Perché gli oppressi diventano oppressori? La riflessione di Primo Levi

Qual è il processo che trasforma gli oppressi in oppressori? Primo Levi all'interno della sua opera spiega il meccanismo che porta la vittima a diventare carnefice.

Melissa Matiddi
Melissa Matiddi
Esperta in comunicazione e digital marketing, studia lo yoga e le discipline orientali. Ama creare, leggere e viaggiare. Silenziosa ma rumorosa, è sempre pronta a varcare nuovi orizzonti.
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Perché gli oppressi diventano oppressori? Il fenomeno è spiegato da Primo Levi con l’introduzione del concetto di zona grigia.

La zona grigia appare nel secondo capitolo dell’opera “I sommersi e i salvati“. Scritto nel 1986 è un’analisi esperenziale che si concentra sulle riflessioni degli anni di prigionia dell’autore nei campi di sterminio nazisti. Il testo descrive i meccanismi e le strutture di potere intorno alle quali ruotano le zone grigie tra oppressi e oppressori.

Perché gli oppressi diventano oppressori? Lo studio

Per comprendere meglio il meccanismo perpetrato ai danni degli ebrei sugli ebrei, la riflessione compiuta da Primo Levi sul dominio totalitario ci viene in aiuto, rendendo così il grigio meno grigio.

Nella definizione di Levi una zona grigia:

Dai contorni mal definiti, che insieme separa e congiunge i due campi dei padroni e dei servi, Possiede una struttura interna incredibilmente complicata, ed alberga in sé quanto basta per confondere il nostro potere di giudicare

L’ordine si concentra essenzialmente su un sistema di privilegi e di punizioni. Tale sistema colloca tutti i prigionieri su una scala gerarchica, in cui i detentori della posizione di comando garantiscono al regime la corretta osservanza delle sue leggi, manipolando e coordinando le disposizioni riguardanti i prigionieri. I kapò, gli “amici” del potere nazista, si ritrovano incastrati in questo ruolo.

Pur ricevendo privilegi e favori, si ritrovano anch’essi “lageralizzati” dalla posizione che rivestono. Odiati e allo stesso tempo temuti dagli altri deportati, non possono più ricollocarsi nello strato sociale. Vengono considerati traditori dagli stessi ebrei. Il motivo che spinge i prigionieri ad addentrarsi nella zona grigia è la fame, la paura e la voglia di dimostrare di possedere un potere in qualunque modo.

La zona grigia rappresenta il lasciapassare al comportamento dei prigionieri che si lasciano contaminare e risucchiare dalla crudeltà della formula nazista.

Gli atteggiamenti di riguardo verso i prominenti

Perché gli oppressi diventano oppressori? La riflessione di Primo Levi

Con il termine di prominente Levi intendeva l’atteggiamento di riguardo e il trattamento di favore nei confronti dei prigionieri capo. Godendo di una condizione migliore, questi soggetti si distaccavano dal tessuto sociale degli altri deportati. Considerati alla stregua dei grandi funzionari, dal momento che venivano inseriti nei contesti cruciali dell’organizzazione, svolgevano un ruolo indispensabile e molto spesso avevano accesso alle informazioni segrete.

Nonostante venissero ritenuti privilegiati, l’autore de “Se questo è un uomo“, precisa che il potere di cui si servivano potesse essere usato anche contro di loro. In quanto possessori di dati sensibili, correvano giornalmente il rischio di essere uccisi dalla polizia nazista.

Tuttavia, le condizioni di malnutrizione obbligarono gli ebrei ad aggrapparsi alla pura sopravvivenza. Le famose “squadre speciali” composte per lo più da ebrei deportati a cui le SS avevano dato alcuni compiti come trasportare i corpi, portare le vittime nei forni crematori, prelevare i cadaveri ed estrarre l’oro, gli permetteva di prolungare la vita di settimane o addirittura mesi.

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Il personaggio controverso di Rumkowoski

Per esporre meglio la sua testimonianza e spiegare il meccanismo carnefice vittima, Levi cita il caso di un ebreo molto affezionato al potere.

Infatti, all’interno del capitolo sulla zona grigia, Levi parla ampiamente della figura di Mordechai Chaim Rumkowski, il decano di Lòdz, che appoggiato dal comando delle SS, cerca di imporre il suo potere all’interno del ghetto. Viene descritto come intossicato dal regime nazista, esercita la propria autorità in modo ossessivo e violento, vivendo in uno stato di sottoposto e collaboratore allo stesso tempo.

Subisce parzialmente il fascino del potere tedesco alternandosi con l’identificazione della classe degli oppressi. La doppia autocoscienza in cui si trova gli causa una continua oscillazione tra la categoria dei buoni e dei cattivi.

Concludendo il racconto l’autore aggiunge:

Anche noi siamo così abbagliati dal potere da dimenticare la nostra fragilità essenziale: col potere veniamo a patti, volentieri o no, dimenticando che nel ghetto siamo tutti, che il ghetto è cintato, che fuori del recinto stanno i signori della morte, e che poco lontano aspetta il treno.

L’assolutizzazione della vita come forma di sopravvivenza

La questione del perché gli oppressi diventano oppressori, è spiegata da Levi con l’assolutizzazione della vita. Nel compiere questa riflessione, l’autore non cade mai nella trappola di giudicare l’operato dei deportati, anzi le conclusioni a cui giunge ci permettono di stabilire cosa preoccupasse realmente gli ebrei nei lager.

All’interno dei campi di concentramento viene mostrato come il valore supremo sia rivestito dalla massimizzazione della vita e non dal dominio sulla morte. Il bisogno di vivere congiunto al desiderio di sopravvivere sono talmente radicati nella testa dei deportati che mettono in atto qualsiasi comportamento li conduca al proseguimento della loro esistenza. L’obiettivo principale era quello di tenersi aggrappati alla vita, dimenticandosi molto spesso il contesto totalitario in cui erano inseriti.

L’osservazione rispetto alla zona grigia, ci ricorda che la morte fa sempre parte della vita stessa.

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