Rebibbia, pochi sanno che in carcere si fa il Caffè Galeotto

Ferdinando, un detenuto di Rebibbia, racconta come la torrefazione all'interno del carcere e il negozio del Caffè Galeotto gli abbiano cambiato la vita.

Cecilia Capanna
Cecilia Capanna
Appassionata di temi globali, di ambiente e di diritti umani, madre di tre figli del cui futuro sente un grande senso di responsabilità
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Pochi sanno che all’interno della casa circondariale di Rebibbia c’è una torrefazione in cui lavorano i detenuti e che porta il nome di Caffè Galeotto. Un luogo di vera trasformazione, sia dei chicchi di caffè che delle persone.

Rebibbia, come è nato il Caffè Galeotto

L’idea è stata di Mauro Pellegrini, il fondatore della cooperativa sociale Panta Coop, un uomo che ha dedicato la sua intera vita alla rieducazione delle persone che sono in carcere attraverso diversi progetti, tra cui quello del Caffè Galeotto. Grazie ai fondi tutti provenienti esclusivamente dalla cooperativa, è nata la torrefazione che ad oggi ha 15 dipendenti. Formare i detenuti e farli lavorare in una torrefazione permette loro di riacquistare dignità, di concretizzare la voglia di ricominciare e di farlo imparando un mestiere richiesto sul mercato del lavoro, che sarà la chiave per il reinserimento nella società una volta scontata la pena.

All’interno del penitenziario di Rebibbia Mauro ha avuto in concessione uno spazio in cui da una parte si miscela, si tosta, si macina il caffè e si producono le cialde e dall’altra si fa manutenzione e si riparano le macchine espresso che vengono date in dotazione ai clienti in comodato d’uso. Oltre all’attività artigianale dentro le mura del carcere, Mauro ha realizzato un piccolo negozio aperto al pubblico dove vengono venduti tutti i prodotti del Caffè Galeotto e che si trova all’ingresso del Nuovo Complesso della casa circondariale.  

Il caffè che trasforma le persone: “Sono cambiato grazie al Caffè Galeotto”

Sono le parole di Ferdinando, un detenuto che lavora nel negozio del Caffè Galeotto, gli occhi scuri e profondi, occhi buoni e consapevoli. È in carcere da 11 anni e ne deve ancora scontare 4. Il negozio della torrefazione è un posto aperto a tutti, Ferdinando può lavorarci perché beneficia dell’articolo 21 che gli dà la possibilità di uscire dalla mattina alla sera. “Sono molto fortunato ad aver avuto questa possibilità, mi è stata data fiducia e questa è la cosa fondamentale da fare con chi ha sbagliato”.

Ferdinando è un uomo trasformato e il lavoro al caffè Galeotto lo ha decisamente aiutato nel cambiamento. “In carcere si può cambiare ma si deve seguire un percorso”. Parla forte e chiaro, occhi negli occhi, le sue parole si animano:

Il carcere deve servire per capire dove hai sbagliato. Devi viverlo, non dormire tutto il giorno per farti passare il tempo. Devi fare un percorso che ti porti a non commettere più gli stessi errori.

Lavorare è fondamentale per intraprendere questo processo, aiuta a ricostruire se stessi e il proprio futuro, anche se purtroppo una volta liberi si è comunque condannati al pregiudizio, un vero e proprio ergastolo.

Al Caffè Galeotto si fa musica e cultura

Oltre ad essersi iscritto all’università ed essere prossimo alla laurea, Ferdinando è un eccellente musicista, il suo strumento è la fisarmonica. Nel minuscolo magazzino del negozio suona e compone, sul muro ha scritto “Musica è evasione”. Presto inciderà un disco con musicisti famosi. Lo vanno a trovare molti amici e il caffè Galeotto è diventato anche un centro di incontro in cui non solo si vende il caffè ma si fa anche arte e cultura.

Spesso Ferdinando suona insieme a Paolo, il suo professore di inglese che lo accompagna alla chitarra. Paolo insegna in carcere da più di 25 anni ed è fortemente convinto che la scuola in carcere sia fondamentale tanto quanto il lavoro. Paolo ci spiega:

La scuola è bistrattata e non è messa al centro del processo di recupero di queste persone che hanno una forte volontà di rimettersi in gioco, magari di riprendere passioni o interessi che sono stati accantonati come la musica per Ferdinando.

La scuola andrebbe valorizzata. Spesso ci troviamo davanti a persone che vogliono fortemente cambiare. 

Il Covid, quella pena sulla pena

Se già la vita in carcere è durissima e disumanizzante, si è aggiunta la pandemia a renderla ancora più complicata. Sono mesi che i detenuti non possono vedere e riabbracciare la propria famiglia e i propri congiunti. Questo per un’ordinanza che vieta i colloqui, una misura che vuole proteggere da una potenziale “bomba epidemiologica” da Covid chi è dentro i penitenziari ma che non è bastata. Nel frattempo infatti il personale carcerario entra ed esce dalle case circondariali e nonostante le attenzioni a Rebibbia un focolaio ha colpito almeno 110 detenuti. Racconta Ferdinando:

La paura è molta, non tanto per i giovani quanto per tantissimi detenuti con patologie pregresse anche gravi che qui dentro non ci si dovrebbero proprio trovare.

La situazione è particolarmente allarmante anche perché sembra che le mascherine distribuite siano poche e pochi giorni fa è anche mancata l’acqua per un’intera giornata. Tutto questo rende ancora più difficile la missione di Mauro Pellegrini ma il caffè Galeotto tiene duro e si va avanti giorno per giorno.

Leggi anche Rebibbia senza acqua in piena pandemia

Tutti i detenuti dovrebbero essere Ferdinando

La torrefazione può ospitare pochi dipendenti rispetto alla popolazione carceraria di Rebibbia che conta 1200 detenuti. Ferdinando è un esempio di come potrebbero trasformarsi tutti e 1200 se il carcere fosse veramente un luogo di recupero e di rieducazione come lo immagina Mauro Pellegrini e come lo avevano immaginato i padri della Costituzione italiana. Secondo l’articolo 27 della Costituzione italiana:

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

La fragilità del Diritto penitenziario

Sappiamo bene che purtroppo non è così e che il Diritto Penitenziario è fragile. Ferdinando e gli altri dipendenti della torrefazione hanno capito i loro errori e sono cambiati. Le istituzioni sono disposte a capire gli errori e a cambiare? Intanto che aspettiamo l’urgente riforma carceraria e la vaccinazione prioritaria in tutte le case circondariali italiane, bere il caffè Galeotto è il gesto minimo da fare per dire ai detenuti: io non vi dimentico.  

Leggi anche Made in Carcere: il brand che regala una seconda opportunità ai detenuti

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