all’anno, rinnovando quasi settimanalmente l’offerta in esposizione.

Il tutto ha enormi impatti ambientali e sociali, tenendo conto che la maggior parte della manodopera impiegata ha uno stipendio sotto al salario minimo, che i processi di fabbricazione implicano la produzione di microplastiche, composti chimici inquinanti e l’emissione di C02, senza contare lo spreco di acqua utilizzata per i lavaggi e i pretrattamenti dei capi.

Che cos’è la slow fashion?

Slow fashion

Tuttavia molti brand hanno deciso di abbandonare questa deriva per promuovere la slow fashion, ossia la produzione di vestiario di tendenza ma con caratteristiche ben più virtuose: durata, sostenibilità, riciclo e uso di materiali di alta qualità.

La produzione di questi vestiti è certificata dall’inizio alla fine della filiera, assicurando l’assenza di sostanze dannose durante i processi produttivi e l’utilizzo di materie prime naturali.

La slow fashion si va affermando come risultato del cambiamento del sentire comune, sempre più sensibile alle tematiche della sostenibilità e della salvaguardia dell’ambiente.

Le caratteristiche della slow fashion

slow fashion

Ebbene sì, stabilire di essere sostenibili anche dalla scelta del vestiario non è compito facile, né soprattutto economico, almeno di primo acchito.

Un guardaroba sostenibile ed etico implica la scelta consapevole di uno stile diverso da quello cui siamo abituati, che richiede qualche sacrificio soprattutto all’inizio.

Tuttavia la posto in gioco è talmente alta che alla fine seguire la slow fashion risulterà vantaggioso non solo per se stessi, ma anche per gli altri.

Le aziende che hanno aderito alle principali coalizioni eco e social friendly puntano a garantire alcuni parametri fondamentali per la slow fashion:

  • non utilizzare sostanze chimiche nocive per l’ambiente, gli animali e l’uomo
  • mirare a non sprecare né a produrre in eccedenza, per evitare l’invenduto e il suo conseguente e dispendioso smaltimento
  • promuovere la responsabilità sociale ed economica dei lavoratori
  • riciclare il più possibile i capi dismessi, ritirando anche quelli portati nei punti vendita dai consumatori
  • offrire alla clientela servizi di sartoria per rammendi e piccole riparazioni dei capi
  • comprare solo cotone organico, evitando le fibre sintetiche o quelle prodotte in condizioni artificiali
  • disegnare capi che possano essere degli “evergreen” in modo siano sempre al passo della moda
  • promuovere la ricerca per lo sviluppo di nuovi tessuti e nuove tecnologie per la produzione meccanica
  • creare capi che costano di più a parità di oggetto, ma che durino per sempre e non per una stagione

Cosa fare in concreto per vestirsi responsabilmente

Se non è facile orientarsi tra le etichette per stabilire se un capo sia o meno sostenibile, si possono mettere intanto in pratica diverse soluzioni riguardo a tutti quei capi che amiamo ma non vogliamo o non possiamo più mettere.

Ecco qualche suggerimento da seguire per disfarsi di quello che non serve più:

  • Scambiare: chiedete ai vostri amici, ai familiari o ai colleghi di lavoro di organizzare un mercatino del baratto. Sarà divertente e capi in ottima salute potranno avere vita nuova a costo zero, con il grande vantaggio di poter rinnovare il proprio guardaroba senza spendere niente.
  • Regalare: esistono sui social numerosissimi gruppi di regalo, di ogni sorta e genere di oggetto. Basta connettersi e pubblicare ciò che si vuole regalare, compresi i vestiti.
  • Vendere: se invece si intende racimolare qualcosa da quell’abito che abbiamo comprato a una cifra astronomica ma che purtroppo proprio non sappiamo quando indossare, un’alternativa valida è sempre quella di venderlo. Dove? Su internet o sulle app dedicate proprio a questa attività!
  • Riciclare: sempre più spesso nelle città vengono organizzati dei punti di raccolta del vestiario in disuso per trasformarlo in materiale isolante o per altri usi industriali. Tutto quello che bisogna fare è informarsi e portare i propri capi nei centri previsti.
  • Riparare: le nostre nonne erano maestre del rammendo e del rinnovamento. Con l’aggiunta di stoffa o qualche toppa anche un vecchio maglione bucato può tornare a essere utile!
  • Cambiare: da gonna a pantaloni, da pantaloni a maglietta. Con ago, filo e qualche tutorial online si possono creare nuovi capi da quelli vecchi. A costo zero.
  • Donare: i vestiti usati si possono poi donare ai più bisognosi, attraverso i centri sociali o le chiese che organizzano le raccolte di indumenti per gli indigenti.

Leggi anche: Migliori brand di moda donna emergenti: ecco quelli da tenere d’occhio

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