L’Africa come discarica. L’export delle nostre auto vecchie, inquinanti e pericolose

Dal 2015 al 2018, ben 14 milioni di auto vecchie, inquinanti e pericolose sono arrivate in Africa dall'Europa, Stati Uniti e Giappone, e sono causa di inquinamento e morte.

Asia Solfanelli
Asia Solfanelli
Intraprendente e instancabile penna, poliglotta, appassionata lettrice e avida viaggiatrice. Sviscerata amante del cinema. E ultimo, ma non per importanza, eterna studiosa, perché non si finisce mai d’imparare.
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Le nostre auto vecchie dove finiscono? Un viaggio attraverso il continente nero, e ancora di più un passaggio attraverso le sue grandi capitali, rivelerà che le nostre autovetture sono proprio lì. Modificate, rottamate, senza pezzi, rumorose e persino evidentemente inquinanti: sono le nostre, o meglio lo erano. Solo dal 2015 al 2018, dall’Europa, Stati Uniti e Giappone sono stati portati in Africa ben 14 milioni di autovetture dismesse.

Vecchie auto: non solo inquinanti, ma pericolo per i cittadini

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Le nostre auto vecchie inquinano l’Africa.

Secondo i dati riportati dal Programma ambientale delle Nazioni Unite (Unep), il 40% delle nostre auto obsolete, da Europa, Stati Uniti e Giappone, finisce proprio in Africa: il continente dimenticato, in cui strade e infrastrutture sono povere e decadenti, eppure l’inquinamento veicolare sta crescendo a dismisura. E proprio le nostre auto, datate, dotate di meccanismi e sistemi ormai superati e per la maggior parte a diesel, sono una delle principali cause dell’aumento di particolato (PM 2,5) e ossidi di azoto (NOx) nell’atmosfera.

C’è di più. Non mancano soltanto sistemi anti inquinamento, di cui i mezzi vengono privati spesso prima della partenza, e il problema non è solo per l’ambiente. Le nostre vecchie auto sono pericolose per conducente e passeggeri, mettono a serio rischio la vita di molte persone.

Non di rado mancano proprio quei componenti essenziali che di regola sono in dotazione con la stessa auto, come i sistemi di protezione, l’airbag solo per far un esempio. Sono proprio queste auto ‘mutilate’ che fanno sì che l’Africa registri i più alti tassi di mortalità stradale, con 240 mila morti ogni anno. E stupisce forse che i pezzi mancanti siano generalmente rivendibili e rivenduti in Europa?

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Il commercio di vecchie vetture, dall’Europa all’Africa

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Le nostre auto vecchie sono dismesse, inquinanti, ma anche pericolose.

Se non si dovrebbe nascondere lo sporco sotto il tappeto, non si dovrebbe nasconderlo neanche in Africa, soprattutto in quella settentrionale e occidentale. Con almeno 7.5 milioni di veicoli, l’Europa è al primo posto nell’esportazione di autovetture la cui qualità è così scarsa da non lasciar alcun dubbio che esse siano nocive per l’ambiente. L’Europa però dimentica che l’inquinamento è un problema globale e che spostarlo in Africa non riduce le emissioni di gas serra, per almeno un quarto causate proprio dal settore dei trasporti.

Tra i paese Europei, l’Olanda sembra essere il più coinvolto in questo oltraggioso commercio. Dall’ispettorato olandese per ambiente e trasporti arriva la notizia che i Peasi Bassi hanno difatti esportato auto, non solo seriamente compromesse, in quanto private di dispositivi capaci di ridurre le emissioni e perfino di parti costituite di metalli preziosi, ma anche compromettenti, in quanto insicure per vita delle persone.

La soluzione? Un intervento congiunto

Mentre solo in Nigeria nel 2018 si contano quasi 240 mila vetture esportate, il 16% di tutte le auto vendute all’estero, in Uganda l’età media di un veicolo diesel importato dall’Europa è di oltre 20 anni. Il problema è che se i Paesi sviluppati di fatto utilizzano l’Africa come una discarica, d’altra parte il continente nero ha poche norme che regolano le importazioni di auto. Non solo, poche sono anche le direttive sugli standard minimi sia per l’inquinamento atmosferico che per la sicurezza. È necessario un intervento forte e congiunto.

Secondo Inger Andersen, il direttore esecutivo di Unep, “per raggiungere gli obiettivi climatici e di qualità dell’aria globali vanno bloccate queste esportazioni”. E aggiunge:

I paesi sviluppati devono smettere di esportare veicoli che non superano le ispezioni ambientali e di sicurezza e non sono più considerati idonei alla circolazione nei loro paesi, mentre i paesi importatori dovrebbero introdurre standard di qualità più elevati.

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La risposta degli esportatori

L’auto sta diventando un mezzo sempre più diffuso e le stime prevedono, entro il 2040, ben 1,4 miliardi di veicoli sulle strade. Nella speranza e attesa che ben presto le auto elettriche possano essere, a prezzi modici, a disposizione di tutti, e persino in Africa, i numeri sono terrificanti per il significato che hanno in termini di impatto ambientale.

Molto dipende da come i paesi più sviluppati decideranno di muoversi in quanto a esportazioni, e soprattutto se decideranno di smetterla di utilizzare proprio quel continente che più di tutti sogniamo incontaminato e selvaggio come un getta rifiuti. La tarda resipiscenza, però, se non gioverà l’Africa, già per troppi secoli oltraggiata, non gioverà neanche l’intero pianeta.

La risposta dell’Africa

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Africa: nuove direttive stradali per ridurre l’inquinamento.

Nel frattempo, l’Africa fa già sperare, almeno in parte. I quindici ministri africani che fanno parte dell’Economic Community of West African States (ECOWAS), stanno tentando di risolvere la questione già da febbraio. A partire dal 2021 dovrebbero entrare in vigore nuovi regolamenti che prevedono l’uso di carburanti meno impattanti e veicoli con meno ripercussioni in termini di emissioni.

Kenya e Marocco hanno già adottato molte di queste normative, anche se, ancora troppo spesso, non vengono rispettate. L’auspicio è che sia solo questione di tempo e che, anche nei paesi meno sviluppati, ‘germogli’ presto sensibilità nei confronti dell’ambiente. Certo è che molto di quanto questi paesi hanno, dipende da ciò che gli viene dato. E ciò è strettamente correlato alla dignità che a questi paesi viene riconosciuta.

L’incolmabile divario tra il mondo occidentale e i paesi poveri o in via di sviluppo

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L’incolmabile divario tra mondo occidentale e paesi poveri o in via di sviluppo.

L’inchiesta del Programma ambientale delle Nazioni Unite non solo fa emergere una realtà angosciosa e tetra, ma infila con forza il coltello in quella piaga mai guarita, quella del divario tra il mondo occidentale e i paesi in via di sviluppo. Una ferita che anche l’Irtad, International traffic safety data and analysis group, fa bruciare: nel suo rapporto sulla sicurezza stradale nel mondo i dati rivelano che, seppur in calo in quasi tutti i paesi monitorati, gli incidenti registrati fanno emergere con chiarezza la disparità tra quei paesi più sviluppati e attenti alla sicurezza e quelli invece poveri dove la mortalità ha tassi raccapriccianti.

Un male insomma che pare insanabile tra potenti senza scrupoli e poveri troppo spesso ignoranti e così succubi da non riuscire a trovare mezzi propri per ‘crescere’. Una disparità impareggiabile che però ha in gioco la vita di molti esseri umani.

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