“Riaprite l’ILVA”, “No, bisogna chiuderla”, a Taranto il mostro divide le famiglie

Marianna Chiuchiolo
Marianna Chiuchiolo
Giornalista con studi in Mediazione Linguistica, una formazione da teatrante e una generale tendenza a perdersi nei vicoli di una fervida immaginazione. Ama in egual misura la scienza e la poesia e si spende da tempo per la crociata della Mental Health Awareness come missione di vita.
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Quando si ottiene il posto fisso si festeggia. In molte realtà è così. Poco importa a quale prezzo arrivi questa solidità, ciò che conta è avere le spalle coperte. Del resto la stabilità economica permette anche di pagare le spese in caso di imprevisti, giusto? Forse. O forse no. Uno dei punti chiave dell’incomunicabilità generazionale che divide i giovani adulti di oggi dai loro genitori è proprio la concezione del lavoro, soprattutto in relazione alle priorità personali. Oggi non si aspira più a sistemarsi, non come lo si intendeva un tempo almeno: la stabilità economica ha una valenza soggettiva e addirittura non è detto che tutti puntino a raggiungerla. E così, quando si parla tra genitori e figli, spesso non ci si capisce. Da una parte si parla di insicurezza, instabilità e incertezze, dall’altra di fluidità, flessibilità e libertà. Per i primi il posto fisso è una ragione per festeggiare, per i secondi si festeggia quando si è in pace con se stessi. Proviamo a spostarci dalla teoria alla pratica e vediamo cosa accade quando il conto da pagare per la stabilità economica arriva davvero ed è molto salato. Un nome solo: Taranto. A Taranto queste divisioni sono ancora più accentuate a causa dello stabilimento che ha spaccato in due fazioni la popolazione. L’acciaieria dell’ILVA è ormai diventata un simbolo della città, non solo come stabilimento industriale ma anche come linea di separazione tra le due correnti di pensiero di cui sopra. La popolazione è divisa tra chi vorrebbe a tutti i costi la chiusura del mostro che ha inquinato i cieli della città e l’ha trasformata in una red zone dove l’incidenza di patologie tumorali, cardiache e respiratorie ha subito un’impennata rispetto al resto della regione, e tra chi è grato allo stabilimento che dagli anni ’60 porta denaro e lavoro alle famiglie della zona. Leggi anche: Ilva di Taranto: chiudere subito, rinascere in fretta

Stabilità economica o salute: una scelta difficile

Un divario generazionale e familiare che sta definendo Taranto ancor più che tutti i simboli ad essa storicamente legati, come il delfino e i due mari. Ne sono esempio Mauro Doro, operaio ILVA ora in cassa integrazione, e sua figlia Danila, ambientalista convinta che si batte per la chiusura dell’acciaieria. Una famiglia esemplare nel senso letterale del termine: all’ILVA devono il sostentamento ottenuto per decenni, ma anche un caso di tumore che ha colpito uno dei loro cari, malattia che senza le ciminiere e le loro polveri probabilmente non ci sarebbe stata. Poco importa se si lavora nella famigerata area a caldo o nell’area a freddo: tra i casi clinici registrati non sembra ci sia distinzione.

Siamo in Italia, un paese sviluppato e alle soglie del 2020: possibile che solo a Taranto non si possano conciliare salute e lavoro?

Così parla Mauro, che attende in cassa integrazione sperando di tornare in acciaieria. Si confronta deluso con i colleghi selezionati per i corsi di formazione, che lo avvertono: sono in realtà corsi su come trovare lavoro altrove, poiché incentrati sulla compilazione di un CV. Lui è uno di quelli che all’arrivo del posto fisso ha festeggiato, uno di quelli che la vorrebbe attiva. Perché forse è facile parlare di priorità e di salute, ma come fai quando hai figli a carico e l’operaio è tutto ciò che sai fare? Danila, invece, non ha dubbi: quella fabbrica non doveva esistere. Nulla vale una malattia mortale, nulla può essere pagato con la vita, neanche la stabilità economica. Così, insieme all’altra metà di Taranto, combatte, spera e propone alternative. Riqualificare una delle aree più belle d’Italia e investire sul turismo potrebbe essere un’alternativa:

Nonostante quella fabbrica molti degli operai tarantini non hanno futuro. E allora costruiamolo noi, con le bonifiche. Magari passeremo più tempo da disoccupati, ma poi almeno i nostri figli, quel futuro, torneranno a sognarlo.

La scelta tra lavoro e benessere è il punto cruciale del divario generazionale attuale. Prendere posizione è difficile, eppure necessario. Soprattutto a Taranto. Leggi anche: Non solo Ilva, Taranto non smette di sperare   di Marianna Chiuchiolo

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Marianna Chiuchiolo
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Giornalista con studi in Mediazione Linguistica, una formazione da teatrante e una generale tendenza a perdersi nei vicoli di una fervida immaginazione. Ama in egual misura la scienza e la poesia e si spende da tempo per la crociata della Mental Health Awareness come missione di vita.
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