Sindrome dell’impostore, come i social l’hanno alimentata nei giovani

Il 70% della popolazione ha sperimentato la sindrome dell’impostore, uno stato d’animo persistente in cui una persona non si convince dei suoi successi, ma si paragona costantemente agli altri. Come si riconosce questa condizione, come si cura e quale ruolo hanno i Social Network?

Melissa Matiddi
Melissa Matiddi
Esperta in comunicazione e digital marketing, studia lo yoga e le discipline orientali. Ama creare, leggere e viaggiare. Silenziosa ma rumorosa, è sempre pronta a varcare nuovi orizzonti.
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La sindrome dell’impostore tormenta i ragazzi di oggi che si paragonano in continuazione non solo alle persone famose, ma anche agli amici, ai colleghi e agli sconosciuti.

Le nuove generazioni sono interessate solo ai like, ai commenti, alle interazioni e ai follower. Ricercano incessantemente le conferme personali all’esterno. Confrontando il loro percorso con quello dei coetanei, non si sentono mai all’altezza, pur ottenendo ottimi risultati.

Gli effetti disastrosi del web, si ripercuotono sulla salute mentale dei giovani, risvegliano un senso di inadeguatezza e di frustrazione che li porta a vivere con la sindrome dell’impostore.

Il terrore di non essere bravi e di non meritare la vittoria, accompagna gli individui per tutta la vita, compromettendo seriamente la parte psichica e fisica e provocando un terreno melmoso da cui è difficile uscire.

Sindrome dell’impostore: che cos’è?

Se almeno una volta nella vita avete avuto la convinzione che le vostre capacità o la vostra immagine fossero gonfiate dagli altri o che il vostro successo/fama fosse legato alla fortuna o agli eventi esterni, allora siete nel posto giusto. È probabile che abbiate sperimentato la sindrome dell’impostore: una condizione per la quale, un soggetto nutre la costante paura di essere smascherato e di fallire a causa dei propri (in)successi.

Il termine sindrome dell’impostore o impostor syndrome, è stato coniato nel 1978 da due psicologhe americane Pauline Clance e Suzanne Imes della Georgia State University che avevano studiato inizialmente il fenomeno su un gruppo di donne affette dall’incapacità di riconoscere i propri risultati come lodevoli e meritevoli. Per l’osservazione di questa sindrome, le due ricercatrici avevano scelto un campione di 150 professioniste con carriere brillanti che non riuscivano a percepire la soddisfazione dei risultati come propria.

Il motivo per il quale l’esperimento fu originariamente esteso solo al genere femminile, fu che nelle donne, si era riscontrato un maggiore senso di inadeguatezza e di insicurezza dovuto alle pressioni della società. Successivamente, altre ricerche dimostrarono che, seppure in percentuale minore, anche gli uomini vivevano la stessa condizione.

Chi è affetto dalla sindrome dell’impostore è convinto che i propri successi siano resi tali da circostanze fortuite o dal caso. Si ha la tendenza comune a riconoscersi come privo di valori e di competenze professionali. Questa condizione granitica intrappola il soggetto in un’idea abbastanza alterata di se stesso. In ogni momento, i successi personali vengono attribuiti alla fortuna, facendo vivere la persona in uno stato di frustrazione ed ansia perenne, facendola sentire come un truffatore. Il soggetto veste i panni di un impostore che deve a tutti i costi nascondersi dalla realtà. 

Questo fenomeno può colpire qualsiasi fascia di età, sesso o status sociale. Si stima infatti che otto persone su dieci, almeno una volta nella vita, abbiano manifestato i sintomi legati a questa condizione.

Sindrome dell’impostore: caratteristiche e sintomi

La sindrome dell’impostore si manifesta in persone con un basso grado di stima, scarsa considerazione di sé e grande senso di smarrimento. Le caratteristiche di questo stato sono associate a sentimenti di paura, di inadeguatezza, di vergogna, di incompetenza e di imbroglio.

Il soggetto colpito, presenta la tendenza a screditare i propri traguardi, sente profondamente di non meritare le promozioni e gli avanzamenti di carriera. È così immobilizzato dalla sua insicurezza che si confronta in continuazione con gli altri. I successi scolastici, lavorativi, personali e professionali non vengono presi in considerazione, ma vengono usati come riconferma della fortuna o della facilità con cui si è superata quella prova.

I sintomi caratteristici sono: dolori muscolari, problemi intestinali, stanchezza, ansia, insonnia, mal di schiena, sentimenti depressivi, emicrania e malessere generale. La paura del fallimento e l’ossessione per il perfezionismo mentale possono condurre la persona ad un continuo condizionamento psicofisico e ad un catastrofico auto sabotaggio personale.

Il significato che viene dato alla propria esistenza è di tipo fallimentare. I soggetti si sentono impostori, maturano un senso di insoddisfazione nei confronti non solo di se stessi ma anche degli altri. Questi individui si sentono emarginati, reclusi e tendono, di solito, al allontanare le persone più vicine.

La voce interiore, a cui affidano la propria vita, gli suggerisce di formulare e aggrapparsi ad una serie di pensieri che giustificano la vittoria: “ho avuto fortuna, mi hanno aiutato, deve esserci un errore, se ce l’ho fatta io possono farcela tutti, mi hanno premiato perché gli faccio pena e non merito di essere qui”.

Pronunciare queste frasi nel corso della vita, può essere capitato un po’ a tutti, l’origine di queste riflessioni va ricercata nella fissazione, acutizzata anche dai social, di mostrare al mondo esterno la parte migliore di noi.

Per capire se la sindrome dell’impostore abbia mai abitato il nostro corpo, una delle psicologhe che coniò il termine di impostore, Pauline Clance, elaborò uno schema di auto diagnosi, ovvero un test psicologico, che serve per esaminare il proprio punteggio in una scala di valutazione. Il test ad uso personale è in lingua inglese e si chiama Clance impostor Phenomenon scale, permette di comprendere se si è affetti o no da questa sindrome.

Leggi anche: Ecco come puoi aiutare chi soffre di depressione: 3 atteggiamenti sbagliati e in che modo cambiarli

In che modo i social favoriscono la sindrome dell’impostore?

Gli adolescenti sono esposti maggiormente alla sindrome dell’impostore poiché ricercano morbosamente di valorizzare la propria vita confrontandola con quella degli altri.

Sono completamente assorbiti dalla struttura piramidale dei social, la cui vetta è occupata solo da chi si mostra come il più bello, il più fortunato e il più intelligente. Sono bombardati continuamente dalle informazioni relative alle vite degli altri, di conseguenza, le loro esistenze sono sottoposte al giudizio martellante di un pubblico molto vasto che premia fortemente la perfezione. Il confronto ossessivo con gli altri ha convinto i soggetti a fare sempre di più per raggiungere standard impossibili. Il tormento per la perfezione aumenta la sensazione di non essere mai abbastanza.

I giovani cercano il proprio valore nel giudizio che proviene dall’esterno, mettono in atto una comparazione eterna che li porta allo screditamento continuo. Ammirano e allo stesso tempo subiscono i successi che vedono negli altri.

In questo turbinio di depressione e insicurezza, il giovane viene attanagliato dalla sindrome dell’impostore. Individuando i bei risultati solo nei percorsi degli altri, i ragazzi sentono di non essere brillanti e di non meritare quegli status o quelle posizioni. La frode intellettuale messa in atto li conduce a credere di aver ingannato le persone. Fingono per paura di essere scoperti e vivono con il terrore che qualcuno possa smascherarli.

Zero Calcare nella serie Strappare lungo i bordi, oltre a descrivere la predisposizione giovanile del guardare sempre fuori, introduce un fenomeno sociale molto frequente, quello dell’ignoranza pluralistica. Si tratta di un pregiudizio per cui un soggetto pensa di essere l’unico a nutrire dei dubbi e delle insicurezze verso se stesso. Non riesce a comprendere che anche le altre persone possono faticare e manifestare le stesse condizioni di perplessità e di smarrimento.

E semo pure stupidi perché se impuntamo a fà il confronto con le vite degli altri, che a noi ci sembrano tutte perfettamente ritagliate, impilate, ordinate e magari sò così perfette solo perché le vediamo da lontano.

La sindrome dell’impostore si fa strada in questo preconcetto in cui le vite degli altri appaiono trionfanti e popolari. L’imbroglio intellettuale messo in atto conduce i soggetti a credere di aver ingannato le persone vicine. Questi soggetti vivono con il terrore che qualcuno possa notare il raggiro. La paura di uscire allo scoperto li porta a chiudersi e a isolarsi per non parlare di questi pensieri con nessuno, neanche con i familiari che molto spesso sono indirettamente responsabili, insieme alle pressioni sociali, dei problemi legati all’autostima.

La sindrome dell’impostore non dorme mai

La sindrome dell’impostore vigila e controlla i soggetti, le cui insicurezze e fragilità, gli si saldano addosso, impedendogli di gioire per i propri risultati. Le conferme che dovrebbero giungere dai premi ottenuti, vengono distorte, ridicolizzate e inibite impossibilitando così l’interiorizzazione del miglioramento. 

Questa sindrome lavora 24 ore su 24, reprime completamente gli apprezzamenti, le lodi e le onorificenze che vengono percepite come pericoli e spingono l’individuo a mettersi al riparo, accontentandosi di vivere banalmente e rimuginando di continuo sulle mosse da fare. 

Questo fenomeno viene cresciuto, nutrito e cullato da alcuni contesti educativi. Soprattutto negli ambienti familiari dove ci sono fratello e sorella, uno dei due può venire etichettato, dal genitore di turno, come il più bravo, il più intelligente, a discapito dell’altro che per forza di cose, viene qualificato con appellativi poco convincenti, il più dolce e il più sensibile. Questi stereotipi non fanno altro che definire e classificare l’individuo, invalidandolo anche davanti a degli ottimi risultati.

La sindrome dell’impostore può emergere da queste situazioni che screditano e sgretolano a poco a poco l’integrità morale di un ragazzino. 

Può succedere pure, che la famiglia investa troppe aspettative sul futuro del figlio, trasmettendo un’idea completamente alterata delle performance del bambino che si ritrova a vivere due realtà: la prima aderente al proprio io e la seconda imposta dai genitori e dalla società. 

Un nucleo familiare del genere, in cui i componenti sono ipercritici e incapaci di amare i figli, indipendentemente dai successi ottenuti, può generare l’insorgere di questa condizione. 

Che tipo di impostore sei?

La sensazione di malessere che vive l’impostore può sfociare in diverse declinazioni che sono influenzate dal carattere, dalle abitudini, dal lavoro e dalle responsabilità. Il perfezionismo può condurre l’individuo ad assumere maschere diverse:

  • Il perfezionista: fissa delle aspettative altissime su di sé, si impone di lavorare dando il 100%, non ammette margine di errore.
  • Il talentuoso: si obbliga a fare centro al primo colpo senza sforzarsi, vuole apparire agli occhi degli altri come un talento naturale.
  • Il solitario: pretende di raggiungere un obiettivo in solitaria, senza collaborare con nessuno.
  • Il perfezionista livello pro: si documenta dall’inizio alla fine del percorso per non sentirsi inferiore, porta il suo corpo ad un livello altissimo di stress.
  • Il super perfezionista: deve saper fare tutto, si prepara e studia ogni singolo dettaglio, non esclude nulla. 

In tutti questi casi, la forte paura del giudizio porta il soggetto a credere di poter eliminare le sue insicurezze mediante la preparazione e lo studio compulsivo.

 

The dark side of impostor syndrome

Come recitano i Pink Floyd nell’album “The dark side of the moon”, anche la sindrome dell’impostore ha il suo lato oscuro. 

Infatti, se da un lato appare come la causa di una scarsa consapevolezza di sé, dall’altro si mostra come l’effetto di chi, pur non avendo le competenze e le abilità necessarie, tende ad esprimere con convinzione le proprie opinioni. Questo atteggiamento è chiamato appunto effetto Dunning-Kruger. Tale denominazione è il prodotto di uno studio chiamato Unskilled and unaware of it: how difficulties in recognizing one’s own incompetence lead to inflated self-assessments.

Condotto nel 1999 da due psicologi della Cornell University, David Dunning e Justin Kruger, la ricerca ha messo in luce che la distorsione cognitiva applicata nella falsa realtà, sia un bias, un inganno o un pregiudizio che influenza la nostra capacità di giudizio. Questa tipologia tende a sopravvalutare le proprie conoscenze, sovrastimando il sapere e ignorando del tutto i propri limiti.

Mentre nel primo caso si trattava di un bias di conferma, le cui certezze giungevano dall’esterno, nel secondo, il bias cognitivo è guidato da una sopravvalutazione del sé dall’interno.

Con largo anticipo, il filosofo e matematico americano Bertrand Russell, avendo già intuito il gap tra le due categorie, dichiarò:

Una delle cose più dolorose del nostro tempo è che coloro che hanno certezze sono stupidi, mentre quelli con immaginazione e comprensione sono pieni di dubbi e di indecisioni.

Le parole di Russell ci aiutano a comprendere come il pregiudizio cognitivo porti le persone a sovrastimare le proprie possibilità e a credersi superiori a tutti gli altri, le performance personali sono considerate migliori e vincenti. Tuttavia, lo studio messo in atto dagli psicologi, Dunning e Kruger, ha evidenziato che gli ignoranti non si rendono minimamente conto di innalzare e auto premiare le proprie abilità, sono inconsapevoli della reale situazione perché non hanno la capacità metacognitiva di valutare le competenze proprie e degli altri.

Come curare la sindrome dell’impostore

Nonostante la sindrome non sia stata classificata nel DSM, le caratteristiche possono recare grande malessere. Per curare questa condizione mentale, l’intervento psicologico prevede un percorso volto a riconoscere la parte svalutante della personalità e a valorizzare le tappe della vita, accrescendo la self-compassion, la gentilezza e la pazienza verso noi stessi. 

Inoltre, lo psicoterapeuta porterà il soggetto a comprendere che il valore di una persona non dipende dal confronto con gli altri, dai risultati ottenuti, dalla posizione lavorativa o dallo status economico, ma si misura sulla base del percorso di miglioramento personale che siamo chiamati a fare per raggiungere l’equilibrio psicofisico. 

A tal proposito, il poeta inglese Samuel Johnson ricordava sempre a se stesso:

Non c’è nulla di nobile nell’essere superiore ad un altro uomo, la vera nobiltà sta nell’essere superiore alla persona che eravamo ieri. 

Leggi anche: Rivolgersi allo psicologo: ecco perché ogni tanto dovremmo farlo tutti

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