Avincola come Battisti: “Cantare Panella è poesia”

Per chi ama la musica italiana e ha fatto di questo un mestiere, cosa significa poter cantare gli immaginari di Panella? Di colui che scrisse anche i testi per Battisti? Lo abbiamo chiesto ad Avincola in questa intervista, in cui ci racconta la sua ultima meraviglia, "Barrì", e in questa bella storia c'è lo zampino di Morgan.

Silvia Buffo
Silvia Buffo
Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.

Rieccoci a parlare di Avincola, il rider italiano che, inseguendo i suoi sogni con una buona dose di testardaggine, oggi fa il “cantautore a tempo pieno”. E questa è una bella storia che merita di essere raccontata, in un momento storico di frustazione e difficoltà per i giovani, che spesso non intravedono nemmeno un orizzonte di un futuro che sia vagamente vicino alla loro portata.

In questo senso, Avincola ha lasciato la sua testimonianza personale sul palco di piazza San Giovanni a Roma, durante il Concertone del primo maggio in un monologo dal messaggio forte: “Quando facevo il rider, io ero una piccola pallina colorata per la città e la strada era un flipper”. Ma oggi Avincola è in tutt’altra dimensione: grazie a quel mix speciale di ingredienti magici, quali talento, forza d’animo e un immancabile tocco artistico sulle cose, vive di sola musica.

Ed è così che oggi, venerdì 12 maggio, tira fuori dal cassetto un altro sogno: cantare un testo di Panella, sì proprio Panella che aveva scritto le canzoni di Lucio Battisti. E questo per Avincola è un nuovo battesimo, è come nascere nuovamente.

Ecco Barrì: psichedelia, indie, pop, venature funk e una diapositiva dei migliori settanta, a cavallo tra il bianco e nero e il colore, affresco di un sentire moderno, che stringe la mano all’antico.

Il testo è del poeta e paroliere Pasquale Panella. Autore dei famosi “album bianchi” , oltre ad avere scritto per Amedeo Minghi, Enzo Carella, Zucchero, Mango, Anna Oxa e ad aver curato la versione italiana del Notre Dame de Paris di Riccardo Cocciante.

“Barrì” nasce come risposta poetica in versi a una poesia di Morgan pubblicata nel suo ultimo libro “Parole d’aMorgan”. Su proposta di Morgan, Avincola trasforma la poesia in canzone e decide di inserirla in quello che sarà il suo prossimo album che avrà come titolo proprio “Barrì”.

La canzone vive tra contrasti avvincenti e surreali che si muovono su immaginari sospesi tra sogno e realtà. Nella giungla che vive dentro ognuno di noi, c’è un “liofante che per orecchie ha petali e ventagli”, una dalia che barrisce, “cose che solo a dirle sarebbero indicibili”. A dimostrazione di come ogni cosa può sorprendentemente prendere forme, posizioni e volontà inaspettate.

“Barrì” è uno specchio curvo, attraverso il quale il mondo appare piegato, alternativo, nuovo. “Tutta una baraonda di zoologia e botanica”.

L’intervista ad Avincola su Barrì

avincola

Cosa ha significato per te musicare le parole di un poeta come Panella, che è stato anche l’autore dei testi di Lucio Battisti?

Per me è stato un piacere immenso. Un vero privilegio.
La cosa più affascinante e delicata è stata riuscire ad avvicinare la mia musica alle sue parole. Muoverla cercando di entrare nel suo ritmo, nelle sue cadenze, negli accenti e nelle assonanze.

Morgan scrive una poesia, Panella gli risponde con una nuova poesia e tu trasformi la poesia di Panella in canzone. La musica così diventa “corrispondenza” tra persone. Come ci si sente a far parte di questa storia?

Una bella storia da raccontare, in primis ― devo dire ― a me stesso. Nel percorso di ogni vita c’è bisogno di ricevere una pacca sulla spalla. Questa è stata una carezza da una parte, e dall’altra un abbraccio. Insomma, mi sono sentito piacevolmente circondato.

Cosa pensi di quella poesia di Morgan?

Trovo che la poesia di Morgan — come tutte quelle contenute nel suo libro — trasmetta un dualismo molto profondo tra l’esterno e l’interno della fatica malinconica e romantica che si nasconde nell’oscurità di ogni essere umano. Lui riesce a portarti dentro quel buio, accendendo pian piano a una luce. Ed ecco che possiamo leggerci dentro.

Cosa significa essere cantautori oggi nell’era della trap? Cosa sopravvive della vecchia scuola e che riscontro del pubblico c’è?

Mah, io devo dirti che non credo molto nel termine “vecchio” o “nuovo”.
Le canzoni di un tempo non hanno bisogno di sopravvivere. Vivono tutte le volte che le ascoltiamo. Essere cantautori oggi, non saprei cosa significa. Io sono solo uno che scrive canzoni, perché probabilmente è l’unica cosa che so fare. Non mi preoccupo troppo del resto. Col pubblico il mio rapporto è molto semplice: spero di far nascere delle piccole emozioni, perché anch’io faccio parte del pubblico e, quando mi emoziono, mi sento bene.

Sgarbi sull’ultimo Sanremo ha detto che il livello non è mai stato così basso, che per il prossimo si augura ci sia un vero esperto di musica a fare da direttore artistico, proprio come Morgan. E che ci sia un comitato a tutela più che dell’espressione artistica della qualità. Oggi nell’era della frenesia digitale, come può la musica ritrovare qualità?

A me personalmente non piace quando si arriva ad alti livelli senza aver fatto la gavetta. Quindi senza aver faticato. Senza il sudore di chi sale le scale, perché l’ascensore è rotto da una vita. Questo sì, mi provoca parecchia irritazione. Sul discorso della qualità però bisogna andarci piano. La storia della musica è piena di cose molto belle e di scarsa qualità, così come di cose tecnicamente incredibili, ma vuote. Pensa al punk ignorante dei Sex Pistols, però loro raccontavano una generazione laterale che mai era stata presa artisticamente in considerazione. Ecco, per me l’importante è comunicare, essere curiosi e attrarre curiosità. La qualità è un argomento così infinito da sembrare un puntino perso nello spazio. E quindi, forse, conviene girarsi dall’altra parte…

Cos’è per te Barrì?

“Barrì” è un mondo parallelo, affascinante, gonfio di luci e colori meravigliosi che esplodono davanti agli occhi senza farci del male. È uno specchio in mezzo alla giungla. Un riflesso in cui non ci si riconosce, o forse ― a guardare con attenzione ― sì. Eccoci: a comportarci come mai avremmo fatto. A ritrovarci in ruoli inaspettati. Una dalia che barrisce, un liofante che per orecchie ha petali e ventagli. Che siate benvenuti dove sempre siete stati senza rendervene conto!

Silvia Buffo
Silvia Buffo
Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.
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