Coronavirus e fuga dal Nord, perché siamo tentati di fare ciò che ci viene vietato?

Tonia Samela
Tonia Samela
Tonia Samela, nata a Potenza nel 1994. Psicologa Clinica e Dottoranda di Psicopatologia del Comportamento, attualmente conduce la sua attività di ricerca a Roma. È attiva nella promozione della salute e nella divulgazione scientifica del sapere psicologico.
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Da un po’ di tempo a questa parte molti Paesi del mondo, tra cui anche l’Italia, versano in uno stato di emergenza a causa del COVID-19. Il governo ci ha chiesto di cambiare le nostre abitudini quotidiane attraverso il DPCM #iorestoacasa. Già prima dell’emanazione dello stesso, però, molte aree dell’Italia settentrionale hanno subito delle limitazioni rispetto agli spostamenti. Al di là degli esodi che hanno fatto scalpore e oltre alle persone che studiano o lavorano fuorisede, molti in questi giorni hanno percepito un desiderio intenso di lasciare il proprio domicilio. Alcuni hanno ceduto a questa tentazione, altri no. Ma come mai nasce questo istinto a volersi spostare nel momento in cui esiste la minaccia o il concreto divieto di movimento?

Il più forte istinto nell’uomo è fare ciò che gli viene vietato

La ragione sembra essere legata al fatto che, proprio nell’ottica di voler ristabilire la propria libertà di fronte a una limitazione imposta, il più naturale istinto messo in atto dall’individuo è proprio quello di mettere in atto ciò che gli viene vietato. Statisticamente, la maggior parte degli esseri umani risulta essere davvero sensibile all’idea di una potenziale perdita ed è proprio questa idea di perdita che influisce direttamente sulla qualità del processo decisionale, condizionando scelte e desideri. Secondo quanto sostenuto da alcuni ricercatori della Duke University, questo meccanismo di immediata reazione contraria agli obblighi si verificherebbe in maniera totalmente inconsapevole e quindi non controllabile. Ovviamente, però, la decisione che poi viene maturata e il comportamento che ne consegue sono completamente consapevoli. Ciò che scatta al di fuori della nostra volontà è solo il desiderio di agire contrariamente a quanto occorre.

Il bias cognitivo per cui ‘proibito’ vuol dire ‘prezioso’

A un livello più profondo, quando ci troviamo a disobbedire o disattendere ad alcuni obblighi, soprattutto quando riguardano delle limitazioni, sembra scattare nella nostra mente uno specifico meccanismo chiamato bias cognitivo. Questo bias tende ad associare ai concetti di “disponibilità limitata”, “raro”, “difficile da raggiungere”, il termine “prezioso”, alimentando il desiderio di possesso. Questa associazione si chiama “principio di scarsità” e afferma che il valore attribuito a una opportunità aumenta quando essa risulta scarsamente disponibile. Questo “principio di scarsità” è molto usato anche nelle tecniche di vendita, le quali presentano una disponibilità limitata del prodotto o del periodo temporale in cui verrà applicato un particolare sconto, inducendo automaticamente nell’acquirente un dialogo interno del tipo: “E sei poi perdo l’occasione?” Leggi anche: È ufficialmente “pandemia”, ma sconfiggeremo il virus

“Se perdo l’occasione di tornare a casa e poi dovrò restare qui”?

In questo caso, di fronte alla possibilità di essere obbligati a rimanere in una città in cui non si hanno radici, in molte persone è scattato questo bias. La loro mente ha elaborato il pensiero: “E se poi perdo l’occasione di tornare a casa e sarò costretto a rimanere qui?” Ecco perché molte di queste persone, pur magari abituate a non tornare nel luogo dove risiedono i loro cari per moltissimi mesi, questa volta si sono sentite in trappola e hanno giudicato questa idea come insostenibile, tradendo il loro controllo razionale e contravvenendo alle regole. Inoltre, è stato dimostrato che questa catena di pensieri e di successivi comportamenti si innesca nell’essere umano anche quando contravvenire all’obbligo risulta essere contro il proprio interesse. L’unica cosa che conta in situazioni in cui il bias è attivo diventa resistere a ogni costo a chiunque e a qualsiasi cosa cerchi di limitare la libertà del soggetto.

Quando siamo limitati nella nostra libertà cerchiamo l’indipendenza

Per spiegare questo meccanismo occorre ricorrere alla teoria della reattanza formulata nel 1966 da Jack Brehm. Ciò che lo psicologo afferma con questa teoria è che l’individuo è mosso, nel momento in cui la sua libertà viene limitata, a ristabilire il proprio principio di indipendenza. Questa spinta all’autonomia è chiamata, appunto, “reattanza”. Il termine reattanza è preso in prestito dall’elettrotecnica e indica la forza di opposizione di un circuito al passaggio di una corrente elettrica al suo interno. Ogni volta che sentiamo minacciata la nostra libertà di scelta, come ad esempio quando siamo coartati nella possibilità di acquistare come e quando vogliamo un determinato bene, oppure quando qualcosa ci toglie una generica possibilità di scelta o di movimento, siamo automaticamente spinti a contrastare l’interferenza desiderando maggiormente quel prodotto, o quello spostamento, nell’immediato.

Come gestite il desiderio di andare via con la razionalità

In più, il professor Brehm distingue due tipi di reattanza che possono essere messi in atto da parte delle persone: la reattanza distruttiva e quella costruttiva. Nel primo caso, ci troviamo di fronte a una reazione violenta che aggredisce la limitazione della libertà e tende a sabotare l’intromissione di soggetti esterni nella nostra azione. In questo caso dunque la persona si oppone, contravviene e disobbedisce a quanto è d’obbligo. Nel secondo caso, invece, la persona prende in considerazione una serie di comportamenti da mettere in atto per far “evolvere” positivamente il divieto imposto. Il desiderio di andare via e la sensazione di angoscia legata a questa impossibilità all’inizio rimangono, ma l’individuo vi si oppone con l’esercizio della propria razionalità e col controllo dei propri comportamenti, per esempio ricordando di tutte le volte che ha trascorso moltissimo tempo lontano dai propri cari, ma l’attesa gli è sembrata più sostenibile perché si trattava di una condizione ordinaria. Leggi anche: Il premier Conte: “Questo è il momento di compiere un passo in più, chiuse tutte le attività”

Davanti a un divieto imposto possiamo controllarci in maniera sana e consapevole

Oppure, facendo una analisi dei costi-benefici riferiti al rispettare o contravvenire al divieto, informandosi da fonti certe sulle motivazioni per cui tale divieto è stato imposto. Ciò che fa la differenza, come al solito, non è sentire o non sentire un impulso, bensì leggerlo in un ottica di non giudicante accettazione, prendendolo per come è: un istinto naturale. Gli istinti, però, obbediscono, acuendosi o indebolendosi, al ragionamento che ne segue. Il ragionamento è per definizione un processo controllato. Ne consegue che gli istinti, se mediati in maniera corretta, possono essere controllati in maniera sana e consapevole, bloccando il circolo vizioso e autoalimentante degli automatismi e dei bias cognitivi. Leggi anche: Cancro: perché lo psicologo può fare la differenza di Tonia Samela  

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