Cosa significa avere una partita Iva ai tempi del Coronavirus?

Clarice Subiaco
Clarice Subiacohttps://medium.com/@ClariceSubiaco
Classe 1986, passato di studi umanistici e presente nel mondo dei dati. In mezzo, esperienze di lavoro come Digital PR, Content Strategist e Project Manager per startup e agenzie internazionali. Ama raccontare l'innovazione che ha un forte impatto sociale.
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I liberi professionisti conoscono bene le difficoltà dovute alla precarietà dei loro mestieri e alla forte pressione fiscale, e oggi più che mai si trovano a dover fronteggiare un duro momento. Quali saranno le ripercussioni per i lavoratori autonomi? Con l’inasprirsi dell’emergenza Coronavirus, si sono rafforzate anche le misure anti contagio: proprio in queste ore è stato approvato dal governo il decreto che prevede il blocco di Lombardia e altre 14 province, con pesanti conseguenze su tutte le attività commerciali. Secondo quanto registrato da Federcontribuenti il numero delle partite Iva negli ultimi 3 anni si è ridotto del 40%, passa ndo da oltre 8,5 milioni a 5,2 milioni. La causa di questo crollo è la pressione fiscale sempre più pesante, che arriva a toccare addirittura il 64% dei profitti. Oltre 3 milioni di partite Iva evaporate dunque, a cui si aggiunge una situazione debitoria fuori controllo: il 98% degli autonomi «ha in corso rateizzazioni per debiti o mancati pagamenti» che si accumulano alle varie scadenze fiscali.

Leggi anche: Coronavirus: quando la psicosi corre più veloce della malattia

Troppa disparità di diritti fra dipendenti e lavoratori autonomi

Secondo Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi dell’Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre Cgia, alla base della disparità tra dipendenti e autonomi ci sarebbe un pregiudizio di fondo:

L’articolo 53 della Costituzione dice che ognuno deve concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva. Non si capisce dunque perché, a parità di capacità, l’onere del Fisco debba variare in base alla tipologia di lavoro. E non si usi la scusa dell’evasione, un fenomeno da combattere con forza, non da utilizzare come giustificazione per un diverso trattamento fiscale degli autonomi.

Bernaudo sulle misure anti Covid-19: “L’Italia non ha più tempo”

Per combattere queste disparità si è costituito lo scorso 15 febbraio al Centro Congressi Cavour di Roma, il movimento dei Liberisti italiani, guidato da Andrea Bernaudo proprio con l’intento di ritrovare il vero senso del liberismo economico in Italia. “La compressione delle libertà economiche e dei diritti dei contribuenti è la prima emergenza in Italia”, così si presentano i liberisti italiani accompagnati dal motto “meno stato per ripartire”. Un movimento che riparte dunque dal liberismo classico e si propone come nuovo attore nel panorama politico italiano con l’intento di dare voce a una categoria di lavoratori sempre più tartassata. In merito ai decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri approvati negli ultimi giorni, le parole del Bernaudo sono dure:

L’Italia non ha più tempo. Come in ogni crisi, un governo capace può trovare l’opportunità per tramutare un’emergenza in una svolta benefica per l’economia.

Liberisti italiani, unica forza politica che non ha chiesto aiuti e tutele al Governo durante l’emergenza

Secondo il leader Bernaudo la soluzione a questo momento di crisi sarebbe tagliare la spesa pubblica non necessaria, nello specifico le misure assistenzialiste come il reddito di cittadinanza, i rifinanziamenti ad aziende parastatali “decotte” e il carico fiscale e contributivo per portarlo sulla media Ocse. I Liberisti italiani dichiarano inoltre:

Il DL del governo è aria fritta. Noi siamo l’unica forza politica che non ha chiesto al governo “aiuti e tutele”. E respingiamo al mittente il tentativo di curare l’agonia delle aziende italiane con elemosine e paternalismi. Per noi il governo deve cogliere l’occasione per chiudere buona parte del carrozzone statale e parastatale che serve solo a chi ci lavora dentro; deve eliminare la spesa pubblica non necessaria e cancellare il reddito di cittadinanza. Con questi enormi risparmi puó bloccare immediatamente accertamenti, cartelle e tasse per tutta la filiera del turismo/ristorazione e indotto in tutta Italia e fino alla fine dell’emergenza in atto. Finita l’emergenza per ripartire un governo serio dovrebbe ridurre tasse e contributi sulle attività produttive e portare il total tax rate italiano (oggi al 65%) su valori in linea con i paesi ad economia liberale. In questo modo le aziende sane potrebbero – spontaneamente e senza “aiuti di stato” – assorbire gran parte di coloro che cercano un lavoro e non un posto da parassita. Un governo a guida liberista farebbe questo, ció che serve e che è necessario.

Leggi anche: Liberisti Italiani, tutto sul movimento politico delle Partite IVA

Nuovo decreto, una dura prova per le attività commerciali

Proprio nelle ultime ore è stato approvato dal governo il nuovo dpcm 8 marzo 2020 che prevede dunque non solo il divieto di entrata e uscita dalla Lombardia e dalle altre regioni interessate, ma anche una stretta su tutte le attività commerciali. In particolare per quanto riguarda la cosiddetta zona rossa, bar e ristoranti potranno restare aperti solo dalle 6 alle 18, mentre palestre, piscine, scuole di ballo, cinema, teatri dovranno restare chiusi. Nelle altre regioni chiusi cinema, teatri e musei, ma ristoranti e bar aperti normalmente con l’obbligo di rispettare la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro.

Ci rendiamo conto che sono misure molto severe ma non possiamo più consentire contagi.

Queste le parole del Premier Conte nel suo discorso agli italiani. Delle misure necessarie, dunque, a contenere l’emergenza e che andranno però accompagnate da misure di sostegno per imprese e famiglie. Leggi anche: Stai pensando di create un’azienda? Ecco cosa devi sapere   di Clarice Subiaco  

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