Addio John Lewis, l’ultima grande icona dei diritti civili in America

Morto ad 80 anni per cancro, deputato americano, era il più giovane e l'ultimo sopravvissuto dei Big Six, attivisti per i diritti degli afroamericani capeggiati da Martin Luther King Jr.

Luca Tartaglia
Luca Tartaglia
Classe 88. Yamatologo laureato in Lingue Orientali, specializzato in Editoria e Scrittura, con un Master conseguito in Diritto e Cooperazione Internazionale. Ama dedicarsi a Musica e Cultura, viaggiare, “nerdeggiare” e tutto ciò che riguarda J. J. R. Tolkien
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John Lewis è scomparso il 17 luglio 2020, cordoglio nel panorama statunitense per la sua morte, era l’ultimo grande gigante dei diritti degli afroamericani negli States. Dall’ex-presidente Obama (che lo ha insignito della prestigiosa Medal of Freedom) alla speaker della Camera Nancy Pelosi e Bernice King, figlia del reverendo King, tutti si sono uniti nel ricordare chi in vita si è battuto ininterrottamente per i diritti civili, e non solo degli afroamericani. Membro della Camera dei rappresentanti (rappresentante della Georgia) dal 1987 fino alla sua dipartita, era stato un dei più influenti leader dei vari movimenti dei diritti civili degli afroamericani. Il più giovane in effetti, se si pensa che il primo, Asa Philip Randolph, era nato nel 1889. Così Nancy Pelosi sul deputato John Lewis:

L’America piange la morte di uno dei più grandi eroi della sua storia.

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Marcia Washington 1963 Martin Luther King
Martin Luther King alla Marcia su Washington 1963.

John Lewis, le battaglie per i diritti civili

John Lewis, nato nel 1940 a Toy, in Alabama, verso la fine degli ‘50, era diventato il più giovane presidente del Coordinamento degli studenti non violenti. Si unì ad un movimento più grande condotto da Martin Luther King e contribuì a organizzare la marcia su Washington che si concluse col famoso discorso “I have a dream” del dottor King. Ricordato anche per un’altra famosa marcia per i diritti civili, quella di Selma, Alabama, del 1965.

Fra i primi Freedom Riders

John Lewis, fu picchiato e arrestato diverse volte e rischiò la morte in due differenti occasioni. Nel 1961, quando fu pestato a Montgomery, in Alabama, e nel 1965 sull’Edmund Pettus Bridge a Selma, sempre in Alabama, nella cosiddetta “Bloody Sunday”. Fu uno dei primi “Freedom Riders”, gli attivisti attraversavano il paese sugli autobus insieme ai bianchi per contrastare e lottare la segregazione. Segregazione ancora forte negli Stati Uniti in quegli anni, e con dei postumi ancora presenti, basta guardare il movimento Black Lives Matter oggi.

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Black Lives Matter
Strada di Washington durante le manifestazioni di Black Lives Matter. Giugno 2020.

John Lewis, ricordiamolo anche per George Floyd

I fatti della morte di George Floyd, afroamericano morto il 25 maggio 2020 durante un brutale arresto, hanno riportato alla ribalta il problema del razzismo verso gli afroamericani negli USA. Decine di casi come questo, di brutalità della polizia verso afroamericani, che hanno donato una nuova linfa vitale ai vari movimenti antirazzisti. Un problema ancora presente nelle viscere del sistema socioeconomico del paese a stelle e strisce. Il movimento indipendente e privo di gerarchie Black Lives Matter ha ereditato molto dei valori che John Lewis proclamava. Fu proprio lui a commentare i nuovi movimenti di protesta così:

È stato molto commovente, molto commovente vedere centinaia di migliaia di persone provenienti da tutta l’America e da tutto il mondo scendere in piazza.

Leggi anche: I Paesi africani chiedono inchiesta Onu su razzismo e violenza della polizia negli Usa

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