Proteste in Myanmar: ecco cosa sta realmente accendo in Birmania

Un viaggio a ritroso sul golpe in Birmania. Ecco da cosa nascono le violenti proteste in Myanmar.

Naomi Di Roberto
Naomi Di Roberto
Naomi Di Roberto, classe 1996. Sono una giovane giornalista pubblicista abruzzese, scrivo di temi globali, scienza e geopolitica. Ho una laureata in Lettere, una Magistrale in Editoria e Giornalismo ed un Master in "Comunicazione della scienza/giornalismo scientifico". Nella vita inseguo senza sosta il mio sogno: scrivere.
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Tutto inizia l’8 novembre 2019. In Birmania si stanno svolgendo le elezioni e la Lega Nazionale per la Democrazia, partito della nota leader politica Aung San Suu Kyi, riesce a conquistare più di 322 seggi.

Il 1 febbraio 2020, giorno in cui si sarebbe dovuto riunire il Parlamento per la prima volta, la donna viene arrestata con l’accusa di aver violato legge import-export. Aung San Suu Kyi, vincitrice del Premio Nobel per la pace nel 1991, avrebbe infatti importato illegalmente dei walkie-talkie per le sue guardie del corpo. E non solo. Con lei, infatti, vengono arrestati anche tutti i principali leader del partito di maggioranza.

L’esercito prende così nuovamente il controllo del Paese, dopo circa dieci anni di fragilissima democrazia. A guidare il colpo di stato c’è Aung Hlaing, capo delle forze armate e, ad oggi, alla guida del gabinetto.

Birmania, cosa succede in realtà

birmania proteste

Sembrerebbe che, in realtà, l’esercito non avesse fin da subito accettato l’esito delle elezioni. Questi, infatti, già in autunno, avevano dichiarato di sospettare di una possibile frode, di brogli elettorali. Accuse pretestuose? Possibile.

Fatto sta che a queste irregolarità si è inoltre aggiunta  anche l’accusa di “violazione della legge sulle catastrofi naturali” in quanto, la donna, avrebbe interagito con la folla durante l’emergenza sanitaria in atto. Per concludere, secondo quanto dichiara Ansa, questa settimana è saltata fuori un’altra accusa: la donna avrebbe violato anche la legge sui segreti di Stato, risalente all’epoca coloniale.

Aung San Suu Kyi è oggi detenuta in una località che nessuno conosce. Il suo processo è iniziato in maniera del tutto inaspettata, in segreto, tanto che, al momento dell’arrivo del suo avvocato, l’udienza era già terminata.

Proteste in Myanmar: il blocco di internet

Iniziano così le proteste in Myanmar. La popolazione, dal 1 febbraio ad oggi, non ha mai smesso di lottare per il rispetto dell’esito delle elezioni e per la democrazia. Da tutte le principali città della Birmania donne, studenti, lavoratori sono scesi in piazza per manifestare. Allo stesso tempo, la repressione da parte dell’esercito si è fatta sempre più feroce e sanguinosa.

Qualche giorno dopo il golpe, infatti, è stato ordinato il blocco dei provider internet del Paese, in modo da vietare l’accesso agli utenti sui principali social media. L’obiettivo era quello di limitare al massimo la possibilità di organizzazione da parte dei manifestanti, ma soprattutto di contenere la diffusione dei messaggi di dissenso. Tra i tanti diritti negati in Birmania ci sono anche quelli di informazione e di espressione.

In risposta, la popolazione ha deciso così di radunarsi sui balconi delle proprie abitazioni battendo insieme su stoviglie, pentole e coperchi. Nelle piattaforme social viene chiamata “rivolta delle pentole”: un coro comune contro l’affronto alla democrazia.

Leggi anche: Myanmar, ancora proteste contro i militari dopo il golpe

Golpe in Birmania: il simbolo delle proteste in Myanmar

birmania Kyal Sin Angel uccisa da colpo alla testa

“Rispettate i nostri voti”, è questo che si legge sui cartelloni durante le proteste in Myanmar. Le tre dita, rivolte verso il cielo, è solo uno dei tanti simboli delle manifestazioni che interessano da mesi tutto il Paese sud-est asiatico. Molti di questi, purtroppo, hanno anche perso la vita. È il caso di Kyal Sin Angel, giovane 19enne che, durante un corteo, viene uccisa con un colpo di pistola alla testa: indossava una maglia con su scritto “andrà tutto bene”.

Le sue foto hanno fatto il giro del mondo, ma le hanno fatte anche quelle di suor Ann. Lei, in ginocchio, davanti le squadre antisommossa nelle strade di Myitkyina chiedeva di cessare la violenza, di non sparare sulla folla.

Come detto anche in precedenza, le proteste in Myanmar si sono fatte sempre più feroci e sanguinose. L’esercito utilizza infatti ogni mezzo per frenare le manifestazioni: gas lacrimogeni, proiettili in gomma, ma anche proiettili reali.

Ma la violenza in Birmania non si ferma

Il bilancio dei civili che hanno perso la vita dal 1 febbraio sale a 550, a dichiararlo è la stessa Aapp, l’Associazione per l’assistenza ai prigionieri politici. Di questi, circa 43 sarebbero minori, ben 2751 le persone tratte in arresto. 

La giornata delle forze armate è stato sicuramente il giorno più sanguinoso: circa 100 i civili uccisi mentre protestavano pacificamente. Dopo l’accaduto, Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, ha chiesto un fronte globale unito per far pressione sulla giunta.

Colpo di stato in Birmania, la visione internazionale

La vicenda non è passata inosservata all’occhio attento delle potenze internazionali. Boris Johnson, fin da subito, ha condannato il golpe in Birmania. Così come Joe Biden che, più volte, ha minacciato il ripristino delle sanzioni a cui era soggetto il Paese durante l’ultima dittatura militare, eliminate da Obama. Ad oggi gli USA hanno sospeso l’accordo sul commercio con il Paese fino al ripristino della democrazia.

La giunta militare, insomma, non intende porre fine ad una stretta sempre più forte e violenta. Precisiamo inoltre che Hlaing, preso il controllo del Paese, ha annunciato lo stato di emergenza per un anno. Solo al suo termine si potranno indire nuove elezioni e, forse, riprendere la transizione democratica in Birmania. Staremo a vedere.

Leggi anche: India, la comunità Jenu Kuruba sfrattata dalla riserva delle tigri: “Chi conosce la foresta meglio di noi?”

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