Mamme che uccidono i figli: cos’è la sindrome di Medea e come riconoscerla

Martina Patti, la 23enne che ha ucciso sua figlia, la piccola Elena, avrebbe agito spinta dalla cosiddetta "sindrome di Medea”: ecco perché gli psichiatri ne sono convinti.

Asia Buconi
Asia Buconi
Classe 1998, romana. Laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali, ama l’attualità e la letteratura, ma la sua passione più grande è la sociologia, soprattutto se applicata a tematiche attuali. Nel tempo libero divora film e serie tv.
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Sindrome di Medea: cos’è e come riconoscerla. Ha confessato ieri mattina Martina Patti, mamma della piccola Elena. Non c’è mai stato nessun sequestro: ad uccidere la figlioletta di quasi cinque anni è stata proprio lei. La donna, 23 anni, ha poi fatto ritrovare il corpo della bimba, che era a circa 200 metri da casa, nei pressi di un campo nella zona di Tremestieri etneo.

Martina Patti e il padre di Elena vivevano separati da tempo a causa di alcuni litigi e discussioni. Nello specifico, il papà della piccola si era trasferito in Germania dopo la separazione e qui aveva incontrato la sua nuova compagna, con la quale sarebbe poi ritornato in Sicilia. Anche Martina Patti si era rifatta una vita con un altro uomo dopo aver rotto col padre di Elena ma, a quanto pare, riservava ancora attenzioni morbose nei suoi confronti.

Sindrome di Medea: “Martina non tollerava che la figlia si affezionasse alla compagna del padre”

Sindrome di Medea: "Martina non tollerava che la figlia si affezionasse alla compagna del padre"

Secondo gli inquirenti, sarebbe stato proprio il pensiero che la figlia potesse affezionarsi più alla famiglia dell’ex che alla sua stessa mamma a spingere Martina Patti al terribile omicidio. Complice pure il fatto che a quelle cene di famiglia con il papà e i nonni paterni partecipasse anche la nuova compagna di lui, alla quale la bimba si stava progressivamente avvicinando.

Non tollerava che a quella donna si affezionasse anche la propria figlia”, hanno affermato gli inquirenti dopo aver interrogato Martina Patti. Oggi gli psichiatri sono convinti che la 23enne abbia agito spinta dalla cosiddetta “sindrome di Medea”, un complesso che porterebbe alcune madri ad uccidere i figli per puro istinto di vendetta nei confronti degli ex compagni.

Cosa è successo prima dell’omicidio

Il 12 giugno, appena un giorno prima della tragedia, la piccola Elena aveva passato la domenica con i nonni paterni, il papà e la sua nuova compagna. Un’evidenza, questa, che non fa che riconfermare quanto il movente dell’omicidio sia da ricercare in una rabbia radicata e profonda che Martina Patti covava chissà da quanto tempo in relazione a tale situazione.

L’omicidio non sarebbe quindi avvenuto per via di un raptus, ma sarebbe frutto di una decisione maturata col tempo, una vendetta che rientra a pieno nelle logiche della sindrome di Medea.

Anche perché Martina Patti, che è giovanissima, nell’ultimo periodo era sempre più isolata e chiusa. Un atteggiamento, questo, che si rifletteva pure nel modo in cui trattava la figlia e i parenti: “Era autoritaria e aristocratica, decideva lei quando portarci la bambina”, ha raccontato ieri nonna Rosaria.

Sindrome di Medea, cos’è e come riconoscerla: parla lo psichiatra

Medea, maga mitologica greca, è famosa per il travolgente amore provato per Giasone, l’eroe delle Argonautiche. Quando l’uomo le preferì Glauce, Medea, sola e addolorata, deciderà di uccidere i loro figli. Per questo motivo oggi si parla di sindrome di Medea in relazione a quanto accaduto a Tremestieri etneo. Se qualcuno avesse notato qualche avvisaglia, disagio o indizio di rabbia repressa, forse la tragedia che ha colpito la piccola Elena si sarebbe potuta evitare. Lo psichiatra Claudio Mencacci ha dichiarato a Il Corriere della Sera:

Sarebbe stato necessario un intervento sociale per rompere l’isolamento della donna. È possibile che la donna abbia agito sulla base di quello che viene definito ‘complesso di Medea’, un impulso omicida che ha come obiettivo finale la sofferenza dell’ex compagno.

Martina Patti avrebbe dovuto curare il proprio discontrollo della rabbia. Un sostegno da parte di persone competenti, probabilmente, avrebbe potuto evitare la tragedia in un ambiente che, per molto tempo, ha nascosto un disagio familiare e psicologico.

La stragrande maggioranza delle mamme non perde la testa da un momento all’altro, con la conseguenza di un dramma come quello di Catania. Però sappiamo che i fattori di rischio sono sicuramente l’età giovane, un livello di istruzione basso e anche intellettivamente non brillante, spesso condizioni di basso livello socio economico.

A ciò va aggiunta l’Instabilità familiare legata alla separazione e poi la condizione di una bambina con un temperamento complesso, difficile.

Ma molte situazioni di figlicidio riguardano anche donne che già mettevano in atto forme di maltrattamento dei propri bambini, spesso un comportamento impulsivo che può avere la madre in risposta a pianti, urla, applicazione delle regole. E ciò che ne consegue può essere accidentale: non vi è cioè l’intento premeditato dell’uccidere il bambino, ma ciò avviene come atto estremo dell’evoluzione di quella che è definita ‘sindrome del bambino maltrattato’.

Mencacci ha poi concluso: “La caratteristica intrinseca della sindrome di Medea è che implica una gelosia e una ossessività patologiche e il fattore scatenante è proprio la conflittualità col compagno e la bambina è utilizzata come uno strumento per creare sofferenza. Azioni come quella di Martina Patti sono spesso precedute da recentissime liti con gli ex compagni”.

Leggi anche: Madre della piccola Elena confessa l’omicidio, la zia: “Voleva incastrare l’ex compagno”

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