In Cile passa il referendum per la riforma costituzionale, cosa succede ora?

Il CIle cambierà la propria costituzione dopo il sì al referendum del 25 ottobre, potrebbe non essere così facile però

Cecilia Capanna
Cecilia Capanna
Appassionata di temi globali, di ambiente e di diritti umani, madre di tre figli del cui futuro sente un grande senso di responsabilità
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Ha vinto “Apruebo”, è un evento storico: la costituzione radical-neoliberista di Pinochet verrà smantellata, prossimo passo formare l’assemblea costituente cilena.

Per gli accordi politici che ne stanno dietro, è una “Convenzione Costituzionale” quella che permetterà la formazione dell’assemblea costituente in Cile, dopo che ha vinto il sì al referendum di domenica 25 ottobre con il 78% su 7 milioni e mezzo di voti. Il popolo cileno ha votato in massa per il cambio della costituzione che il generale Pinochet aveva imposto al paese 40 anni fa, dopo che nel 1973 aveva destituito il governo progressista di Salvador Allende con un colpo di stato militare e aveva instaurato un vero e proprio regime dittatoriale.

La storica vittoria avviene dopo che da un anno proteste e manifestazioni infiammano letteralmente le strade e le piazze di Santiago e di tutto il paese, decretando il fallimento delle politiche neoliberiste implementate allora dal generale dittatore supportato dagli Stati Uniti.

La basi della Costituzione di Pinochet

L’ultra-nazionalista Pinochet aveva scelto, ironicamente, un’ideologia straniera per inquadrare il suo regime di terrore. I “Chicago Boys”, reclutati da leader religiosi conservatori che davano sostegno ideologico alla dittatura, furono ricevuti a Santiago e le teorie di Milton Friedman furono applicate in Cile, in un esperimento sociale imposto attraverso il governo militare: decine di migliaia di cileni furono torturati, fatti sparire, gettati nell’Oceano Pacifico con gli addomi aperti, esiliati ed espulsi dalle cariche governative. In questo contesto sanguinoso, l’ideologia neoliberista dei Chicago Boys permeò la Costituzione, con cui furono privatizzati aspetti fondamentali della vita dei cileni. Questa Costituzione mise al primo posto i principi del profitto e dell’investimento di capitale in settori chiave e sensibili come l’istruzione, la sanità, le pensioni, le normative sul lavoro e altre aree socialmente vitali dell’economia. Il contratto tra lo Stato e la cittadinanza fu completamente privatizzato.

L’esperimento sociale ha continuato ad avere un impatto drammatico sulle vite dei cileni anche dopo la fine della dittatura di Pinochet, principalmente a causa della lunga ombra della Costituzione del 1980. Il suo rigido meccanismo di emendamenti e la trappola elettorale creata da avvocati di destra e costituzionalisti conservatori richiedevano super maggioranze per districare il paese dal sistema creato dai Chicago Boys e da Pinochet. Questo è il motivo per cui anche le cosiddette “amministrazioni socialiste” non erano in grado di istituire una riforma significativa.

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Il neoliberismo ha fallito non solo in Cile

Le politiche neoliberiste stanno dando chiari segni di cedimento in altri paesi dell’America Latina, come dimostrano anche i recenti risultati elettorali in Bolivia e in Argentina. Dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, hanno predominato nella maggior parte dei paesi “occidentalizzati” inclusi quelli in transizione, causando danni molto simili a quelli che hanno subito e stanno subendo i cileni. La performance macroeconomica apparentemente sana del paese non nasconde la realtà: oggi, metà della popolazione cilena sopravvive con meno di 500 dollari al mese. Circa il 70% guadagna meno di $ 700. Circa la metà dei 9 milioni di lavoratori in Cile sono indebitati con oneri finanziari superiori fino al 50% del proprio reddito. I pochissimi ricchi sono sempre più ricchi e i poveri crescono vertiginosamente. I livelli di disuguaglianza sono difficili da credere. Il Cile è oggi uno degli esempi più drammatici di disuguaglianza sociale ed economica del pianeta.

Questa drammatica situazione ha portato all’esplosione delle violente proteste iniziate il 18 ottobre del 2019, grazie alle quali si è raggiunto un accordo, più o meno limpido, tra governo di Sebastián Piñera e partiti all’opposizione, con il risultato che il referendum, in teoria impossibile costituzionalmente, è stato indetto ed è anche stato un successo.  

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Cosa succede ora?

Il prossimo passo sarà quello di stipulare una “Convenzione Costituzionale” per formare l’assemblea costituente che, se si riusciranno a smantellare tutti i vincoli ancora in vigore dell’ex costituzione, sarà composta da delegati direttamente eletti dal popolo e in proporzioni uguali di genere, quindi 50% uomini e 50% donne, condizione, quest’ultima, sostenuta da moltissimi parlamentari anche di destra. Queste condizioni sono rivoluzionarie e di grande portata storica. Non dimentichiamo che sulla spinta delle rivolte lo scorso gennaio è anche nato il primo partito delle donne in Cile, Il Paf (Partido Alternativa Feminista), che di sicuro fa sentire la sua voce.

Quali sono i possibili intoppi e i rischi?

La sinistra cilena è completamente sfaldata e divisa – e non è la sola nel mondo. Soprattutto lo scollamento dei vertici dalla base ha fatto sì che le spaccature interne ai partiti abbiano creato un vuoto che ha avvantaggiato le destre – anche questo non è successo solo in Cile. La difficoltà in questo momento è ricompattare i partiti dell’opposizione e fare una coalizione che non permetta alle destre di strumentalizzare il referendum, e quindi il cambio della costituzione, a proprio vantaggio. Una coalizione forte è più che mai necessaria al fine di proteggere la democrazia sia nella formazione dell’assemblea costituente, sia in vista delle numerose elezioni programmate in Cile per il prossimo anno.

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