Coronavirus, l’Italia perde alla prova della scienza

Aldo Torchiaro
Aldo Torchiaro
Aldo Torchiaro, giornalista da quando si usavano le macchine da scrivere, si occupa oggi di innovazione digitale, nuovi media, e-democracy.
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C’è un dato comune a Giappone, Corea del Sud e Germania. Stanno affrontando la guerra al coronavirus da vincitori: riducono ogni giorno di più i contagi e contengono le vittime. Per un motivo ben preciso: applicano modelli matematici. Usano la tecnologia, sempre e ovunque. Lasciano che a dirigere i processi sia la scienza, e non la politica. Hanno una consuetudine generale alla vita digitale che noi non abbiamo e affidano le cure ad un combinato disposto tra app, satelliti, algoritmi, tamponi a campione. Il modello coreano è noto: si fanno test a campione. Si esaminano cluster di popolazione, duemila pazienti alla volta. Si invitano a venire in macchina, con tutta la famiglia riunita, in una stazione di servizio dalla quale escono quindici minuti dopo aver fatto uno screening completo, senza essere scesi dall’auto e senza aver contagiato nessuno. I casi positivi vengono caricati su una app che dice a quali altri persone, sulla base dell’aggancio della cellula telefonica, il contagiato può aver a sua volta portato il contagio: è un algoritmo a definire la cabina di regìa, ricostruendo gli spostamenti negli ultimi tre mesi e contattando automaticamente, via messaggio, tutti gli utenti telefonici che possono essere stati contagiati. A loro volta passano il tampone, e via via si definiscono le quarantene, gli isolamenti, i ricoveri. Sulla base di logica matematica, comunicazioni digitali veloci, protocolli chiari e mai rimessi in discussione. Un metodo che funziona, e che infatti dà i suoi frutti. Leggi anche: USA sceglie chi salvare: “Niente respiratori ai disabili”

Il modello hi-tech funziona

Il modello coreano, applicato e implementato dalla Germania, sta pagando. In Italia si opera diversamente. Un mellifluo insieme di buone raccomandazioni e vecchie consuetudini porta il nostro sistema sanitario, indubbiamente il migliore del mondo, a dover chiedere aiuto al personale medico di Cina, Russia, Cuba; eppure il problema non sta nei professionisti con il camice bianco, ma nei colletti bianchi che a monte pretendono di governarli, sovraesponendoli alla trincea quotidiana. Si affronta la marea dei ricoverati combattendo a petto nudo, spesso senza i presìdi sanitari minimi a disposizione. E con il processo di screening lasciato all’improvvisazione, all’autoregolazione dei singoli che a casa sono invitati a valutare i propri sintomi, con l’unico conforto della “telefonata al proprio medico di famiglia”. Un film degli anni Sessanta.

Mentre noi telefoniamo al medico, altri si affidano all’intelligenza artificiale

Così mentre noi telefoniamo al medico condotto, aiutando i nonni a prendersi pressione e pulsossimetria in farmacia, come in una pellicola neorealista in bianco e nero, altri si affidano all’intelligenza artificiale e alla blockchain. Perché solo inserendo i dati esatti in una linea certificata di mappatura a ritroso si può interrompere il contagio. Occorre tecnologia, che pure gli italiani conoscono, ma non esiste l’impulso a usarla. E il decisore pubblico appare il grande assente. Quattro autocertificazioni cambiate dalla burocrazia in dodici giorni ci danno il senso di quanto lo Stato sabaudo e quello borbonico siano ancora presenti nei Palazzi romani. I decreti che si succedono avviluppandosi l’uno dentro l’altro. I comunicati che si contraddicono. I regolamenti che cambiano. Tanta carta, sempre. Fogli e foglietti che dovremmo compilare a mano, firmare in mezzo alla strada e consegnare ai solerti agenti di polizia, diventati archivisti di miserie umane, chirografate. Leggi anche: Così Big Data e intelligenza artificiale scoprono chi fugge dalla quarantena

Le responsabilità della politica

Le responsabilità ci sono. C’è addirittura un Ministero dell’Innovazione digitale, in Italia. Non so se esiste in Corea del Sud. Ma dalla bella sede di Fontana di Trevi ci saremmo aspettati una App, un form univoco, semplice, che ciascuno dai bambini agli anziani può e deve mostrare dal suo cellulare, se esce di casa. Il Ministero dell’Interno non batte un colpo, rimane la caserma da dove si esce per reprimere le rivolte nelle carceri, poi si rientra nelle armerie. Il Ministero della Salute, affidato a un ministro giovane e serio, vede moltiplicarsi le app dei sistemi sanitari regionali senza riuscire a farne una sintesi nazionale. Ci saremmo aspettati una call for innovators; una raccolta di idee, di eccellenze, di competenze per digitalizzare il processo di screening. Anche solo imitando gli altri. Siamo i migliori doppiatori di cinema al mondo: mettiamoci semplicemente a tradurre e ad applicare da noi quei protocolli, quei processi, quelle app che in Germania, Giappone e Corea del Sud funzionano. Smettiamola con i pistolotti paternalistici in seconda serata, con Palazzo Chigi che inneggia al valore supremo della vita. Siamo attori melodrammatici in un mondo che deve essere razionale e digitale. Poche iniziative private si muovono in controtendenza. Leggi anche: Boris Johnson positivo al Coronavirus, è il primo premier al mondo

L’appuntamento italiano di Hack the crisis

Il mondo tech, pur senza alcun input governativo, si tira su le maniche e si unisce per trovare soluzioni innovative contro il Covid-19. Grazie alla piattaforma ‘Hack the crisis‘ da oggi al 29 marzo la comunità tech italiana e non solo unirà le sue forze e lancerà l’hackathon internazionale ‘Hack for italy’ (www.hackforitaly.online). Prendendo spunto da iniziative precedenti in altri Paesi europei, l’edizione italiana ‘Hack for Italy’, sarà un weekend intenso durante il quale diversi team lavoreranno online per trovare soluzioni digitali e non, volte ad affrontare le sfide economiche e sociali derivanti dalla crisi causata dall’epidemia che stiamo vivendo e inerenti alle seguenti categorie: Save Lives, Save Communities, Save Businesses. ‘Hack for Italy’ è un evento pubblico online che unirà sviluppatori, designers, imprenditori, esperti sanitari, ricercatori, creativi e non solo nell’affrontare l’imminente crisi dovuta al virus Sars-Cov-2. ‘Hack the crisis’ è un movimento globale, lanciato dall’acceleratore estone Garage48 e già organizzato in Germania, Finlandia, Estonia, Lettonia, Danimarca e altri, al quale un gruppo di volontari della comunità startup italiana si è unito per portare lo stesso movimento in Italia. Leggi anche: La pandemia ci restituirà un mondo ecosostenibile? L’intervista a Stefano Ciafani di Aldo Torchiaro

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