Giletti sotto scorta dopo le minacce del boss Graviano

La decisione del Viminale in seguito alle minacce che il conduttore televisivo Massimo Giletti ha ricevuto dal capomafia intercettato in carcere dopo le inchieste, del maggio scorso, sui detenuti scarcerati per l'emergenza corononavirus.

Luca Tartaglia
Luca Tartaglia
Classe 88. Yamatologo laureato in Lingue Orientali, specializzato in Editoria e Scrittura, con un Master conseguito in Diritto e Cooperazione Internazionale. Ama dedicarsi a Musica e Cultura, viaggiare, “nerdeggiare” e tutto ciò che riguarda J. J. R. Tolkien
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Un giornalista, il suo lavoro, una telefonata, le minacce, la scorta. E un paese che arretra inesorabile di fronte a ciò che non dovrebbe più accadere, ma che invece accade, e sempre più spesso. Il giornalismo vive una crisi, l’incertezza aleggia forte, e le paure provengono da più fronti, non solo criminali, ma anche politici, sociali, professionali e soprattutto dall’isolamento a cui è sottoposto. Ancora trema ad una telefonata, il giornalismo. Ancora una volta un rappresentante dei media sotto scorta per delle minacce ricevute, in questo caso dal boss mafioso Filippo Graviano. Così il Viminale ha disposto una scorta fissa per Massimo Giletti, conduttore della trasmissione di La7 “Non è l’Arena”. Alla base delle minacce ci sarebbero una serie di inchieste sulle varie scarcerazioni di detenuti preventive, per il rischio di contagio da coronavirus, e le rivolte nelle carceri che avevano caratterizzato il picco della pandemia. Tanto è servito agli inquirenti per determinare che le minacce fossero reali per Giletti e subito è scattata la risposta istituzionale. Lo stesso Giletti si è pronunciato su tale decisione, specificando che ad oggi sono già due settimane che è sotto scorta:

Profonda tristezza. Senso di solitudine. Se il Viminale mi assegna la scorta vuol dire che nel mio programma abbiamo toccato qualcosa di grave e molto pericoloso. Ma essere un unicum ti espone. Diventi obiettivo. È quello che faccio più fatica ad accettare

Le minacce a Giletti e il boss

Come già detto alla base ci sono le minacce del capomafia Filippo Graviano, figlio di Michele Graviano. Con il fratello Giuseppe sono i membri più famosi della famiglia Graviano, attiva nel palermitano. Noti in quanto condannati come mandanti dell’attentato a Padre Pino Puglisi e ritenuti responsabili, tra gli altri, degli omicidi dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Le intercettazioni, riportate prima su Repubblica e poi nel libro “U siccu” di Lirio Abbate, vicedirettore dell’Espresso, risalgono a maggio e fanno riferimento in particolare a una puntata del programma di Giletti del 10 maggio 2020. Puntata che indagava sulle scarcerazioni e le rivolte nelle carceri causa coronavirus. Scarcerazioni anche di esponenti mafiosi, sotto regime di 41bis, di cui si facevano alcuni nomi, che dopo “Non è l’Arena” avevano scatenato un polverone mediatico fino ad una interrogazione parlamentare rivolta al Ministro della Giustizia Bonafede. Diversi i messaggi di solidarità a Giletti, dallo stesso Guardasigilli al direttore di La7 Andrea Salerno che afferma:

Continuare ad andare in onda con il proprio lavoro è la migliore risposta

Giletti, l’Italia e la scorta nel 2020 per l’informazione

Adesso faremo il nome di alcuni stati come Ghana, Sud Africa, Botswana, Burkina Faso e altri paesi da noi spesso ritenuti “arretrati”, ma dove sembra ci sia una maggiore libertà di stampa rispetto all’Italia. Questo secondo una classifica annuale pubblicata in aprile 2020 da Reporters Sans Frontiers, la più grande associazione internazionale in difesa dei giornalisti di tutto il mondo, e dove apprendiamo che l’Italia è al 41° posto. E questo per un inasprirsi delle condizioni in cui versano i giornalisti italiani, minacciati da diversi tipi di “poteri”. Sono state 83 le minacce rivolte a differenti giornalisti verificate e ritenute reali in questo 2020. Una nota alla classifica di RSF cita:

Sono circa 20 i giornalisti italiani che attualmente vivono sotto protezione a causa delle minacce della mafia. Il livello di violenza e di minacce contro i giornalisti cresce soprattutto a Roma e nelle regioni del Sud. Si segnalano casi di violenza fisica e verbale nei confronti di giornalisti da parte di gruppi appartenenti all’ala neofascista

Saviano sotto scorta
Una fotografia dello scrittore e giornalista Roberto Saviano, sotto scorta dal 2006.

Una riflessione sul giornalismo, il cane da guardia a protezione della democrazia

Bisogna riflettere profondamente sul ruolo della stampa, del giornalismo investigativo e dei media in generale nel nostro paese. La stampa, non bisogna mai scordarlo, è colei che fa da cane da guardia della democrazia, mette in luce le ombre e i grigiori del potere, lì dove si nascondono agli occhi dei più, lì dove si traffica per gli interessi di pochi e gli egoismi dei potenti, criminali e non. È grazie ai giornalisti, quelli coraggiosi, fedeli al loro mestiere, quelli che sono coerenti, nel loro quotidiano, nel loro intimo e nella loro professione, quelli che adottano una deontologia ferma e un’etica salda, che un paese può progredire. Lì dove i poteri miscelati e mascherati cercano di dominare per far sì che non vengano scoperti, è lì che una stampa matura agisce e li mette di fronte alle loro responsabilità. Non alla gogna mediatica, come troppo spesso oggi accade su alcuni medium, e sempre con degli interessi dietro. La società, una società che deve avere un interesse viscerale nella ricerca dell’informazione prima e della verità poi, deve tutelare la libera stampa, i giornalisti nel loro singolo, senza scadere nel disprezzo o nelle soluzioni facili, nei giudizi sprezzanti. Troppo spesso oggi i giornalisti vivono condizioni difficili, pericolose, e vengono attaccati anche da poteri non necessariamente criminali, ma anche politici solo perché sottoposti ad una critica, critica che anch’essa ha come funzione quella di ricercare un miglioramento collettivo.

Leggi anche: Addio a Sergio Zavoli, maestro del giornalismo televisivo

Giornalismo come conoscenza e promessa di cambiamento

Inchieste, critiche e osservazioni che devono riguardare chi ricopre una carica pubblica e non rispetta i doveri di tale ruolo, senza anche qui scadere nel becero processo mediatico. Inchieste su ciò che non va nella società, nella sanità, nell’educazione, tra le forze dell’ordine, nell’ambiente e i casi di corruzione e tutto ciò che vi viene in mente. Stampa che ci racconta i drammi della guerra. Quanto scoperto tramite il lavoro giornalistico ci permette di riparare a ciò che è “rotto” nel nostro mondo, e che è solo grazie ad un’informazione rigorosa e pregna di senso del dovere che ne siamo a conoscenza. Inutile stare qui a dire quante grandi inchieste e scandali hanno cambiato il corso della storia contemporanea, e che sono partite magari da una semplice coppia di giornalisti.

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Giornalista colpito in Siria.
Fotografia di un giornalista colpito mentre documentava il conflitto siriano.

Uniti a protezione del “cane”

Dobbiamo stringerci a questa categoria, come faremmo con medici e insegnanti. Categoria sotto scorta o semplicemente minacciata per il lavoro che svolge, come Saviano, Abbate, Ruotolo, Angeli, Bulfon, Berizzi, Tizian, Fagnani, Borrometi, e adesso Giletti e molti altri che tutti i giorni vivono un incubo dato dal loro impegno di “guardiani”. Impegno che giova a tutta la società intera, e che noi abbiamo il dovere di riconoscere, rispettare e a nostra volta salvaguardare, soprattutto quando minacciato dalla sfera criminale o anche da quella del potere generale. Perché l’informazione sana è un tassello senza il quale non possiamo progredire. Perché possiamo anche essere più o meno d’accordo su ciò che viene detto o scritto, ma la scorta non è “un privilegio”, come disse pochi mesi fa un politico di spicco. Una busta con un proiettile indirizzata a tuo nome, il trovare messaggi di morte sulla macchina o il minacciare te e la tua famiglia, non è un privilegio. È un segnale di un’anomalia, di una stortura, una negazione di libertà e un simbolo che qualcosa non va, e allora tutto il Paese non va. Dobbiamo cambiare tutti, allora sì che potremo guardare al futuro. Informati, uniti, e allora liberi.

La lezione di Tiziano Terzani

“Ho fatto questo mio mestiere proprio come una missione religiosa, se vuoi, non cedendo a trappole facili. La più facile, te ne volevo parlare da tempo, è il Potere. Perché il potere corrompe, il potere ti fagocita, il potere ti tira dentro di sé! Capisci? Se ti metti accanto a un candidato alla presidenza in una campagna elettorale, se vai a cena con lui e parli con lui diventi un suo scagnozzo, no? Un suo operatore. Non mi è mai piaciuto. Il mio istinto è sempre stato di starne lontano. Proprio starne lontano, mentre oggi vedo tanti giovani che godono, che fioriscono all’idea di essere vicini al Potere, di dare del “tu” al Potere, di andarci a letto col Potere, di andarci a cena col Potere, per trarne lustro, gloria, informazioni magari. Io questo non lo ho mai fatto. Lo puoi chiamare anche una forma di moralità. Ho sempre avuto questo senso di orgoglio che io al potere gli stavo di faccia, lo guardavo, e lo mandavo a fanculo. Aprivo la porta, ci mettevo il piede, entravo dentro, ma quando ero nella sua stanza, invece di compiacerlo controllavo che cosa non andava, facevo le domande. Questo è il giornalismo.”

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