I giovani non vogliono più avere amici, preferiscono follower e like

L’amicizia e le interazioni umane sono diminuite drasticamente. Il distanziamento sociale causato dalla pandemia ha fatto precipitare una situazione già compromessa, quella della sindrome della solitudine.

Melissa Matiddi
Melissa Matiddi
Esperta in comunicazione e digital marketing, studia lo yoga e le discipline orientali. Ama creare, leggere e viaggiare. Silenziosa ma rumorosa, è sempre pronta a varcare nuovi orizzonti.
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I giovani non hanno amici e già questo è a dir poco sconvolgente. Se poi ci aggiungiamo la mancanza di interazione sociale, lo scarso interesse verso il gruppo di appartenenza, la repressione e la demotivazione verso il futuro, la situazione si dimostra terribilmente angosciosa e senza via d’uscita.

L’ideale di amicizia, non esiste più, è crollato, si è inabissato nella profondità di un isolamento fitto, contagioso ed epidemico che sta sempre di più assorbendo e trasformando la vita dei ragazzi che ormai divorano e parlano solo con i mondi virtuali. 

Alla complicità e all’interazione, i giovani preferiscono l’emarginazione. Like, follower e real sono le nuove compagnie del web, in cui tutti, almeno in apparenza, si scambiano emoticon ed amicizia.

Isolati, distaccati ed esclusi, i ragazzi si fanno, maneggiando i loro smartphone, interi booster di solitudine. 

I giovani non hanno amici: il fenomeno della solitudine

Molto prima che il Covid ci deformasse la vita, i problemi di depressione e solitudine soffocavano già parecchi paesi del mondo. Canada, America Latina, Asia, Cina, Giappone ed Europa subiscono da tempo l’emorragia di un fenomeno in continua crescita.

Secondo una ricerca del 2015 di Eurostat, il 13,5% degli adolescenti italiani ha affermato di non avere nessuno a cui chiedere aiuto. Coerentemente con questi dati, il rapporto dell’Istat del 2018 ha confermato l’idea che i giovani non hanno amici. Sono circa 3 milioni le persone che non hanno una rete di interazioni sociali.

Da un certo punto di vista, l’effetto della pandemia non ha fatto altro che acutizzare un male che si era già precedentemente nascosto dentro al nostro secolo. Il lavoro da remoto, la Dad e la distanza fisica/sociale hanno cancellato tutte le occasioni per relazionarsi e conoscere gli altri.

Però, c’è da dire che non è stata tutta colpa dell’emergenza sanitaria, la questione della dipendenza da smartphone è stata più volte denunciata dalle associazioni che hanno sempre, nonostante l’indifferenza e il silenzio, sostenuto e sensibilizzato i giovani sul tema.

Infatti, l’agenzia di sondaggi statunitense, Gallup, ha registrato, nel periodo post-Covid, che il 13% delle americane e l’8% degli americani, nella fascia di età compresa tra i 30 e i 49 anni, non ha amicizie. È una realtà in continua evoluzione che sta isolando sempre più i ragazzi.

Perché i giovani non hanno amici?

I giovani non hanno più nessuno con cui condividere i loro pensieri, sogni, aspirazioni e problemi. Sono sempre più soli, vivono alla deriva di una società distopica che viene guidata dai soli algoritmi social. Vengono schiacciati da una realtà che non gli concede l’errore, il rischio e il fallimento.

Credono che l’unico modo per alleviare questa sofferenza sia l’isolamento. La via di fuga rimane sempre quella di non rischiare, di non deludere l’alta aspettativa dei genitori e della società.

In questo contesto, i giovani non hanno interazioni e non cercano neanche più l’anima gemella, si sono completamente assuefatti alla pratica della solitudine. Chiusi nelle loro stanze, senza speranza nel futuro, vivono isolati e interagiscono solo con i dispositivi elettronici.

Per raccontare il comportamento di chi si ritira nell’isolamento, è stato coniato un termine che proviene direttamente dal Giappone. La parola Ikikomori che significa stare in disparte o staccarsi, rappresenta tutti quei soggetti che scappano fisicamente dalla vita sociale per ripararsi in quella virtuale. Questa espressione nasce per descrivere il ritiro, la reclusione dal mondo e il rifiuto totale per ogni tipo di relazione.

Il fenomeno riguarda principalmente i giovani tra i 14 e i 30 anni e colpisce soggetti maschi, anche se il numero delle ragazze rimane sottostimato a causa della scarsità dei dati. Questi individui sviluppano una visione del mondo molto negativa causata dalle pressioni scolastiche, da episodi di bullismo, da forti insistenze psicologiche generate dai pensieri dei genitori e dalle sollecitazioni esterne che puntano alla piena realizzazione personale.

I giovani soffrono quindi per un disagio causato dalla disregolazione della loro identità provocata da demotivazione, ansia, incertezza e depressione per il futuro.

Leggi anche: Sindrome dell’impostore, come i social l’hanno alimentata nei giovani

Nella società contactless non c’è posto per le relazioni sociali

La fenomenologia del distacco collettivo ha permesso alla società contactless di assumere le sembianze di quell’individualismo ossessivo compulsivo che si ostina ad annullare le amicizie e a scardinare i rapporti umani.

La perversione per l’utilizzo dei cellulari e per il consumo di tecnologia ha svuotato completamente le comunità e le aggregazioni, distogliendo l’attenzione dalle interazioni, considerate un bisogno primario. Infatti, gli studi sull’argomento hanno dimostrato che le persone tra i 15 e 25 anni che possono contare sugli amici stretti, presentano una buona salute mentale ed una resistenza maggiore rispetto a chi effettivamente ha poche o scarse conoscenze.

Le interazioni umane sono diventate veloci, fredde e squallide, seguono la regola dell’usa e getta e i rapporti, in questo modo, si deformano e si storpiano. I giovani non vogliono più avere amici perché subiscono tutto il malessere sociale di un contesto competitivo e performante. Non riuscendo a condividere i valori, si rintanano nel loro nido sicuro.

Ricominciare a credere nell’amicizia

Anche se non se ne parla, il problema della solitudine c’è ed è reale. Per affrontare al meglio la questione e per mitigare quel senso di isolamento che disturba i giovani, occorre intraprendere un percorso comunicativo con il sostegno delle famiglie.

Per liberare il peso di aspettative troppo alte e per placare quel senso di vergogna che obbliga i giovani a paragonarsi in continuazione agli altri, è necessario, ricalibrare gli interessi e la piena realizzazione del sé, lavorare sul senso di fallimento e ricostruire nuovi e profondi legami.

Il Professore di studi sulla comunicazione nell’Università del Kansas, Jeffrey Hall, sostiene:

Passare da zero a uno è il punto in cui si ottiene il massimo risultato.

Secondo il docente quello che conta maggiormente è avere almeno una persona importante nella vita a cui confidare le nostre emozioni che sia un amico, un genitore, un partner o qualcun altro.

Leggi anche: Così l’ansia per il futuro sta divorando la vita dei giovani

 

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