Coronavirus, il Ministero: “Test rapidi valgono come i molecolari”. Ecco cosa cambia

Il ministero della Salute autorizza all’utilizzo dei test rapidi di ultima generazione, anche in assenza del normale tampone. Ciò comporterà importanti novità nei calcoli del monitoraggio Rt.

Elza Coculo
Elza Coculo
Elza Coculo, 30 anni, di adozione romana. Lettrice appassionata con formazione in Studi italiani. Laureata in Editoria e Scrittura. Redattrice per Il Digitale. Amo scrivere di attualità e cultura eco-sostenibile.
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Sì ai test rapidi di ultima generazione per individuare i positivi al Covid, anche in assenza del normale tampone.

È quanto stabilito dalla nuova circolare del ministero della Salute che, equiparando i risultati dei test rapidi antigenici all’esito dei tamponi molecolari, cambia i criteri che definiscono un “caso Covid”.

Finora, infatti, era considerato “caso Covid” unicamente la persona positiva al tampone molecolare, cioè colui che presentava tracce genetiche del virus nel corpo.

Con le nuove disposizioni, invece, si considera “caso Covid” anche il paziente positivo al solo test rapido. Per le autorità sanitarie, quindi, non sarà più necessario confermare il primo risultato con un successivo tampone molecolare.

Una novità che avrà conseguenze sull’attività di testing e cambierà i criteri del monitoraggio e della raccolta dei dati sull’epidemia.

Coronavirus, cosa dice la nuova circolare del Ministero sui test rapidi

Il Ministero dice sì ai test rapidi di ultima generazione per rintracciare i nuovi casi Covid. Si legge nella nuova circolare:

I test di ultima generazione (immunofluorescenza con lettura in microfluidica) sembrano mostrare risultati sovrapponibili ai saggi di RT-PCR.

Sono cioè sovrapponibili ai tamponi molecolari. Nello specifico, i test rapidi di ultima generazione sono più affidabili rispetto ai rapidi di prima o seconda generazione.

Nel caso non siano disponibili test di ultima generazione, si possono utilizzare test antigenici che abbiano però requisiti minimi di performance: più dell’80% di sensibilità e oltre il 97% di specificità, per limitare il rischio di falsi negativi e/o falsi positivi.

Leggi anche: Coronavirus e tamponi, l’OMS: “Fate i test, fate i test, fate i test”

Tamponi rapidi sì, ma ci sono dei limiti

La circolare del ministero della Sanità pone dei limiti all’uso dei test rapidi. Tali test infatti andrebbero utilizzati prevalentemente quando la disponibilità di tamponi molecolari è limitata e in quei casi in cui esiste già un certo sospetto che le persone da testare siano positive. Ma non solo. Si legge nella circolare:

Può essere considerato l’uso dei test antigenici rapidi in individui con sintomi compatibili con Covid-19 nei seguenti contesti:

situazioni ad alta prevalenza, per testare i casi possibili/probabili;

focolai confermati tramite molecolari, per testare i contatti sintomatici, facilitare l’individuazione precoce di ulteriori casi nell’ambito del tracciamento dei contatti e dell’indagine sui focolai;

comunità chiuse (carceri, centri di accoglienza ecc.)

 ambienti di lavoro per testare le persone sintomatiche quando sia già stato confermato un caso con RT-PCR;

in contesti sanitari e socioassistenziali/sociosanitari, o per il triage di pazienti/residenti sintomatici al momento dell’accesso alla struttura o per la diagnosi precoce in operatori sintomatici.

Leggi anche: Coronavirus, Crisanti al Governo: “Per i tamponi serve un coordinameto unico tra regioni”

I tempi dei test rapidi

test rapidi

Per ottimizzare il lavoro di tracciamento con i test rapidi anche i tempi sono importanti. La circolare infatti raccomanda di utilizzare il test su persone senza sintomi “tra il terzo e il settimo giorno dall’esposizione”.

Mentre, in caso di persona sintomatica è specificato che il test “va eseguito il più presto possibile e in ogni caso entro cinque giorni dall’insorgenza dei sintomi”.

Se in presenza di sintomi, in caso di risultato negativo il test rapido prevede un meccanismo di conferma, per limitare la possibilità di falsi negativi. Sarà dunque necessario ripetere un tampone molecolare o un secondo test rapido a distanza di 2-4 giorni.

Cosa cambia nel monitoraggio con l’introduzione dei test rapidi

Al momento non è facile capire quali saranno gli effetti dell’introduzione dei test rapidi sul monitoraggio quotidiano.

I differenti criteri scelti da regione a regione creano discrepanze e limitano la comprensione. E a tre giorni dall’uscita della circolare lo stesso ministero della Salute non ha sciolto i maggiori dubbi.

Sappiamo che attualmente nel bollettino della Protezione civile i test antigienici non sono ancora conteggiati e iniziare a farlo significherà, nell’immediato, un aumento artificiale dell’indice Rt. Non farlo, al contrario, porterebbe a una sottostima dell’Rt.

“La Sanità veneta esegue 15mila tamponi molecolari al giorno – fa sapere il presidente Luca Zaia – più 35mila antigienici”.

Di fronte a questi numeri è evidente che scegliere di dividere o accorpare i due dati cambierebbe sensibilmente il risultato ultimo.

E ancora, si dovrebbero conteggiare anche i test rapidi negativi che necessitano di ulteriore conferma con un tampone molecolare? O in questo caso verrebbe conteggiato solo l’esito finale? Questo ancora non sembra essere chiaro.

Leggi anche: Coronavirus, verso il nuovo Dpcm in vigore dal 16 gennaio: i nuovi parametri

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