Figlicidio, perché una madre uccide il proprio figlio?

Il figlicidio è un gesto estremo, brutale e impetuoso che colpisce i bambini con meno di 12 anni. In Italia, ogni due settimane un genitore uccide il proprio bimbo.

Melissa Matiddi
Melissa Matiddi
Esperta in comunicazione e digital marketing, studia lo yoga e le discipline orientali. Ama creare, leggere e viaggiare. Silenziosa ma rumorosa, è sempre pronta a varcare nuovi orizzonti.
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Il figlicidio è il fallimento del rapporto genitore-figlio, è l’epilogo che dimostra il carattere distruttivo, drammatico, rivoluzionario della tragedia più grave che l’essere umano possa compiere. 

Gli episodi di figlicidio non sono così rari, solo in Italia, secondo un rapporto di Eures, vengono uccisi bambini, con meno di 12 anni, ogni due settimane
Macchiarsi l’anima di un tale crimine richiama sempre grande attenzione da parte dell’opinione pubblica che si interroga spesso sulla motivazione logica e razionale del gesto e sulla costruzione del delitto.

L’anamnesi psicopatologica indaga sulla dimensione della sofferenza psichica, stabilendo quali sono stati i traumi subiti dal genitore, percorrendo le tappe del suo sviluppo neurologico e determinando quali cause hanno spinto un padre o una madre ad agire in una condizione di totale discontrollo e distaccamento dalla realtà. 

Quindi cosa accade di preciso nel momento che precede un figlicidio? Qual è il suo trigger, ovvero l’elemento determinante che elude i controlli della razionalità e del buon senso? 

Che cos’è un figlicidio

Con l’espressione figlicidio, si intende la morte di un figlio avvenuta per mano di un genitore. I dati del rapporto di Eures parlano di numeri davvero preoccupanti: dal 2010 ad oggi, in Italia, sono stati commessi ben 268 figlicidi, di cui 151 sono maschi e 117 femmine. Nel 55,6% dei casi si tratta di bambini con meno di 12 anni e il movente, nel 34,4%, è attribuibile ad un disturbo di natura psichica. 

Essere genitore comporta emozioni contrastanti: gioia, paura, amore, difficoltà, rabbia, sofferenza e ansia. Ad un certo punto quando questi sentimenti diventano insormontabili e poco gestibili, arrivano a travolgere completamente le persone. Soprattutto le donne, in quanto madri e figure primarie nella crescita e nello sviluppo di un figlio, lasciate da sole con le loro paure, si ritrovano a commettere un reato per risolvere una situazione conflittuale già abbastanza compromessa.

Il recente caso di figlicidio, avvenuto ai danni della piccola Elena, ha riaperto il dibattito su un crimine che ci lascia ogni volta sgomenti, turbati e confusi, ma soprattutto storditi rispetto ad una domanda alla quale non sappiamo dare risposta: perché una madre uccide il proprio figlio? 

Diciamo subito che non ci si trasforma improvvisamente in madri killer, si sviluppa piuttosto con il passare del tempo un malessere, condizionato a sua volta da una serie di maltrattamenti o abusi che maturando, finiscono per sfociare in disturbi della personalità, depressione o nel complesso di Medea. 

Leggi anche: Mamme che uccidono i figli: cos’è la sindrome di Medea e come riconoscerla

Perché si verificano i figlicidi?

Le cause che sono alla base di questo gesto sono molto spesso diverse. Nella maggior parte dei casi, in chi commette certi delitti si riscontrano alcuni moventi:

  • Maternità non desiderata
  • Attacco psicotico acuto
  • Azioni vendicative
  • Protezione dagli orrori del mondo
  • Immaturità della madre
  • Depressione
  • Disturbo della personalità
  • Disturbi comportamentali causati dall’assunzione di alcool e droghe

Nel 1969, lo psichiatra argentino Salomon Resnick classificò il figlicidio e strutturò sulla base delle motivazioni volte ad uccidere, 5 categorie. Da questo studio emerse che il periodo di maggior pericolo che vive un bambino è nei primi 6 mesi di vita.

  1. Figlicidio altruistico: molto spesso la madre si toglie la vita dopo aver ucciso il figlio. Si ha l’intenzione di salvare il bimbo dalle sofferenze che avrebbe avuto durante la vita.
  2. Figlicidio a elevata componente psicotica: quando un genitore uccide in preda a delle allucinazioni o visioni in forma di comando/obbligo.
  3. Figlicidio di bambino indesiderato: è frutto di una relazione extra-coniugale o perché si è troppo giovani.
  4. Figlicidio accidentale: si presenta con la sindrome del bambino maltrattato, Battered Child Syndrome, in cui la madre causa la morte del figlio in seguito alle urla o al pianto del piccolo.
  5. Figlicidio per vendetta sul coniuge: è la cosiddetta sindrome di Medea, dove il genitore per colpire l’altro partner, decide di uccidere il figlio.

Il numero estremamente variabile dei casi, rende difficile se non impossibile operare generalizzazioni in merito al fenomeno. Non esiste una sola categoria di madri figlicide, ne esistono tante quante sono le diverse interpretazioni delle letteratura psicologica.

Il professore dell’Università di Sassari, Gian Carlo Nivoli, ha ipotizzato l’esistenza di un ulteriore classificazione che spiegherebbe la motivazione alla base della quale vengono commessi questi tragici reati.

  • Il figlicidio causato da un agire omissivo di madri passive e negligenti: si verifica quando la madre ha un comportamento negligente ed omissivo nei confronti del figlio, viene riscontrata una reale difficoltà nell’adempiere al ruolo di genitore. Il bambino è inoltre percepito come minaccia o rovina per la propria vita.
  • Madri che uccidono i figli trasformati in capri espiatori di tutte le loro frustrazioni: si ritiene che il bambino, a seguito di un disturbo delirante, sia la causa della rovina della propria esistenza. Si sviluppa la tendenza a pensare che la gravidanza e il parto abbiano completamente sformato il corpo della madre che sia obbligate a stare con un compagno che non ama e sia costrette a vivere in un ambiente che non soddisfa i bisogni.
  • Madri che negano la gravidanza e fecalizzano il neonato: sono persone che negano letteralmente la loro gravidanza.
  • Madri che spostano sul figlio il desiderio di uccidere la propria madre: in questo caso, l’uccisione del piccolo riproietta e risolve il conflitto con la propria madre cattiva, verso cui sono indirizzati sentimenti di odio, rabbia e annientamento.

Leggi anche: Madre della piccola Elena confessa l’omicidio, la zia: “Voleva incastrare l’ex compagno”

I fattori di un figlicidio

I fattori che generano i presupposti per l’instabilità psichica ed emotiva si distinguono in due categorie: sociali e psicologiche.

Le componenti sociali sono:

  • Il contesto sociale e relazionale
  • La povertà
  • La giovane età
  • Scarso livello di istruzione

Le componenti psicologiche prevedono:

  • Depressione
  • Stress
  • Gravidanza non voluta

Oltre a questi, esistono anche altri fattori da non sottovalutare. Il diabete in gravidanza, ad esempio, comporta un alto livello di squilibri emozionali e minacce delle alterazioni biologiche e fisiche.

Per concludere, il figlicidio può avvenire in relazione a dei processi emotivi liberi e indipendenti dalla presenza di malattie o alterazioni mentali in grado di compromettere e sporcare la capacità di intendere e di volere.

Come prevenire questo fenomeno

Molto spesso, dopo le tragedie, ci si chiede se questo terribile gesto possa essere evitato o previsto in qualche modo possibile. Per impedire la follia di un tale comportamento, è necessario osservare:

  • Comparsa di depressione
  • gravidanza non desiderata
  • Consumo di sostanze stupefacenti
  • Stato sociale
  • Stato relazionale
  • Vita disordinata
  • Età inferiore ai 16 anni e maggiore dei 35
  • Problemi di salute fisici

La presenza di queste condizioni dovrebbe immediatamente allertare le persone vicine alla madre e attivare un intervento educativo volto a supportare il legame genitore-figlio.

Leggi anche: Trovato senza vita il corpo della piccola Elena: lo ha fatto scoprire la madre

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