Covid, i farmacisti primo riferimento del cittadino, quando studi medici e pronto soccorso erano chiusi

Seppur raramente citati, i farmacisti hanno svolto un ruolo chiave tra gli operatori sanitari coinvolti nell'emergenza Coronavirus. Oltre a offrire le loro competenze professionali, hanno avuto una valenza sociale inestimabile in quanto unico vero riferimento per la cittadinanza. Di seguito la testimonianza del Dottor Giuseppe Marco Di Lorenzo, direttore della storica farmacia pugliese B.M. Vacca.

Silvia Buffo
Silvia Buffo
Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.
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Nonostante lo stringente lockdown che ha costretto a casa la popolazione, c’è chi non ha mai smesso di lavorare. Ma accanto a medici e infermieri c’è una categoria che è rimasta un po’ nell’ombra: quella dei farmacisti, coloro che quotidianamente e instancabilmente hanno praticato la professione anche in condizioni critiche e di alto rischio per la propria salute e di totale incertezza.

Ma facciamo un salto indietro, a marzo e aprile, i mesi dell’ora buia. Non si poteva andare al pronto soccorso, i medici di famiglia ricevevano su appuntamento filtrando telefonicamente le visite per quanto possibile. Ci si sentiva abbandonati, con la costante sensazione addosso di non poter ricevere nessuna assistenza sanitaria. Ma in farmacia le porte erano sempre aperte, era l’unico luogo in cui si poteva ancora andare e così i farmacisti, che hanno presidiato i piccoli paesi come le grandi città, sono diventati il vero punto di riferimento per chiunque ne avesse bisogno.

Seppur raramente citati, i farmacisti hanno svolto un ruolo chiave tra gli operatori sanitari coinvolti nell’emergenza. Oltre a offrire le loro competenze professionali, hanno avuto una valenza sociale inestimabile ascoltando, tranquillizzando e indirizzando le persone nelle strutture competenti. Eppure, ben poco è stato riconosciuto alla categoria come hanno evidenziato anche le numerose proteste. Per guardare più da vicino quanto accaduto in questi ultimi mesi di emergenza e cosa ha significato essere farmacisti durante la pandemia, abbiamo chiesto al dottor Giuseppe Marco Di Lorenzo, direttore di farmacia in Puglia, di riportarci la sua esperienza sul campo nel periodo del Lockdown.

La storica farmacia B.M. Vacca, il racconto ai tempi del Covid

Giuseppe Marco Di Lorenzo
Il dottor Giuseppe Marco Di Lorenzo, direttore della storica farmacia B.M. Vacca.

Il dottor Giuseppe Marco Di Lorenzo è il direttore della farmacia B.M. Vacca, storico esercizio sito nella cittadina di Bitonto, in Puglia. Da sempre la farmacia di piazza Cavour è un punto di riferimento della comunità, fondata nel 1826 dal chimico farmacista Ludovico Abbatacchio, ben prima dell’Unità d’Italia, la farmacia non ha mai cessato la sua attività. Sono ancora presenti gli arredi originari e gli strumenti del mestiere raccontano la storia dell’attività degli Abbatacchio prima e dei Vacca poi. Gli oggetti anticamente usati per la produzione di farmaci sono accuratamente esposti: vasi, mortai e pestelli in bronzo, bilance e vetreria. Il banco di lavoro è ancora l’originale del 1826 e ora vede operativo il dottor Giuseppe Marco Di Lorenzo, oggi direttore dell’attività: dopo la laurea del 2012, un tirocinio professionale e una specializzazione in Regolatorio all’Università di Pavia, è tornato a Bitonto per contribuire con le sue competenze a dare nuova linfa alla già fervente farmacia Vacca e il suo staff. A lui abbiamo chiesto di raccontare la sua esperienza durante l’emergenza Coronavirus. Molti sono i farmacisti che hanno adottato in maniera autonoma misure preventive per tutelare i propri clienti, il personale e loro stessi, cercando comunque di svolgere al meglio il lavoro e dando risposte concrete per sopperire alla mancanza di tutela da parte dello Stato.

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L’intervista.

Come hai vissuto il tuo lavoro di farmacista durante il lockdown, quando ti sei accorto che la situazione stava precipitando e su di voi- intesi come categoria di farmacisti- stavano piovendo un mare di rischi, di pretese e richieste incalzanti di risposte da parte dei clienti? Siete stati di sicuro un punto di riferimento, più dei medici, perché, mentre era vietato recarsi al pronto soccorso, le farmacie erano sempre lì… inevitabilmente siete stati bersagliati nella fase del panico e della preoccupazione verso un virus sconosciuto.

Sicuramente ho vissuto, così come penso molti colleghi, un momento di smarrimento perché non sapevo in che direzione stessimo andando dal punto di vista epidemiologico e le direttive che avevamo avuto erano le medesime di quelle di tutta la gente comune. Ho dovuto però mettere subito da parte il timore e darmi da fare. Non c’era tempo per le paure e le preoccupazioni individuali. Potevo e dovevo unicamente pensare ai pazienti e alle loro esigenze prima ancora che divenissero richieste. Posso dire che paradossalmente la vera forza sono stati loro. Mi sarei sentito smarrito altrimenti. Io col mio staff, che non smetterò mai di elogiare e ringraziare per solerzia, coraggio, professionalità e disponibilità verso il pubblico e che quanto mai come nel periodo di lockdown ho sentito vicino come famiglia, ho messo rapidamente da parte la paura e seppur con una sensazione costante di “precarietà” ho standardizzato le operazioni di messa in sicurezza e avviato un sostenuto servizio di consegne a domicilio oltre che di collaborazione con medici specialisti e mmg. Si sarebbe potuto fare qualcosa meglio ma sono soddisfatto del modo in cui siamo riusciti ad andare incontro alle contingenze del momento. 

Qual è stato l’evento più emblematico della complessità della situazione, vissuta personalmente in qualità di farmacista?

Il fatto che mai come questa volta siamo andati noi incontro alla gente. Ho ancora oggi moltissime persone che mi contattano sul mio numero privato, grate di ciò che abbiamo fatto e che continuano a chiedere consigli e aiuto. Sento di averle un po’ “adottate”. E la cosa mi ripaga non poco per gli sforzi profusi. Un giorno poi ho ricevuto di sera, sul tardi una chiamata dalla moglie di un paziente covid positivo. Il marito non sfebbrava e lei era in forte difficoltà. Ero finalmente sul divano alla fine di una giornata davvero pesante: mi sono recato personalmente a casa loro per consegnare farmaci di cui, pur con ricetta, a quell’ora e non potendo uscire di casa, non erano nella condizione di approvvigionarsi. Non ho neanche pensato a declinare la richiesta di aiuto, non potevo.

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Per un quadro locale, con uno sguardo sulla Puglia, Bari e Bitonto, cosa è andato storto durante l’emergenza Covid? Cosa senti di dire sulle difficoltà dei farmacisti della tua zona? Quei casi e quelle morti erano evitabili a tuo parere?

Innanzitutto, sono perfettamente consapevole della situazione di emergenza senza eguali e precedenti che ci siamo trovati a dover affrontare e alle conseguenti oggettive difficoltà organizzative.

Detto ciò, penso si sarebbe potuto intervenire col prolungarsi del periodo di emergenza in maniera più congrua. Mi riferisco a un approvvigionamento di mascherine e DPi in tempi utili e ottimali a tutti gli operatori sanitari, oltre che a un servizio di prevenzione per mezzo di tamponi efficace. Non tanto per la salute del farmacista quanto per evitare che diventassimo nostro malgrado degli untori essendo la categoria che insieme a medici e infermieri era più a rischi e socialmente attiva in quel periodo. Penso poi che ci sia stato un gioco allo scarica barile.

Le decisioni, come da federalismo regionale sanitario, sono state prese a monte. Mi riferisco al nostro governatore regionale e ai sindaci di tutti comuni, nonché per quanto concerne gli aiuti in termini di DPI da fornire ai professionisti in parte anche agli ordini professionali. Ma le responsabilità penali, economiche e socio-familiari sono ricadute sugli addetti ai lavori. Prima incensati e poi additati se non demonizzati.

Penso la mancanza di presa di responsabilità dal punto di vista pratico prima che ideologico sia un problema tutto italiano che ha avuto un forte riverbero anche qui in Puglia e nelle realtà locali. Se non ci avessero lasciati soli e isolati forse le morti dei colleghi sarebbero avvenute lo stesso, o forse no. Sicuramente ci sarebbe stato finalmente uno scarto tale da farci lavorare più sereni e farci sentire centrali nel ruolo che ricopriamo giornalmente di supporto alla salute in quanto esperti del farmaco.

Il Premier Conte ha accennato il prolungamento dello stato di emergenza Covid fino al 31 dicembre, i troppi focolai destano preoccupazione. In base ai disagi pregressi che personalmente hai potuto riscontrare durante il lockdown come vi state preparando all’autunno? C’è maggiore organizzazione e precauzione? Hai dei timori in particolare?

Abbiamo adottato delle norme di sicurezza personali e una struttura organizzativa tale da permetterci di affrontare un eventuale riacutizzarsi dell’emergenza. Chiediamo di non essere però più lasciati soli approfittando del fatto che il nostro lavoro non consenta deroghe in termini temporali e di risorse da investire e applicare. Sarebbe un grande passo indietro. E chiediamo che tutte le deroghe come ad esempio la DPC estesa al territorio su proposta dell’on. Gemmato, rimangano tali e in essere anche oltre il periodo dello stato di emergenza.

Se la farmacia è il centro di continuità assistenziale preposto alla salute del cittadino che lo sia per davvero, senza sconti e senza temporeggiare. Oltre che per il fatto che dai dati ares 2019 sono evidenti l’efficienza e l’efficacia con cui lavoriamo e che hanno portato a un quasi totale annullamento del forte passivo regionale pugliese sul fronte della spesa sanitaria territoriale in un solo triennio. Ciò non è avvenuto, anzi è avvenuto l’esatto contrario per la distribuzione diretta ospedaliera senza, ci tengo a precisare, alcuna responsabilità dei colleghi farmacisti ospedalieri che si sono trovati ad affrontare i nostri stessi disagi e difficoltà.

Ecco più che una speranza, provo ad esprimere un desiderio: di essere positivamente stupito.

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Cosa ti aspetti dal Governo, dalla classe politica e dai prossimi decreti a tutela della categoria farmacisti?

Come ho detto rispondendo alla domanda precedente, auspico ci venga riconosciuto in maniera fattuale e supportandoci professionalmente e, perché no per una volta, anche economicamente invertendo un trend pericolosamente in discesa da ormai parecchi anni, il ruolo di centralità che il farmacista ricopre da sempre, capace di evolversi e adattarsi al meglio alle necessità dei tempi e della salute dei cittadini. D’altronde ci sarà una ragione se non esiste centro abitato, seppur con bassissima densità di popolazione senza una farmacia oltre che una chiesa. I simboli del sostegno e della cura del corpo e dell’anima. 

A livello di autogestione del lavoro, perché, diciamolo, voi farmacisti ne avete viste di ogni, in cosa pensi di esserti distinto rispetto ai tuoi colleghi soprattutto della zona nella gestione della tua farmacia durante l’emergenza?

Più che pensare di essermi distinto, mi auguro di aver svolto al meglio il mio compito di uomo prima e di farmacista poi, aiutando i cittadini a resistere e rialzarsi dal punto di vista della salute e morale.

Ho impiegato parecchie risorse e al contrario di ciò che per calunnia o scarsa informazione si sia potuto pensare del farmacista, l’ho fatto anche rimettendoci Sonno, tempo da dedicare agli affetti familiari e risorse economiche. Il ringraziamento più grande viene dai pazienti che oggi, finalmente un po’ più distesi e sereni, possono dirmi grazie con gli occhi sorridenti, il sorriso nascosto dalla mascherina e la fronte baciata dal sole di un luglio finalmente luminoso.

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