Inquinamento digitale: quanto costa per l’ambiente la nostra vita tra Dad e smart working

L'invisibile inquinamento digitale rischia di non essere tenuto in considerazione, ma rappresenta un problema grave, reso ancora più preoccupante dal lockdown.

Asia Buconi
Asia Buconi
Classe 1998, romana. Laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali, ama l’attualità e la letteratura, ma la sua passione più grande è la sociologia, soprattutto se applicata a tematiche attuali. Nel tempo libero divora film e serie tv.
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Coprifuoco e lockdown hanno cambiato profondamente le nostre abitudini: se prima si usciva per andare a bere qualcosa, adesso le serate si passano davanti a Netflix, se prima ci si rilassava con una passeggiata all’aperto, adesso per staccare si sceglie di ascoltare un po’ di musica.

Per non parlare di quanto sia cambiato il mondo della scuola e del lavoro: DAD e smart working hanno invaso le vite di tutti, costringendo molti a passare gran parte del tempo al computer, assistendo a lunghe riunioni, o dovendole organizzare.

I social, poi, sono stati fondamentali per informare le persone durante la pandemia Covid e hanno spesso svolto la funzione di “calderone dei malumori”, raccogliendo commenti, video e foto di milioni e milioni di persone, spesso annoiate, stanche e provate dalla vita da lockdown.

Ma quanto costa all’ambiente tutto questo inquinamento digitale?

Inquinamento digitale, i dati di Seeweb

inquinamento digitale peggiora con dad e smartworking

Secondo studi recenti, se internet fosse una nazione, sarebbe il quarto paese più inquinante dopo Cina, India e Stati Uniti.

Appare quindi fondamentale tenere sotto controllo l’inquinamento digitale che rischia, molto spesso, di non essere sufficientemente tenuto in considerazione o di non destare la preoccupazione necessaria, perchè non riusciamo a percepirlo, a vederlo. Ma a visionare l’impronta lasciata sull’ambiente dall’utilizzo sempre più massiccio che facciamo di strumenti digitali, ci pensa Seeweb, Cloud Computering Provider italiano.

Intervistata dall’Adnkronos, Chiara Grande, del marketing Seeweb, ha spiegato così i dati raccolti:

La produzione di energia elettrica emette Co2.

Per avere un’idea, nel 2008, il digitale ha consumato il 2% di emissioni globali di gas serra.

Per il 2025 si stima che consumi energia per l’8,5%, nel 2040 si stima al 14%.

E, per spiegare questi numeri, fa un esempio pratico:

Guardare soli 10 minuti di video in streaming consuma almeno 100 volte di più di quanto consuma ricaricare lo smartphone in un anno: pensiamo quindi a quanto possa inquinare la Dad.

Le app con geolocalizzazione sono energivore al massimo perchè tracciano gli spostamenti.

Le infrastrutture cloud consumano tantissimo Co2 per funzionare anche se non lo vediamo e non lo sentiamo.

Leggi anche: Come Covid ha cambiato il lavoro: più riunioni, mail e ore di straordinario

Inquinamento digitale: quanto pesa il “Cloud”

inquinamento digitale peggiora con dad e smartworking

Guardare per dieci minuti un video in hd sul nostro cellulare equivale, a livello di impatto energetico, ad utilizzare un forno elettrico da 2.000 W a piena potenza per 3 minuti. Ma non ce ne accorgiamo: quello che noi paghiamo è solo l’energia consumata dallo smartphone.

Il traffico che viaggia su Internet, formato dai dati che sono stati acquisiti, immagazzinati, elaborati in qualche Data Center (dove vengono creati i servizi digitali che usiamo in remoto), consuma quantità enormi di energia elettrica.

Il Cloud è un sistema globale dove depositiamo e recuperiamo in continuazione delle cose, ma non è un luogo senza peso dove tutto funziona magicamente: è un’infrastruttura fisica allocata in qualche posto, composta da fibre ottiche, routers, satelliti, cavi presenti sui fondali oceanici, centri di elaborazione pieni di computer.

Necessita perciò di una quantità di energia inimmaginabile e di potentissimi sistemi di raffreddamento.

E il proprietario dello smartphone non si rende minimamente conto di tutto ciò: paga i gigabyte di traffico al proprio operatore telefonico, l’abbonamento a Netflix o ad Amazon Prime Video, e pensa che i propri consumi siano finiti lì. Ma, purtroppo, non è affatto così.

Dati diffusi per la Settimana Europea per la riduzione dei rifiuti 2020 hanno messo in luce che l’invio di 20 mail al giorno per 365 giorni l’anno corrisponde alle emissioni emesse da un’auto nell’arco di mille chilometri percorsi. Una ricerca su un motore online, invece, ha un costo per il pianeta che va da 0,2 a 7 grammi di Co2: si pensi che ogni giorno vengono effettuate circa 3.5 miliardi di ricerche.

Tuttavia, uno studio indipendente del Lawrence Berkeley National Laboratory, ha dimostrato che sfruttare un sistema cloud anzichè mantenere tanti piccoli server aziendali fa risparmiare fino all’87% di energia. Il problema, perciò, non nasce dalla nuvola in sé, ma da come essa viene alimentata.

Inquinamento digitale: quali le strategie per combatterlo

inquinamento digitale peggiora con dad e smartworking

Ridurre l’inquinamento digitale non è affatto un’impresa impossibile. Sono molte le strategie che possono essere messe in atto per ridimensionare questa emissione.

Una soluzione potrebbe essere quella di implementare data center e server farm sostenibili, in grado di compensare la Co2 prodotta e, possibilmente, alimentati da energie verdi e rinnovabili. Importante è anche scegliere per i propri siti web interfacce leggere, immediate e veloci da visualizzare, così da ridurre il carico energetico sui server remoti. E Chiara Grande di Seeweb aggiunge in merito:

In Seeweb questa attenzione c’è dal 1998, tanto che la Regione Lombardia l’ha premiata come azienda innovativa ai suoi esordi ed è stata tra le prime realtà italiane a dotarsi della certificazione Iso14001.

Seeweb utilizza energia verde derivante da fonti rinnovabili e per questo è un cloud provider sostenibile, puntante ad un impatto sempre minore sull’ambiente delle sue server farm, allocate in Italia.

Ma è evidente che in materia ambientale possiamo contribuire tutti a fare qualcosa e l’inquinamento digitale non rappresenta un’eccezione, soprattutto in un periodo come quello del lockdown.

Per ridurre l’impronta invisibile delle nostre attività su Internet, potremmo partire da piccoli gesti di “digital decluttering”, come ad esempio alleggerire le mail evitando allegati superflui e scegliere di archiviare su hard disk invece che su Cloud. Potremmo imparare a ricorrere alla Rete solo quando strettamente necessario e a non abusare delle tecnologie in streaming.

Altre strategie importanti potrebbero essere liberarsi di Newsletter che non leggeremo mai, evitare l’uso massiccio della webcam nelle videochiamate e preferire scaricare contenuti come video documenti e brani musicali invece che usufruirne in streaming.

Dobbiamo imparare a liberarci meglio dei “rifiuti digitali” inutili, ma, soprattutto, imparare a non produrne in eccesso. E anche se molti non si sono mai preoccupati del problema o non ne erano a conoscenza, adesso che si trovano di fronte a tali dati potrebbero cominciare a prendere in considerazione l’idea di ripensare le proprie abitudini digitali in nome della sostenibilità. L’ambiente, sicuramente, ringrazierebbe.

Leggi anche: Inquinamento atmosferico, OMS lancia l’allarme: oltre 7milioni di decessi l’anno

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