Un museo del fascismo a Roma? Ecco perché non ne abbiamo bisogno

La proposta della consigliera 5stelle al comune di Roma, Maria Gemma Guerrini, di istituire nella Capitale un museo del fascismo merita una riflessione.

Giommaria Monti
Giommaria Monti
Giornalista e autore TV (Annozero, Il raggio verde, Omnibus, Unomattina, Cartabianca), ha scritto di politica, cronaca, mafia e terrorismo. A tempo perso di cantautori italiani. Conosce a memoria i testi di Pasquale Panella per Battisti. E se ne vanta.
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Un museo del fascismo? I filosofi la chiamano eterogenesi dei fini: azioni che ottengono l’effetto opposto alle intenzioni che le generano. La proposta della consigliera 5stelle al comune di Roma, Maria Gemma Guerrini, di istituire nella Capitale un museo sul fascismo è ammantata dalle migliori intenzioni:

La necessità di contrastare il negazionismo e l’ignoranza visti i rigurgiti neofascisti che anche recentemente hanno offeso Roma e i suoi cittadini.

Un museo del fascismo come per il nazismo in Germania

Un museo del fascismo come quello in Germania per il nazismo, dice la consigliera. Alla quale forse sfugge che quelli presenti a Berlino e Monaco non sono musei sul nazismo, ma sui crimini del nazismo.

E non sono certo realizzati come polo attrattore per scolaresche, curiosi, appassionati ma anche turisti da tutto il mondo, come recita la mozione che ha suscitato la reazione indignata dell’Anpi, di un gruppo di intellettuali, tra gli altri Luigi Manconi, Anna Foa, Massimo Recalcati, Luciano Violante, e della stessa sindaca Raggi, 5stelle anche lei, che ha fermato l’entusiasmo dell’audace Gemma Guerrini:

Roma è una città antifascista, nessun fraintendimento in merito.

La simbologia fascista a Roma e in Italia

Vicenda chiusa, quindi. E però qualche riflessione è bene farla, in un’epoca che distrugge le statue di quelli che considera razzisti, colonizzatori, usurpatori. Roma e l’Italia sono pieni di simbologia fascista: l’obelisco nella capitale davanti allo stadio Olimpico con la scritta Dux, la cappella di Predappio, il cimitero nel campo dieci del cimitero Maggiore a Milano dove sono sepolti i combattenti della Repubblica sociale di Salò. Ci sono scorci nella capitale dove in qualche scuola occhieggia ancora la scritta “riceverai un’educazione romana e fascista”, o il “memento audere sempre” caro alle camicie nere.

Leggi anche: Raggi: “Le strade intitolate ai fascisti saranno dedicate agli eroi dell’Olocausto”

I simboli fascisti non ancora sradicati

Quei simboli non sono stati abbattuti, si evita solo che diventino luoghi di raccolta di nostalgici, “appassionati” li chiamerebbe la consigliera Guerrini, che si celebrino riti di memoria revanscista perché la dodicesima disposizione transitoria della nostra Costituzione vieta la ricostituzione del partito fascista. Che non significa affatto abbattere la memoria, tutt’altro. A Cracovia, a due passi da Auschwitz e Birkenau, dove l’orrore lo senti scricchiolare in ogni centimetro che percorri, nella fabbrica di pentole di Schindler, che salvò più di mille ebrei dai forni crematori, c’è alla fine del percorso un museo dei simboli nazisti: divise, armamentario bellico, manifesti di propaganda, bandiere.

Quell’Europa tra nazismo e propaganda

Un percorso che evoca esattamente quello che fu il nazismo e la propaganda che trasformò l’Europa in un teatro di guerra e terrore. Sembra un paradosso, ma la fine di quella fabbrica è il tunnel della memoria. C’è una serie tv tratta da un romanzo di Philip Roth in onda su Sky, Il complotto contro l’America (con Winona Ryder e John Turturro) dove si immagina che nel 1940 le elezioni negli Usa non le vince Roosevelt ma l’aviatore pluridecorato Charles Lindbergh. Che non solo non entra in guerra al fianco dei Paesi europei per combattere il nazifascismo, ma consente che il germe dell’antisemitismo attecchisca negli Stati Uniti. Con conseguenze devastanti, con il ministro degli esteri nazista Ribbentrop ricevuto in pompa magna alla Casa Bianca nel 1942. Non andò così, per fortuna.

La storia non è mai un processo scontato

Ma la storia non è un processo scontato, poteva andare diversamente con risultati inimmaginabili. Un museo serve anche, forse soprattutto, a ricordare con esattezza quello che è stato, senza omissioni. Se, come sottolineano giustamente gli intellettuali che hanno firmato l’appello contro la proposta, non si riesce a fare un museo della Shoa a Roma: sono novecentomila gli italiani deportati in Germania o nei territori del Reich durante la seconda guerra mondiale.

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Perché un museo del fascismo è inopportuno

Di questi 7.579 ebrei identificati e arrestati durante le persecuzioni razziali, di cui 6.806 deportati nei campi di sterminio. Ne tornarono 837, un museo sul fascismo sarebbe davvero inopportuno. Sarebbe utile, aggiungiamo noi, nella chiave tedesca: per ricordare i crimini del regime, perché il tormentone Mussolini ha fatto anche cose buone accompagna la storia degli ultimi settant’anni d’Italia. E perché a questo servono i musei: a non dimenticare ed evitare che leggende nere coprano la storia. Non per attrarre curiosi, turisti e appassionati.

di Giommaria Monti

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Giommaria Monti
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Giornalista e autore TV (Annozero, Il raggio verde, Omnibus, Unomattina, Cartabianca), ha scritto di politica, cronaca, mafia e terrorismo. A tempo perso di cantautori italiani. Conosce a memoria i testi di Pasquale Panella per Battisti. E se ne vanta.
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