La cultura ha bisogno della Ferragni?

Un pensiero intorno alla cultura e al dibattito sulla nota influencer di Instagram Chiara Ferragni che ha pubblicizzato gli Uffizi di Firenze.

Luca Tartaglia
Luca Tartaglia
Classe 88. Yamatologo laureato in Lingue Orientali, specializzato in Editoria e Scrittura, con un Master conseguito in Diritto e Cooperazione Internazionale. Ama dedicarsi a Musica e Cultura, viaggiare, “nerdeggiare” e tutto ciò che riguarda J. J. R. Tolkien
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Quindi la cultura ha bisogno degli influencer? Iniziamo col dire che la cultura ha bisogno di tutto l’aiuto possibile, specialmente un Paese come il nostro, che è fondato su una “cultura” antica e permeata fino alle basi. Ma, e c’è un ma, l’aiuto deve essere incondizionato e rispettoso. Ciò vuol dire sì, che ogni cosa che può portare un beneficio alla cultura è ben accetto, ma con l’imperativo che sia un aiuto sincero, sentito e rispettoso, di chi la cultura la sente propria e essenziale, dentro di sé. La cultura non può essere mercificata, non deve, appartiene a tutti e come tale deve essere tutelata e allo stesso tempo diffusa. Un paese che non fa della cultura una propria base costitutiva ha ben poche speranze di sopravvivere agli sconvolgimenti del tempo. Ma bisogna stare attenti a capire come far rimanere in vita ciò che chiamiamo banalmente “cultura”.

Bisogna disabituarsi e smettere di concepire la cultura come sapere enciclopedico, in cui l’uomo non è visto se non sotto forma di recipiente da empire e stivare di dati empirici (…). La cultura è una cosa ben diversa. È organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è presa di possesso della propria personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri. Ma tutto ciò non può avvenire per evoluzione spontanea. Antonio Gramsci

Fori Romani
Una fotografia notturna dei Fori Romani. Roma.

Senza non esisteremmo

L’idea è quella che da quando molti privati come Gucci, Prada, e altre grandi firme hanno donato dei soldi nel restauro o nel mantenimento di edifici storici, monumenti e musei e così via per poi avere in cambio una serata qui o una sfilata là, la cultura si sia “venduta”. La cultura non si è venduta, semplicemente non c’è chi la mantiene e cerca di sopravvivere come può. In un paese giusto, dove il benessere socioeconomico del cittadino è al centro, avremmo automaticamente al centro anche la cultura. Perché forse oggi non si mangia con la cultura, ma non si può sopravvivere senza. Perché questa parola racchiude dentro di sé l’identità di un individuo come della società intera, è il DNA storico di un percorso esperienziale, di memoria e cambiamento, che permette di progredire verso il futuro. La cultura, così come l’ambiente, deve essere un cardine imprescindibile in un’agenda politica e sociale. Perché senza, ci sarebbe veramente poco da fare.

La cultura non si può ottenere se non si conosce la propria storia. Dario Fo

Valle Templi Agrigento
Una fotografia della Valle dei Templi ad Agrigento, Sicilia.

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Noi e la nostra cultura

Senza teatri e musei, cinema e gallerie, musica e libri, senza tutto questo, verrebbe a mancare qualcosa che non può essere rimpiazzato da niente. Quindi ci riduciamo al più becero dibattito. Quello delle statistiche e del freddo calcolo matematico. Funzionale alla comprensione di cosa manca al nostro paese, e del perché questo influisce sulla qualità della nostra vita quotidiana e esistenziale. Un paese dove sei italiani su dieci non leggono neanche un libro l’anno (Istat 2018). Poi, il 69,2% degli italiani non sono mai andati al museo, questo dice l’Istat nel 2016. La percentuale cresce al 75% se si tratta di mostre o esposizioni temporanee, e all’80,2% nel caso dei siti archeologici. Non riusciamo a stare al passo. L’Istat continua rimarcando che il tasso di adozione di servizi digitali di musei e gallerie (e si intende di tutto, dal catalogo online alle prenotazioni dei biglietti) è inferiore al 20%.  Qui, come abbiamo sentito dire migliaia di volte, perché vero, in un paese stupendo che detiene quasi la metà del patrimonio storico-culturale del mondo. Dove sempre più spesso i siti archeologici, i musei, l’arte in genere versa in condizioni disastrose e di abbandono. E questa mancanza, chi la paga più di tutti?

Questa è la parte più bella di tutta la letteratura: scoprire che i tuoi desideri sono desideri universali, che non sei solo o isolato da nessuno. Tu appartieni. Francis Scott Fitzgerald

Cappella Sistina Cultura
Una fotografia della Creazione di Adamo di Michelangelo all’interno della Cappella Sistina, Musei Vaticani. Roma.

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I pilastri del futuro

I grandi assenti in questi dati sono proprio la linfa vitale di ogni società, i giovani. Giovani con cui forse bisogna imparare a comunicare meglio, e soprattutto bisogna capirne le esigenze e le criticità. Abbiamo un problema, grande, unico, importante. E quindi ne abbiamo tanti. La cultura deve saper parlare a tutti, specialmente ai giovani che stanno plasmando la propria identità e coscienza. Soprattutto perché la cultura non sarà mai esclusiva, ma sempre inclusiva. Perché non appartiene a nessuno, ma è un patrimonio universale che va condiviso. E se la Ferragni con un post seguito da 20 milioni di persone ha portato anche un solo individuo, un giovane, a scoprire la bellezza unica e indecifrabile che si cela dietro la Venere del Botticelli, io mi sento di esultare. Un giovane in più è appena entrato nel mondo vero della cultura, perché ha scoperto la bellezza di un mondo che ancora riserva la speranza. I giovani devono avere speranza, per il futuro, per tutti noi, e non c’è modo migliore che quello di fargli scoprire la bellezza. Bellezza che darà origine ad un essere nuovo, sensibile, empatico e cosciente di sé. Bellezza che da quel momento in poi difenderanno con tutto il loro essere.

Per cultura si deve intendere […] la capacità globale di rispondere in modo adeguato ai problemi di sopravvivenza che una società deve affrontare. A ogni livello: energetico, agricolo, industriale, educativo, mentale, comportamentale. Vale a dire, la capacità di capire il proprio tempo, di individuare le grandi leve che producono i veri cambiamenti, e di utilizzarle per adattarsi, anche mentalmente, al proprio ambiente (o per adattare l’ambiente a sé). Piero Angela

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