Migranti, flop della sanatoria: nasce la campagna “SIAMO QUI”

Elza Coculo
Elza Coculo
Elza Coculo, 30 anni, di adozione romana. Lettrice appassionata con formazione in Studi italiani. Laureata in Editoria e Scrittura. Redattrice per Il Digitale. Amo scrivere di attualità e cultura eco-sostenibile.
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È un flop la riforma della ministra Bellanova, volta alla regolarizzazione dei migranti . Da principio si parlava di 600mila beneficiari, poi diventati 220mila soltanto tra lavoratori agricoli e badanti. Ma le richieste pervenute agli enti di coordinamento, per ora, non superano le 9.500 domande. Cosa non ha funzionato? Non c’è solo il fatto che molti lavoratori irregolari sono tagliati fuori perché non impiegati in agricoltura o nei servizi alla persona. Ci sono i cavilli burocratici che rendono la richiesta un vero e proprio percorso a ostacoli. E ancora i caporali. Questi, o chi è coinvolto in reati che riguardano i migranti, sono esclusi dal processo di regolarizzazione del lavoro. Per tutti questi motivi, e un’infinità di altre storture della riforma, nasce la campagna ‘Siamo qui’. Una proposta di sanatoria dei migranti voluta da Melting Pot Europa, Legal Team Italia, Campagna LasciateCIEntrare e Medicina Democratica. La proposta è inoltre sottoscritta da centinaia di aziende ed enti del territorio per garantire i diritti fondamentali della persona migrante. Si legge sulla piattaforma:

I punti relativi al testo di legge che andrà in discussione alle Camere hanno la funzione di disarticolare ed allargare le maglie dentro cui si vorrebbe costringere la vita ed i corpi di migliaia di migranti.

Non è una scelta, ma un sistema

È evidente a chiunque che la presenza sul territorio di 600-700mila migranti irregolari, i numeri sono discordanti, non è sostenibile per il Paese. Come è evidente che, per l’ingenza del numero, non è sostenibile un’espulsione generalizzata. Con la Legge Bossi-Fini prima, e con il ‘Decreto sicurezza’ salviniano poi, abbiamo creato un esercito di invisibili. Abrogando le norme che consentivano il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari ai richiedenti asilo, abbiamo privato i migranti dei diritti elementari della persona. E sono questi i soggetti che, in balia degli eventi, diventano merce destinata allo sfruttamento del lavoro nero e, in alcuni casi, della microcriminalità. Non è una scelta del migrante, è un sistema. Leggi anche: Regolarizzare i lavoratori in nero migranti e salvare i nostri raccolti

“Un atto minimo di civiltà”

La strada per arrivare alle norme del D.L. 34/2020, che disciplinano i casi di emersione/regolarizzazione dei migranti presenti sul territorio nazionale, è stata lunga e impervia. Un buon risultato, ma che è solo punta dell’iceberg. Ha detto Giuseppe Provenzano, Ministro per il Sud e la Coesione territoriale, parlando del risultato raggiunto:

Io non esulto, per me è stato un atto minimo di civiltà. Mi spiace non ci sia stato lo spazio politico di fare di più, ma penso sia un buon risultato, nelle condizioni date.

E spiega Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Asgi, Associazione studi giuridici sull’immigrazione e presidente del Consorzio italiano di solidarietà:

Non si dà allo straniero l’opportunità di denunciare un rapporto di lavoro irregolare, facendo poi aprire una verifica da parte dell’ispettorato del lavoro sulla situazione. E, finché il lavoratore rimane senza strumenti per difendersi e nella condizione di subalternità, è più complicato arrivare a una vera emersione del lavoro nero.

Leggi anche: Puglia luogo di accoglienza, chi è lo chef salentino che insegna a cucinare ai migranti

I datori di lavoro non regolarizzano

La finestra di legalità voluta dalla ministra Bellanova ha coinvolto poche migliaia di persone. Eppure, come si legge da Repubblica, in 60mila hanno visualizzato online le procedure per la richiesta. E tantissimi altri sono andati nei vari sportelli a chiedere informazioni. Ancora le parole del ministro Provenzano:

Alcuni aspetti per molti di noi sono già chiari. I caporali, o chi si macchia dei reati più gravi sull’immigrazione, è escluso dal processo di regolarizzazione. Era troppo importante il tema per piantare bandierine.

E infatti, succede che sono i migranti a pagare il datore di lavoro per accedere al permesso di soggiorno. Così ha testimoniato Adel che lavora 12 ore al giorno nei cantieri di Roma. Tanto conferma Elena, badante ucraina che stima le famiglie per cui lavora e ne riconosce le difficoltà economiche. E spiega Ahmed, lavoratore agricolo nel foggiano:

Finirà che pregheremo per regolarizzarci, tagliandoci noi lo stipendio di quei 500 euro, ma non ho alternative. Sarà l’ennesimo prezzo da pagare, ma questa volta per scrollarmi di dosso questa condizione di invisibilità e debolezza. Solo attraverso un permesso di soggiorno potrò avere una vita più dignitosa e qualche diritto in più.

Leggi anche: La foto delle nonne di Campoli con i figli dei migranti: è l’Italia che vogliamo

Perché una sanatoria ai tempi del Covid

Alle ragioni della sanatoria si aggiungono, adesso, anche le esigenze di tutela della salute collettiva. Avere centinaia di migliaia di migranti privi del permesso di soggiorno sul territorio significa avere centinaia di migliaia di persone che non hanno accesso alla sanità pubblica. Le ragioni per cui è necessario ‘agganciare’ queste persone dovrebbe esser chiara. Il rischio che gli irregolari, loro malgrado, diventino veicolo di trasmissione del virus è concreto. Per invertire questa tendenza bisogna tirar fuori dall’ombra queste persone, attribuendo loro diritti, quanto meno quelli riconosciuti come universali, primi tra tutti il diritto alla salute e a un’esistenza degna. I promotori della campagna scrivono:

La soluzione non può che essere una e una sola: un provvedimento di sanatoria generalizzata, senza altro requisito ulteriore rispetto al mero dato fattuale della presenza in Italia, che si accompagni alla previsione per il futuro di una regolarizzazione individuale a regime, che consenta di ottenere il permesso di soggiorno allo straniero, che ne sia sprovvisto e che presenti determinati requisiti.

Leggi anche: In migliaia in piazza a Roma contro il razzismo al grido di “I can’t breath” di Elza Coculo

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Elza Coculo, 30 anni, di adozione romana. Lettrice appassionata con formazione in Studi italiani. Laureata in Editoria e Scrittura. Redattrice per Il Digitale. Amo scrivere di attualità e cultura eco-sostenibile.
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