Peter Pan, Dumbo e Aristogatti alla gogna: perché arriva la censura Disney

Se si arriva a censurare un cartone animato di più di settanta anni fa, cosa ne sarà della capacità di intendere e volere delle future generazioni?

Enrica Vigliano
Enrica Vigliano
Enrica Vigliano, romana per adozione. Lavora nel mondo dell’arte e della comunicazione di eventi, dopo gli studi di Archeologia e di Business dei beni culturali. Adora parimenti la matematica e la grammatica, avendo una predilezione per le parole crociate e per la vita all’aperto.
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Mentre Crudelia Demon, la cattivissima e sciantosissima antagonista della Carica dei 101, soffia sulle candeline del suo sessantesimo (!) compleanno e la sua perfida alterigia rimane immutata, la censura Disney corre ad attaccare, manco fossero ricercate figurine, bollini rossi sui suoi classici, in linea con il leitmotiv degli ultimi tempi di etichettare maniacalmente cosa è buono, giusto e sano.

E se è vero che sulla salute non si può e non si deve mettere mano, sui cartoni animati qualche dubbio può sorgere. No, non è vero, non intendo sui cartoni animati in sé, ma sulla capacità di discernimento di chi li guarda.

Notizia di qualche giorno fa recita che Dumbo (1948), Peter Pan (1953) e Gli Aristogatti (1971) meritano il bollino rosso dell’infamia, accusati di diffondere e propugnare idee sbagliate e stereotipi razzisti, rischiando di sobillare le giovani menti dei loro piccoli fan sotto i 7 anni.

Scambiare la semantica per un problema sociale equivale a nascondersi dietro a un dito

censura disney peter pan
Censura Disney, i pellerossa di Peter Pan hanno connotazione razzista: bollino rosso.

Prima lezione di storia dell’arte: qualsiasi forma artistica è espressione del suo tempo. Compresi i cartoni animati.

Questo non vuol dire giustificare a tutti i costi visioni che solo con il tempo sono state riconosciute come sbagliate e immorali. Vuol dire piuttosto che bisogna essere in grado di fermarsi e riflettere, spiegare e fare confronti fruttuosi e positivi.

Ma c’è sempre meno tempo da passare con i figli, meglio abbandonarli davanti alla televisione o ai cellulari, con conseguenze a volte estreme, invece di trattenersi un attimo con loro per illustrare ogni sfaccettatura di una pellicola da 90 minuti.

È vero, da piccola io chiamavo Giglio Tigrato pellerossa, era quello che avevo sentito dire non solo da Peter Pan e Capitan Uncino, ma anche a scuola e altrove. Eppure non facevo altro che disegnarla. Volevo essere come lei, volevo essere lei. Non Trilli, non Wendy, ma Giglio Tigrato con la sue trecce nere e la sua piuma in testa.

Perché per me pellerossa non era altro che una parola tra tante, non un’accusa, né una ghettizzazione. Era qualcosa di bello che non sarei mai stata. Era una fantasia, esattamente quella che dovrebbe suscitare un cartone animato. Era per me come dire bionda, bruna, mora, ma oggi persino questi aggettivi hanno una connotazione “razzista” se letti in un determinato modo.

Di nuovo, non sono le parole a essere razziste, ma l’uso che se ne fa.

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Censura Disney, di quando il cattivo era anche brutto

censura disney carica 101
Censura Disney, di quando il cattivo era anche buono.

E allora eccoci tornare sulla censura Disney e sul buonismo dilagante che pervade anche le sue ultime produzioni: scompaiono i cattivi, come li abbiamo sempre conosciuti e riconosciuti. Non più Malefica e le sue corna, non più Crudelia e le sue pellicce (Oh mio Dio, una pelliccia in un cartone animato, sacrilegio!) non più Ursula e il suo verrucoso neo in faccia.

Ho scelto tutte donne, non è un caso.

Oggi i cattivi sono entità inafferrabili, poco se non pochissimo analizzabili dai bambini: la corsa contro il tempo senza o con solo metà figura paterna (un caso?) a fare da apripista, come nel recente Onward, la crescita, in Inside Out, stati di animo o di alterazione della percezione del sé, in Soul, o ancora, l’impossibilità di trattenere la magia (perché, da quando si deve nascondere la magia in un cartone animato???) come in Frozen.

Vero, c’è anche un bellissimo principe, sempre in Frozen, che risulta essere uno squallido approfittatore e una madre che non vuole invecchiare, Rapunzel, a discapito della vita della figlia.

Ma non confonde ancora di più le idee? Ora, non voglio dire che il lambrosiano brutto e cattivo fosse più efficace o accettabile, ma sicuramente dava un’indicazione di massima, assoluta, difficilmente travisabile.

La stigmatizzazione di determinati comportamenti rendeva il cattivo Cattivo, e il buono Buono: costituiva lo zoccolo su cui costruire un’idea e, ancora meglio, un valore.

Nel mondo di oggi ci sono già troppe sovrapposizioni, nuance, controsensi e ambiguità per non chiamare le cose con il loro nome.

E la redenzione del malvagio?

Ecco, questo è uno spunto di cui parlare quando si spegne la tv.

Molti dei cartoni che vedono i bambini di oggi sono lungi dall’essere educativi, e non è nemmeno giusto affidare alla scatola magica o agli schermi l’arduo compito di spiegare come va il mondo.

Educare alla latina non vuol dire lasciare tutto al caso, vuol dire condurre, guidare, in un percorso che dall’interno si proietta all’esterno, per far emergere, laddove esistano, conflitti e irrisolti che alla luce anche della più piccolissima fiammella non esistono più, come i mostri sotto al letto.

Leggi anche: Privare della libertà di espressione è un gesto totalitario, anche se parliamo di Trump

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