Michela Mercuri: “Non è solo la guerra del gas, ma anche del pane”

La docente di Geopolitica Michela Mercuri fa luce sul volto inesplorato della guerra Russia-Ucraina. L'abbiamo intervistata su due temi cruciali per la nostra economia: il problema del gas e dell'approvvigionamento delle materie prime.

Silvia Buffo
Silvia Buffo
Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.
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“Si dice che il battito d’ali di farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo, purtroppo in questo caso non stiamo parlando di un battito d’ali di una farfalla, ma di una guerra che da più di 40 giorni sta insanguinando l’Ucraina e gli effetti di questa guerra si stanno riverberando in tutto il globo”: sono le parole di Michela Mercuri, docente di Geopolitica del Medioriente, esperta in Storia contemporanea dei paesi mediterranei, autrice di “Incognita Libia”, editore FrancoAngeli e “Naufragio Mediterraneo” per Paesi Edizioni.

Il volto inesplorato del confitto. L’intervista a Michela Mercuri

Abbiamo intervistato Michela Mercuri per provare a far luce su due temi molto importanti per la nostra economia, ma al tempo stesso trascurati: il problema del gas e dell’approvvigionamento delle materie prime.

Quali ripercussioni per l’Italia nell’approvvigionamento delle materie prime in seguito all’attuale conflitto?

Per quanto riguarda l’approvvigionamento delle materie prime dobbiamo riferirci in particolare al grano e al mais. Nel 2021 sono arrivati in Italia oltre 120 milioni di kg di grano dalla Russia e 110 milioni dall’Ucraina, secondo i dati della Coldiretti. Per l’Italia questo rappresenta una percentuale marginale, soprattutto per quanto riguarda il grano duro con cui produciamo la pasta.

Discorso diverso per il mais, che importiamo soprattutto dall’Ucraina: sono diminuite le quantità e aumentati i costi a causa della scarsità delle merci, che in parte sono bloccate al porto di Odessa, città che in questo momento rischia anche un attacco importante da parte delle milizie russe. Pensate soltanto che l’Ucraina aveva 15 milioni di terreno coltivato, ora ne può coltivarne solo la metà, ma con il proseguimento delle ostilità, queste potrebbero addirittura diminuire.

Il fatto è che seppure la percentuale di grano e mais importata verso l’Italia sia piccola rispetto ad altri stati- neppure il 3%, secondo la maggior parte dei dati- questa si concentra tutta in un solo settore che è quello agroalimentare e ciò fa di questo un settore a rischio, soprattutto per un altro tipo di materiale, che è quello dell’olio dei semi di girasole, importato per circa il 50%. Ma il problema riguarda l’Italia in minima parte.

L’Italia sembrebbe avere un problema marginale con l’approvvigionamento delle materie prime. Quali paesi ne risentono in maniera drammatica?

Il problema riguarda soprattutto l’Africa. Basti pensare che l’Egitto importa l’80% del grano che consuma proprio dalla Russia e dall’Ucraina. Il Governo egiziano ha dichiarato di aver solo 9 mesi di tempo prima di vedere prosciugate completamente le sue riserve di grano, con cui produce soprattutto il pane, che è l’alimento fondamentale per i paesi del Nordafrica, ma in generale dell’Africa, tant’è che viene servito alla popolazione attraverso dei sussidi. Certo, l’Egitto diversificherà le fonti di approvvigionamento da Usa, Francia, ma i prezzi saranno molto più alti, così come anche i tempi di consegna.

Quali beni di prima necessità scarseggiano? Con quali conseguenze sul breve periodo?

L’assenza di pane e di beni di prima necessità rischia di generare rivolte, così come è successo in passato con le rivolte del pane, ma anche con le primavere arabe del 2011, che altro non erano se non che rivolte del pane. Sì, erano lotte per rivolte di ideali, contro la corruzione, per il mondo migliore, ma erano anche rivolte del pane, rivolte contro la povertà. Questo rischia di generare proteste popolari, che destabilizzerebbero ulteriormente questi paesi, ma anche di influenzare l’aumento dei flussi migratori.

michela mercuri

In termini di approvvigionamento di beni alimentari, quanto l’Africa dipende dalla Russia? Gli eventuali flussi migratori coinvolgerebbero anche l’Italia?

L’Africa è un continente immenso, che vive già una grande crisi alimentare. Nel 2021 i paesi africani hanno importato dalla Russia prodotti alimentari per circa 4 miliardi di dollari, soprattutto in grano e non è un caso che 25 paesi africani si siano astenuti dal votare le sanzioni contro la Russia, addirittura l’Etiopia ha votato No. Questo è un chiaro segnale di come ci sia una sorta di dipendenza e di vicinanza tra la Russia e i paesi africani e di quanto questo problema di approvvigionamento di questi beni possa influire sul futuro di questi paesi. Dobbiamo ricordare solo una cosa: l’insicurezza alimentare legata all’aumento dei prezzi può portare anche in questo caso destabilizzazioni e migrazioni di massa. E questo sarebbe sicuramente un problema che si riverbererebbe anche nel nostro paese.

Michela Mercuri: “Indispensabile rivedere la strategia energetica in Italia”

Per quanto riguarda il nostro rifornimento di gas dalla Russia, cosa c’è da temere?

In termini di approvvigionamento di gas, l’Italia dipende per circa il 40 % dalla Russia, e ciò ci costringe a ripensare la nostra politica energetica. La strada di diversificazione dei paesi di approvvigionamento in questo momento sembra l’unica percorribile, anche per ridurre la nostra fragilità rispetto alle attuali tensioni geopolitiche e alla nostra dipendenza da un solo grande fornitore che è la Russia. Poi ci sono altri fornitori minori, ma la Russia storicamente resta il fornitore che più ci ha garantito il gas.

Leggi anche: L’Unione europea può ridurre la dipendenza energetica dal gas russo

È indipensabile una nuova strategia energetica in Italia che miri a una crescente interdipendenza?

Sì, non si può raggiungere in maniera istantanea, ma va sicuramente ricercata. Non c’è una via d’uscita all’impasse di questo periodo, in cui è necessario puntare sui giacimenti di gas naturale già disponibili, soprattutto nei nostri mari, e il Mediterraneo offre notevoli potenzialità in termini di riserve.

Ma ci sono delle difficoltà che riguardano l’estrazione, lo stoccaggio, il trasporto del gas fino alle nostre coste perché le infrastrutture italiane non sono sufficienti per la rigassifigazione del gas naturale liquefatto, che proviene da alcuni paesi africani.

Quali sono i paesi che potrebbero divenire nuovi punti di riferimento nella fornitura gas?

Nel dettaglio, il primo paese da prendere in considerazione è l’Algeria, che attraverso il gasdotto Transmed, è il nostro secondo fornitore di gas, garantendo il 28 % del fabbisogno nazionale. Ma da questo punto di vista bisogna considerare che l’Algeria è una fonte instabile, anche perché ha sempre più bisogno del gas per il consumo interno e perché questo paese è molto vicino alla Russia, che è suo fornitore di armi.

A seguire, poi c’è il Qatar, che con quasi 7 miiardi di metri cubi annui garantisce all’Italia circa il 10 % del consumo totale di gas. Non è un caso se proprio Algeri e Doha sono state le mete principali del Ministro degli Esteri, Luigi di Maio, insieme all’Amministratore delegato Eni, Claudio Descalzi, nei primi giorni di marzo, quando appunto il rischio di congelamento delle forniture russe ha iniziato a diventare reale.

Poi abbiamo il gasdotto TAP, da cui ricaviamo circa 8 miliardi di metri cubi di gas, il 6,8% di quello che consumiamo, ma che secondo il Managing Director & Country Manager per l’Italia, Luca Schieppati, può aumentare i volumi già da quest’anno. Questo gasdotto collega i movimenti offshore del Mar Caspio con l’Europa, attraversa Azerbaigian, la Georgia, la Turchia, la Grecia, l’Albania, e poi arriva alla costa pugliese. È un’altra opportunità per cercare di sostituire una parte del gas russo. Inoltre ci sarebbe un’altra possibilità, che è il GreenStream, il gasdotto che da Mellitah in Libia arriva a Gela. Purtroppo però questo potrebbe dare all’Italia solo il 12 % circa del gas che consumiamo.

Quest’anno ne ha fornito meno della metà perché in Libia c’è una situazione di grande instabilità in cui gasdotti e oleodotti sono in mano alle milizie che aprono e chiudono i rubinetti a loro piacimento, specie in momenti di massima tensione. Proprio come sta accadendo in questi mesi in cui non riusciamo a sfruttare questo gasdotto, che sarebbe fondamentale, anche perché partecipato proprio da Eni.

Leggi anche: Di Maio sigla accordo Italia-Azerbaigian: il Governo riduce dipendenza dal gas russo

In sintesi, la strategia da perseguire in Italia per arginare il problema del rifornimento del gas?

È importante ricercare fonti alternative nel Mediterraneo e non solo, ma anche cercare di attuare delle politiche incisive a livello italiano e a livello europeo, tentando di stabilizzare soprattutto la Libia, che potrebbe essere un buon fornitore di gas.

Infine, non dobbiamo dimenticare il potenziale dell’Egitto: la presenza di Eni nel paese, in particolare con i giacimenti zohr, di cui si è rilevata, nel 2015, ben 850 miliardi di metri cubi e di Noor, che ha una portata futuribile, perché ancora non è stato completato, di 2500 miliardi di gas: ne fa il giacimento più grande del Mediterraneo, sicuramente potrebbe portare di nuovo l’Italia al centro delle dinamiche energetiche nell’area del Mediterraneo allargato.

Questa è una postura che l’Italia potrebbe sfruttare, anche per espandere la propria influenza in Libia, e in altri paesi del Nordafrica, potrebbe essere sul lungo periodo una soluzione per importare gas. Al momento con questi giacimenti viene soddisfatto completamente il bisogno di gas dell’Egitto, quindi nulla vieta che in futuro si possa portare una parte di questo gas anche in Italia, ma sono soluzioni ancora di lungo periodo.

Secondo i più, ci vorranno almeno 4/5 anni affinché questo tipo di soluzione, piuttosto che la creazione di nuovi rigassificatori per il gas naturale liquefatto, che arriva, per esempio, dal Qatar, diventino realtà. Nel frattempo dovremmo basarci sulle fonti che abbiamo disponibili, cercando di ottenere più gas, come per esempio l’Azerbaigian e gli altri paesi citati.

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