I registi di talento bussano a vuoto alle porte Rai

Giovani registi e produzioni di talento sempre più ignorati da Mamma Rai. La denuncia del documentarista Parsifal Reparato.

Silvia Buffo
Silvia Buffo
Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.
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Il dramma dei registi di talento ignorati dalle produzioni Rai è reiterante. La casa di produzione Antropica, specializzata in documentario antropologico, con la sua ultima opera “She” ha ricevuto 3 premi da uno dei mercati più importanti al mondo del cinema documentario. La gioia dell’evento è stata però soffocata dalla mancata cosiderazione, partecipazione, attenzione da parte di Rai. Difatti il regista Parsifal Reparato si aspettava di poter puntare sulla sua produzione e invece, pur bussando più volte alle porte di viale Mazzini, non ha mai ricevuto riscontro.

Questa sgradevole problematica però va oltre la blindata élite di Rai Documentari, è molto più ampia e strettamente collegata alla carenza degli slot perché strategicamente non vengono concessi ai documentari. Non è solo mancanza di sensibilità culturale, ma anche intenzionale mancanza di volontà nel non voler stanziare investimenti importanti nel genere. Abbiamo intervistato Parsifal Reparato di Antropica per approfondire questo contrasto legato a un successo per queste ragioni ancora parziale e questo tipico stato d’animo diviso tra entusiasmo e sconforto.

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Parsifal, con la tua casa di produzione Antropica hai ricevuto 3 premi importantissimi, come ti senti?

Oggi la gioia è tanta! Il nostro progetto di film documentario, prodotto da AntropicA, dal titolo #SHE ha conquistato 3 importanti premi al Sunny Side of the Doc, uno dei più importanti festival al mondo per il cinema documentario. Gli ultimi 5 giorni sono stati intensi, ricchi di incontri con piccoli, grandi produttori, distributori e broadcaster internazionali. Ho avuto l’onore di portare SHE in selezione ufficiale alla sezione Global Issues Pitch.

Quali opportunità sono nate nella platea de La Rochelle?

A La Rochelle, Martedì 21, presso l’auditorium dello Space Encan, ho presentato – “pitchato”, nello slang degli addetti ai lavori, il progetto ad un pubblico prestigioso, produttori e decision maker da tutto il mondo: Al Jazeera English, RTS Switzerland, YLE, Netflix, ARD-NDR e molti altri.

È stato gratificante vedere gli sguardi emozionati di un pubblico di professionisti, ascoltare le loro domande, scoprire l’interesse che il nostro progetto ha generato in produttori e broadcaster di tutto il mondo all’interno di questo mercato per eccellenza. Un contesto che a differenza di quello italiano si è dimostrato inclusivo, vario, ricco di idee e professionisti con tanta voglia di fare. E questa sì è una grande opportunità!

I tuoi documentari hanno sempre raccontato la lotta per i diritti umani e lo sfruttamento, quando hai iniziato a lavorare a She?

Il progetto a cui stiamo lavorando è il frutto di tanti anni di lavoro su un tema vitale. Raccontiamo dei diritti e delle condizioni di lavoro delle operaie dei più grandi stabilimenti industriali dell’elettronica al mondo, che oggi hanno base in Vietnam. Raccontiamo del patriarcato che favorisce lo sfruttamento di manodopera femminile da parte delle grandi corporation. Lo raccontiamo avvalendoci di ricerca scientifica, insieme al lavoro di scrittura in collaborazione con Michela Cerimele, di professionisti del campo dell’audiovisivo e confrontandoci con le operaie e le manager di questi grandi stabilimenti industriali. È un lavoro unico al mondo, di cui è necessario parlare.

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Cosa ti ha deluso di Rai Documentari e quale riflessione senti di voler innescare?

Festeggeremo con tutte le forze che ci restano, però in momenti come questi si fa necessaria una riflessione personale e collettiva, affinché l’esperienza e il successo del singolo torni a beneficio della comunità a cui si appartiene.

Lavoriamo a questo progetto da oltre 2 anni, e da almeno 6 mesi tento di fare arrivare il nostro lavoro al nostro principale broadcaster italiano, la RAI, la tv pubblica che produce e supporta la produzione di film da milioni di euro ogni anno. Negli ultimi sei mesi ho bussato alla porta della Rai inutilmente. In seguito alla selezione al Sunny Side mi hanno finalmente risposto e spiegato che la nuova linea editoriale di RAI Documentari prevede il supporto a progetti che guardano esclusivamente a “storie italiane, nello specifico true crime, biografie e anniversari”. Una decisione che in sostanza taglia le gambe a tutte le PMI di produzione che vogliono mettere il naso oltre confine, e a quelle che vogliono occuparsi di tematiche più impegnate.

Pensi dunque che i temi legati al sociale siano sempre penalizzati nelle produzioni dei docufilm?

Sì certamente, in un sol colpo la dirigenza RAI è riuscita a tenere fuori dal mercato progetti che promuovono tematiche più attente al sociale, confermando l’andazzo della tv da intrattenimento. Così diventa emblematica la scena del pitch presso l’auditorium, in cui c’erano tanti decision maker da tutto il mondo, ma non c’era neanche un delegato della RAI.

Cosa pensano all’estero di questa penalizzazione italiana?

Ai colloqui i più grandi broadcaster del mondo mi hanno posto tutti la domanda con curiosità e un po’ di sospetto… “Come mai non c’è RAI in questo progetto?” Ho tentato di spiegare la drammatica situazione in cui versano le produzioni indipendenti italiane impegnate e con uno sguardo all’estero… Siamo finiti spesso a ironizzare sulla gestione della RAI. Perché Rai non supporta il progetto con nessun ramo d’azienda (RAI Cinema ad esempio).

Quali sono le dinamiche, le regole secondo le quali si decide di abbracciare un progetto? L’ironia ci ha salvato ancora una volta, ha fatto crescere ancor più questo importante progetto e le nostre spalle. Mentre gioisco per i risultati portati a casa, dall’altra parte provo una profonda tristezza nel riconoscere la mala gestione della cosa pubblica, di cui siamo vittime nel nostro Paese.

Per il futuro che approccio intendi mantere al tuo lavoro di produzione e regia?

Noi porteremo certamente a compimento il nostro SHE, sono anni che facciamo cinema indipendente, sono anni che lavoriamo con tanta passione su progetti “impossibili e difficili”, ci guadagnamo i risultati con il sudore della fronte e i piccoli grandi successi hanno un sapore indescrivibile.

Il segreto è anche la squadra meravigliosa, Michela Cerimele, Pietro Masina, Khanh Do Ta, Thanh Ha Vu, Phương Minh Nguyễn, Armando Duccio Ventriglia, Roberto Zinzi, Sebastiano Greco, Federico Tummolo, Emma Ferulano. Ora festeggiamo, ma domani qualcuno dovrà renderci conto di questa gestione miope che inevitabilmente taglia le gambe a chi lavora con passione, professionalità e onestà. Evviva Sunny Side of the Doc, evviva SHE, evviva il cinema indipendente!

Leggi anche: Vietnam: “Questi sono i costi del progresso che stiamo inseguendo”, la denuncia di Parsifal Reparato

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