Come il capitalismo ha rovinato i sogni dei giovani italiani

In una società settaria e familista non c'è spazio per i sogni dei nostri ragazzi. Lo Stato non investe nel futuro e guarda con diffidenza le nuove generazioni. La crescita personale e l'intraprendenza sono ostacolati dal retaggio capitalista.

Melissa Matiddi
Melissa Matiddi
Esperta in comunicazione e digital marketing, studia lo yoga e le discipline orientali. Ama creare, leggere e viaggiare. Silenziosa ma rumorosa, è sempre pronta a varcare nuovi orizzonti.
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Il capitalismo ha incenerito i sogni dei giovani italiani.

L’avvento della pandemia ha amplificato i demoni del capitalismo: in nome della biopolitica, della tutela della salute, ci siamo visti privare della libertà, siamo stati distanziati da misure restrittive come coprifuoco e lockdown, ci siamo accontentati di espletare solo bisogni primari come nutrirsi e vaccinarsi, accantonando gli aspetti più umani, cadendo in un clima di totale alienazione, dove ad avere la peggio sono stati i giovani.

Con l’avvento della pandemia avevamo promesso di diventare migliori, più buoni, più rispettosi e più attenti ai bisogni degli altri. Si sono rivelati, purtroppo, tutti propositi utopistici che non hanno trovato spazio nella realtà. In uno scenario di totale assenza di empatia, tra rabbia e repressione, i giovani di oggi hanno visto i loro sogni andare in frantumi.

Lo Stato, in preda all’emergenza, ha trascurato l’attenzione che questi giovani meritavano in un momento estremamente delicato. Così i ragazzi di oggi si sono mostrati al mondo incerti, apatici e demotivati. Lo Stato non si occupa più di loro, ma perché?

Giovani in balìa del capitalismo e del lockdown

Durante i mesi più duri del lockdown, i ragazzi sono stati prima puniti e poi rimproverati. In diverse occasioni il loro comportamento, ritenuto troppo adolescenziale, è stato aspramente criticato. Giudicati troppo superficiali e immaturi, hanno subito gli effetti collaterali del virus: quelli del pregiudizio e dell’accusa. Sono diventati i capri espiatori.

Giovani, tacciati come untori della pandemia

Sono stati accusati di avere una condotta e una percezione distorta, a tratti quasi menefreghista, della pandemia. La maggior parte delle testate riportava la notizia che i principali untori dell’emergenza sanitaria fossero loro, i giovani. In realtà, le indagini campionarie del progetto Representations, Perceptions and Attitudes on the covid-19, hanno dimostrato come abbiano avuto un atteggiamento molto rispettoso. I dati raccolti hanno evidenziato una grande maturità da parte dei ragazzi che hanno seguito alla regola le disposizioni previste dal governo.

Tuttavia, questo non è bastato per far cambiare rotta allo Stato italiano che ha continuato ad ignorare le sofferenze degli adolescenti. Gli unici aiuti destinati agli studenti si sono tradotti con la Dad e con l’alternanza scuola lavoro.

Il capitalismo sacrifica anche la scuola, con la Dad

Il sistema politico ha dovuto preservare la catena produttiva, scegliere cosa sacrificare. E cosa succede nella testa di un ragazzo molto giovane che oltre alla repressione della nostra società capitalistica, impegnata a tutelare solo i mercati, vede privarsi dell’unica certezza che è la scuola? Gli studenti non solo hanno affrontato le sofferenze dell’emergenza sanitaria, ma si sono ritrovati a dover combattere una condizione inedita: la modalità della didattica a distanza (Dad). La chiusura delle scuole ha impedito ai giovani di vivere momenti importanti per la socializzazione. Anche lo stesso esame di maturità ha subito una formula ridotta, svuotando un rito di studio durato ben 5 anni.

L’educazione scolastica contribuisce alla formazione della personalità e del carattere, infatti rappresenta un periodo di tempo speciale e fondamentale. In questa fase avviene il passaggio dell’istruzione dai genitori agli insegnanti. Durante l’inizio della Dad, gli studenti e i professori hanno manifestato per essere ascoltati e per dimostrare quanto la scuola fosse stata messa da parte. Gli effetti della didattica da casa sono stati nocivi e hanno comportato una netta diminuzione delle performance degli studenti.

I giovani si sentono smarriti e la colpa è solo nostra. La cristallizzazione del problema riguarda tutti i paesi, anche se l’Italia detiene il numero maggiore di mesi svolti con questa modalità.

Capitalismo: lo sviluppo dell’alternanza scuola lavoro

L’alternanza scuola lavoro consente agli studenti delle scuole superiori di passare del tempo all’interno di alcune attività lavorative. Malgrado la buona intenzione del progetto, gli ultimi fatti di cronaca hanno riaperto il dibattito sull’affidabilità del programma stesso. Il caso dello studente morto a Udine durante il suo ultimo giorno di stage si è inserito all’interno di un contesto confuso e male organizzato, che ha fatto emergere un’altra problematica tutta italiana: la mancanza di prevenzione sui luoghi di lavoro.

Se l’obiettivo del piano educativo è far entrare i giovani direttamente nel mondo del lavoro, senza retribuzione e senza alcun controllo da parte delle autorità scolastiche, non rischiamo così di spegnere e di demoralizzare i sogni dei nostri figli?

Il capitalismo ha partorito l’alternanza scuola lavoro dimostrando uno scenario tetro in cui i giovani sono costretti ad entrare. Il sistema non fa altro che dimostrare come la mansione svolta durante il tirocinio non sia retribuita né economicamente né moralmente. In questo modo, il paese sta rischiando di perdere per sempre la fiducia di una generazione.

Una società iper classista cercherà sempre di convincere i giovani a convertirsi al monopolio capitalista. L’effetto collaterale di questa situazione è che i ragazzi possano sviluppare sentimenti di insoddisfazione verso il mondo del lavoro. Non è un caso che gli ultimi dati Istat dimostrano che in Italia i giovani che non studiano e non lavorano, i famosi Neet, sono il 23,3%.

“La meglio gioventù”: malcontento generazionale e capitalismo

Quale migliore esempio della Meglio gioventù per comprendere la disfatta sociale che subiscono oggi i nostri giovani? Il film del 2003, diretto dal regista Marco Tullio Giordana, è l’emblema della condizione dei figli di una famiglia medio-borghese romana intenzionata a cambiare il mondo, inseguendo buoni ideali. Intrecciando il periodo dell’Autunno caldo, il ’68, e delle prime contestazioni politiche, racconta come i giovani di un tempo, mossi dalla bruciante fiamma della giustizia e dell’onestà, fossero attivi nel perseguire e rincorrere i loro sogni. Come ci sono riusciti?

Nell’epoca precedente, i nostri genitori sono stati in grado con tante difficoltà di perseguire i loro sogni. In un certo senso, loro seguivano la formula del lavorare per campare. Oggi, invece le nuove generazioni si sono rese conto che la stessa narrazione non è ritenuta più fondamentale. Quello che sta accadendo con la Great Resignation è davvero grave. Schiacciati da una diffusa condizione di precariato, i giovani si sentono esclusi da un equilibrio sociale che sembrerebbe essere garantito soltanto ai figli dei più ricchi.

È curioso vedere oggi come la società britannica, You Gov, specializzata nell’analisi di ricerche di mercato, abbia registrato da parte dei giovani un intenso interesse verso l’ideologia socialista di Karl Marx del 78%, cresciuta negli ultimi mesi, che si opponeva con ogni sua forza al capitalismo. Eppure questo non è basta per continuare a sognare e a percorrere con determinazione la propria strada.

Il capitalismo sta creando una reazione di totale sfiducia nella percezione giovanile. Le uniche certezze dettate da questo Stato sono la diseguaglianza e il precariato.

E uno Stato che riconosce i diritti civili, ma non li garantisce, e uno Stato che promette un futuro, ma ignora le condizioni di precarietà del presente, che Stato è?

È uno Stato, deviato dalle logiche capitalistiche, che costringe i giovani a rinunciare ai propri sogni.

Leggi anche: Great Resignation, è boom di licenziamenti tra i giovani. Quali sono le cause?

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