L’Italia e le Foibe, ecco perché ricordare è necessario

10 febbraio, il giorno delle Foibe: ricordarlo al di là di ogni polemica è importante.

Domenico Di Sarno
Domenico Di Sarno
Informatico e politologo laureato con Lode. amante dei libri di ogni genere perché fortemente convinto che la cultura sia come il cibo, ne serve ogni giorno per nutrire la mente. Appassionato di storia e diritto costituzionale.
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Ci troviamo spesso a ricordare i modi e i luoghi in cui il Novecento, il cosiddetto “secolo breve”, ha influenzato per sempre il corso della storia modificando il modo di vivere di singole persone, di città finanche di intere popolazioni. Quello che colpisce nella lettura della storia è che questa è piena di responsabilità che non possono essere sempre colpe, né possono essere sempre meriti. A volte non ci chiediamo chi sia il responsabile, ma quale sia la causa e, come amava ripetere San Giovanni XXIII Papa, “Distinguiamo il peccato dal peccatore” perché la storia non è un giudice ma solo un tribunale, racconta ma non giudica, e ognuno nella sua coscienza può crearsi una propria opinione. Sfogliando un qualsiasi libro di storia ci si può rendere conto che si hanno notizie di genocidi, eccidi, massacri in qualsiasi epoca e prescindendo dalla periodizzazione che tradizionalmente si impone ai confini didattici della cronologia storica.

L’Italia e le foibe, una realtà riconosciuta solo nel 2004

Nel periodo finale della Seconda Guerra Mondiale l’Italia e le sue genti sono state protagoniste, e in questo caso vittime, di un eccidio sistematico che, per usare un’espressione dell’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ha assunto i contorni di una pulizia etnica. Il 10 febbraio è ricordato come “Il Giorno del Ricordo”, il ricordo dell’eccidio delle foibe. Per tanti anni si è trattato di un massacro sistematico dimenticato, già durante il settennato del Presidente Cossiga il capo dello Stato si era recato in visita presso i luoghi del ricordo, a Trieste, per anni simbolo dell’irredentismo e della volontà di un popolo di appartenere all’Italia, ma solo dal 2004 la Repubblica ha iniziato formalmente a riconoscere e commemorare per legge le vittime delle foibe.

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Foibe, quante sono state le vittime?

Il termine foibe di per sé appartiene alla geologia, si tratta di un enorme fosso, più precisamente un inghiottitoio tipico del Carso. Se si usa oggi l’espressione massacro delle foibe è perché i corpi delle vittime di questo eccidio sono stati, in larga parte, ritrovati in questi inghiottitoi diventati delle vere e proprie fosse comuni. Le stime, come in ogni situazione di guerra tra paesi che hanno trovato un equilibrio di convivenza civile, se non di amicizia, come nel caso dell’Italia e della Jugoslavia prima, ma dell’Italia con la Slovenia poi, sono sempre imprecise e parlano di una cifra che a seconda della bibliografia, può variare dai 3mila agli 11mila morti, alcuni di essi sono stati trucidati anche dopo i fatti ufficialmente avvenuti tra il 1943 ed il 1945.

La storia delle foibe: cosa è successo e cosa c’era dietro?

Dopo la fine della seconda guerra mondiale l’Italia era uno dei paesi sconfitti tanto che gli alleati angloamericani non consideravano l’Italia un paese alleato nemmeno dopo l’8 settembre 1943 ─ data della pubblicazione dell’armistizio di Cassibile ─ ma come un paese cobelligerante. Sul finire della Guerra, Trieste, l’Istria e la Dalmazia presentavano una società tutt’altro che omogenea composta da gruppi di italiani che erano nati in quelle terre o vi si erano stabiliti molti anni addietro. Allo stesso modo le città, in particolare Pola e Fiume, erano piene di slavi che avevano preso possesso di quei territori o che convivevano con le popolazioni italiane già da tempo, situazione comune a Trieste e Gorizia fino a qualche decennio fa.

La situazione degenerò per vari motivi, non soltanto problemi di convivenza sociale ma anche di natura propagandistica o ideologica. Già precedentemente alla Prima Guerra Mondiale si era diffusa l’idea, nel governo austriaco, di indebolire l’etnia italiana presente nei territori a vantaggio di quelle slovena e croata, ed è per questo che già prima del 1918 più di 30mila italiani furono estromessi dalle proprie mansioni, espulsi dai territori irredenti e privati dei loro beni. Il nazionalismo la faceva da padrone, prima contrapponendo l’etnia germanica a quella italiana e poi quest’ultima a quelle slave. L’unificazione sotto la guida di Josip Broz, il maresciallo Tito, portò a un sentimento Jugoslavo anti-italiano e alla formazione di milizie e strutture militari organizzate che tra le loro finalità avevano anche quella di epurare la popolazione del luogo dagli italiani.

Foibe, responsabilità e interpretazioni

I partigiani Jugoslavi insieme al Dipartimento per la Sicurezza del Popolo ─ la cosiddetta OZNA ─ si resero responsabili dell’eccidio degli italiani e dello sradicamento sociale e fisico di una parte della popolazione di quelle terre. Le motivazioni furono varie: la Jugoslavia risentiva di un forte sentimento nazionalista e di una guida politica che era esattamente opposta a quella che aveva avuto l’Italia nel ventennio precedente. Ma non si può ridurre a questa interpretazione banalizzando le ragioni che hanno condotto alla morte di 11mila persone e che hanno visto delle polemiche tra due stati confinanti che si guardavano l’un l’altro divisi dalla cortina di ferro, per usare una definizione di Winston Churchill secondo il quale la cortina di ferro andava posta proprio a Trieste.

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La dichiarazione congiunta

Nel 2011 il governo italiano e quello Croato hanno definito “folle vendetta delle autorità Jugoslave” e “privi di giustificazione” i massacri compiuti dai nazionalisti dell’OZNA. Nella pratica l’etnia italiana era una minoranza che rappresentava non una minaccia ma semplicemente un coinquilino scomodo. Così come a Cefalonia, la Seconda Guerra Mondiale ha prodotto violenza anche dopo la fine ufficiale del conflitto ed anche in teatri o situazioni che sembrerebbero non avere nulla a che vedere con la guerra vera e propria. Il Carso, l’Istria, le città di Udine, Trieste, Pola, Fiume, Zara sono circondate da foibe seppure le vittime sono state trucidate anche fuori, sempre per ragioni politiche. Forse è anche per questo che le cifre sono discordanti.

Il significato del ricordo e la sua intangibilità alle polemiche

Il ricordo di un eccidio ─ come in questo caso, come nel caso della Giornata della Memoria ma anche di quello che è accaduto nell’esercito italiano a Cefalonia ─ o del genocidio degli Armeni o dei tanti eccidi avvenuti nel corso della storia non ha la funzione di mettere il dito nella piaga, di fomentare l’odio tra popoli amici, tra uomini e donne che hanno in comune tutto e che hanno più cose che li uniscano di quante li dividano. La memoria, il ricordo, non sono benzina sul fuoco. La Repubblica ha deciso di commemorare le foibe a partire dal 2005 in funzione di una legge del 2004 promulgata appositamente e molto cara ai Presidenti Ciampi e Napolitano, ma non meno all’attuale capo dello Stato Mattarella. Il ricordo non è né deve essere stimolo di vendetta ma solo memoria e rispetto, rispetto per chi è stato vittima dell’odio e rispetto della pace.

Foibe, il Giorno del Ricordo oggi

Nei decenni successivi e fino al 1977, anno in cui entrò definitivamente in vigore il trattato di Osimo del 1975, la città di Trieste e il suo circondario sono state oggetto di contesa fino alla risistemazione definitiva delle frontiere. La pace e la memoria non portano divisione, sono valori irrinunciabili e inestimabili che non devono contrastare con l’indipendenza e con la libertà dei singoli individui o di interi popoli. Forse è proprio per questo che nell’ultima strofa della canzone “La Leggenda del Piave”, Giovanni Ermete Gaeta, meglio noto come E.A. Mario, scrive “La pace non trovò né oppressi né stranieri”. E il rispetto delle vittime e della pace impone la memoria al solo fine di illustrare gli orrori alle presenti e future generazioni affinché di eventi così funesti debbano scrivere solo i libri di storia e non raccontarne i mezzi d’informazione.

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Domenico di Sarno

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Informatico e politologo laureato con Lode. amante dei libri di ogni genere perché fortemente convinto che la cultura sia come il cibo, ne serve ogni giorno per nutrire la mente. Appassionato di storia e diritto costituzionale.
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