Ambiante e tecnologia, il mondo digitale è veramente sostenibile?

Il dibattito sulla sostenibilità della tecnologia in relazione all’ambiente è sempre più pressante e forse è un’urgenza da affrontare il più presto possibile.

Luca Tartaglia
Luca Tartaglia
Classe 88. Yamatologo laureato in Lingue Orientali, specializzato in Editoria e Scrittura, con un Master conseguito in Diritto e Cooperazione Internazionale. Ama dedicarsi a Musica e Cultura, viaggiare, “nerdeggiare” e tutto ciò che riguarda J. J. R. Tolkien
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Siamo abituati, almeno nelle ultime due, tre decadi, ad associare la tecnologia a una certa, forte, sostenibilità ambientale. Quello tra tecnologia e ambiente è invece un rapporto complicato.

Immaginiamo le auto elettriche, i pannelli solari, microchip e strumenti tecnologici sempre più minimalisti che richiamano indirettamente a uno spazio meno ingombrante, quindi meno spreco di risorse, come il nostro futuro, sostenibile e nel rispetto ambientale.

Ma dietro tutto ciò è innegabile che si nasconda un pericoloso lato oscuro, un lato fatto di inquinamento e consumo irrefrenabile, privo di controllo.

Si parla di nuovi tipi di emissioni, dello sforzo energetico necessario a tenere in piedi la colossale industria della tecnologia, delle nuove discariche sparse per il mondo di ewaste, dell’impronta tecnologica data da un consumismo sfrenato. Un consumismo legato stretto alla tecnologia, con acquisti immediati, costanti e molte volte superflui, il tutto comodamente dal divano di casa, avendo la suggestione che così si “impatta” meno sull’ambiente. Questo ci nasconde alcune realtà, evidenze di come con l’avanzamento tecnologico abbiamo una mutazione anche dell’impatto che esercitiamo sull’ambiente.

Tecnologia e ambiente: nuovi paradigmi di sfruttamento delle risorse

tecnologia e ambiente

Sono oramai anni che vediamo come i colossi della tecnologia, vedi Microsoft o Apple, quando anche imprese similari come Amazon (che ha un ruolo centrale anche in questo campo), si adattino alla necessità pubblica e politica di mantenere un profilo “sostenibile” dal punto di vista ambientale.

Promesse di riduzione delle emissioni, materiali sostenibili e lotta agli sprechi per ridurre la sovrapproduzione di materiali e impegno nella ricerca per un maggior riciclo. Nonostante la rivoluzione digitale, la crisi ambientale, il cambiamento climatico sono più presenti che mai, il mondo delle ICT (information and communications technologies) non solo non è al di fuori di responsabilità ma anzi rischia di diventarne uno dei massimi artefici

Da sola, Internet consuma il 10% dell’elettricità globale, con emissioni paragonabili a quelle del traffico aereo. Netflix consuma come 40mila abitazioni e l’utilizzo dei videogiochi nell’ultimo anno circa il 2,4% emissioni, equivalenti a 55 milioni di automobili (questi dati in rapporto all’utilizzo negli Stati Uniti).

Con l’avvento dei Bitcoin scopriamo che una singola transazione consuma tanta energia quanto 51 ore di visione di Youtube, e in poche parole scopriamo che la moneta digitale non è che l’energia usata per produrla. Questo lega strettamente la moneta eterea alla più conreta attività estrattiva, ad esempio dall’energia prodotta da carbone e petrolio.

Ingannati dalle dimensioni minuscole dei nostri apparecchi non ci fermiamo a riflettere sulla quantità di risorse materiali che consumano.

Christina Gratorp

Legi anche: Elettricità wireless: dalla Nuova Zelanda la rivoluzionaria trasmissione senza fili

Data center, tecnologia e ambiente: quanto costa in termini energetici il mondo digitale?

tecnologia e ambiente

Il cloud, lo spazio di archiviazione online, quello spazio dalla fattezze indefinite dove conserviamo tutti i nostri ricordi più cari, si nutre di energia. Molta energia. Enormi computer sparsi per il mondo che necessitano di massicce quantità di elettricità per rimanere attive, più un complesso e oneroso sistema di raffreddamento per impedire che “fondano”. E qui cominciamo a fare luce su alcune dei grigiori della rivoluzione digitale.

Nonostante l’avanzamento sempre più spedito e fatto di ottimizzazione e riduzione degli sprechi, e nonostante vediamo nelle tecnologie digitali un mezzo per la rivoluzione ambientale sostenibile del futuro, queste avranno sempre bisogno di energia per “vivere”.

Si riscontra anche una certa difficoltà nel reperire dati certi e coerenti riguardo allo “sforzo” energetico dell’industria IT, a differenza dei grandi obiettivi, spesso “urlati” ai quattro venti di ridurre emissioni e l’impatto ambientale.

Però, come è giusto notare, sono diverse le branche della società e dell’economia toccate da questo spasmodico avanzamento tecnologico che non sempre riesce a stare al passo del contesto ambientale. I proprietari dei colossali data center necessari affinché sopravviva tutto il mondo tecnologico, dalle macchine a guida autonoma al 5G, non sembrano essere molto aderenti al problema sempre più pressante dell’invitabile crescita e consumo di energia affinché il mondo digitale sopravviva negli anni.

Tecnologia e ambiente, il mondo digitale non è sostenibile: serve una nuova consapevolezza

Un dibattito molto fertile intorno al ruolo sociale della tecnologia si è fatto timidamente strada.

La monopolizzazione dei cosiddetti super computer, calcolatori tra i più potenti al mondo a utilizzo esclusivo di poche aziende (come quello dell’Eni chiamato HPC-5 e presente al Green data center di Padova) ha fatto alzare più di qualche sopracciglio. Per alcuni, infatti, sembrerebbe più ragionevole mettere questi strumenti al servizio della collettività per aiutare nella ricerca di modelli per fronteggiare il cambiamento climatico, per esempio, o per gestire alcune attività di pubblica utilità.

Bisogna aggiungere un tema strettamente interessato dal focus di questo articolo e cioè il più classico dei temi legati all’ambiente, l’inquinamento legato ai rifiuti, gli ewaste. Nel 2019 secondo le Nazioni Unite sono stati prodotti circa 53,6 milioni di rifiuti elettronici, 7 chili cadauno, con un tasso di riciclo poco superiore al 15%. Non solo, si trovano sempre più discariche abusive in Africa e Asia dedicate ai rifiuti tecnologici, con un lavoro di estrazione delle parti importanti che poi vengono rivendute.

Le cosiddette “tecnomasse”, i rifiuti elettronici, sono una realtà in crescita nel nostro mondo che accomuna un esasperato consumismo, una obsolescenza sempre più marcata e “tossica” dei prodotti tecnologici e infine una difficoltà nel riciclo di questi prodotti.

L’obsolescenza in particolare, l’idea che un computer o uno smartphone non durino più di pochi anni, che non convenga mai ripararli e abbiano una garanzia “studiata”, è uno dei temi centrali della necessità di mettere un freno a questa corsa consumistica non necessaria.

Bisogna agire a livello politico e sociale affinché le grandi case produttrici e i Big Tech si adoperino per avere veramente a cuore l’impatto ambientale tra i loro obiettivi. Non si può pensare di essere da una parte artefici di una catena di consumo e inquinamento così ampia e allo stesso tempo cercare la sostenibilità ambientale.

Leggi anche: Inquinamento digitale: quanto costa per l’ambiente la nostra vita tra Dad e smart working

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