Convenzione di Istanbul boicottata, che fine faranno le conquiste delle donne?

La Convenzione di Istanbul arriva al suo decimo compleanno. A che punto ci troviamo in merito a diritti e parità di genere?

Naomi Di Roberto
Naomi Di Roberto
Naomi Di Roberto, classe 1996. Sono una giovane giornalista pubblicista abruzzese, scrivo di temi globali, scienza e geopolitica. Ho una laureata in Lettere, una Magistrale in Editoria e Giornalismo ed un Master in "Comunicazione della scienza/giornalismo scientifico". Nella vita inseguo senza sosta il mio sogno: scrivere.
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Proprio nel mese di maggio decade il decimo anniversario della Convenzione di Istanbul, una svolta in chiave europea sulla prevenzione e sulla lotta alla violenza di genere.

La Convenzione di Istanbul è “il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma diviolenza”.

Questa si fonda su quattro pilastri fondamentali: prevenzione della violenza, la protezione delle vittime, azione penale, politiche nazionali efficaci, globali e coordinate. Su quest’ultimo punto parla proprio l’articolo 7 che spiega come i vari governi debbano mettere in campo strategie volte proprio al rispetto dei primi tre pilastri.

Molti governi, soprattutto quelli dell’ Europa dell’Est, ma anche associazioni antiabortiste, contro le persone LGBT+, nonché le realtà altamente cattoliche, sostengono che il documento vada contro i valori della famiglia tradizionale e del suo “ordine naturale”. Questo anche perché la Convenzione individuerebbe nella diseguaglianza tra uomini e donne e nella loro disparità in materia di diritti le principali cause della violenza di genere. Utilizzo questo “di genere” non a caso, perché è nei “ruoli” che tradizionalmente vengono assegnati alle persone di sesso maschile e a quelle di sesso femminile (con annessi stereotipi) che si riscontra la principale scaturigine della violenza e non-rispetto dell’altro.

Con genere , ricordiamo, “ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini”. Ed è proprio dalla “questione gender” che parte la questione internazionale che starebbe rimettendo in discussione proprio la Convenzione di Istanbul.

Ma andiamo per gradi.

Che cos’è la Convenzione di Istanbul?

Come detto anche in precedenza, la Convenzione di Istanbul è una Convenzione del Consiglio d’Europa che mira alla prevenzione ed alla lotta sulla violenza contro le donne e contro la violenza domestica. Il trattato viene firmato in Turchia nel 2011, entra in vigore ufficialmente nel 2014 e sancisce pari diritti tra uomini e donne.

La Convenzione riconosce la violenza di genere come violazione di diritti umani ed è giuridicamente vincolante per tutti i Paesi che l’hanno ratificata. Questi ultimi, in tutto, sarebbero circa 34 a cui si aggiungono poi i 12 che l’hanno solo firmata (Armenia, Bulgaria, Gran Bretagna, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Repubblica Ceca, Repubblica di Moldavia, Repubblica Slovacca, Ucraina, Ungheria, Unione Europea). L’Italia l’ha ratificata nel 2013. Tra i reati previsti nella Convenzione troviamo:

  • violenza psicologica (art. 33)
  • atti persecutori e/o stalking (art. 34)
  • violenza fisica (art. 35)
  • violenza sessuale e stupro (art. 36)
  • matrimonio forzato (art. 37)
  • mutilazioni genitali (art. 38)
  • aborto o sterilizzazione forzata (art. 39)
  • molestie sessuali (art. 40)

Ad ogni modo, questo documento rappresenta un passo avanti degno di nota a livello europeo circa protezione, sviluppo sociale ed integrazione dei cittadini. 

Che cos’è il Cedaw?

Il Cedaw, o Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, è stata firmata nel 1979 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite ed entra in vigore nel settembre dell’81. 

“Ogni distinzione, esclusione o restrizione, sulla base del sesso, che ha l’effetto o lo scopo di compromettere o annullare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, da parte delle donne, a prescindere dal loro stato civile, su una base di parità tra uomini e donne, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro campo, senza stereotipo di ruolo di genere”.

Gli Stati che hanno ratificano la Convenzione, sono tenuti a farsi portavoce della parità di genere abrogando tutte le disposizioni discriminatorie al loro interno. Oltre ciò, gli Stati devono munirsi di tutti gli strumenti necessari per la protezione delle donne. I sei Stati membri dell’ONU che non hanno ratificato la Convenzione sono l’Iran, Palau, Somalia, Sudan, Tonga e Stati Uniti; a non firmala proprio troviamo anche qui la Città del Vaticano. Fra questi ci sono anche Iran, Somalia, Sudan, realtà prettamente islamiche, ma anche Stati più piccoli come quello di Nauru e Tonga.

La supervisione dell’attuazione reale e concreta della Convenzione è compito del Comitato per l’eliminazione della discriminazione contro le donne, composto da ventitré membri preparati sul tema che si riunisce un paio di volte l’anno. Durante le riunioni il Comitato ha il compito di esaminare le relazioni sul rispetto delle disposizioni della Convenzione che le nazioni firmatarie sono tenute a presentare ogni quattro anni.

La Turchia si ritira dalla Convenzione di Istanbul

Convenzione di Istanbul
Immagine di tg24.sky

Solo pochi mesi fa, il 20 marzo, Recep Tayyip Erdogan ha ufficializzato il ritiro dalla Convenzione di Istanbul provocando non poche proteste e dissensi non solo a livello locale ma anche da parte dei grandi leader europei. “È una notizia devastante”, aveva affermato per prima Marija Pejčinović Burić, segretaria  generale del Consiglio Europeo, seguita da Ursula Von Der Leyen ha subito dichiarato su Twitter il suo pieno sostengo alla Convenzione.

Un qualcosa ribadito anche durante la conferenza stampa della donna, tenutasi dopo l’incidente del Sofagate. I due (Von Der Leyen e Charles Michel) si sono infatti mostrati preoccupati circa la decisione del ritiro della Turchia, il timore riguarda i possibili altri Paesi che possano seguire l’esempio turco vanificando gli sforzi dell’Ue. 

“Non riesco a trovare una giustificazione e devo concludere che quello che è successo è accaduto perché sono una donna” aveva spiegato la Presidente della Commissione in Parlamento Europeo.

C’è da sottolineare in effetti che, da quando Erdogan è al potere, il governo ha assunto sempre più caratteri di tipo autoritario negando diversi diritti e libertà. Secondo quanto riportato da il Corriere, le motivazioni del ritiro del Paese dalla Convenzione di Istanbul riguardano proprio le leggi nazionali che, secondo le autorità turche, sono sufficienti a garantire la protezione delle donne e la parità di genere.

Numerose sono state le proteste della popolazione femminile nelle principali città turche, manifestazioni che neanche il timore del Coronavirus e della pandemia sono riuscite a fermare. 

LEGGI ANCHE: Sofagate, Von der Leyen in imbarazzo, la Turchia ribatte: “Rispettati i protocolli”

La scia polacca

In generale, si può dire che la scia intrapresa da Erdogan sia un po’ quella cavalcata da Andrzej Duda il quale è stato tra coloro che maggiormente hanno attaccato la Convenzione. La Polonia è infatti  governata dal 2015 da Diritto e Giustizia, partito di estrema destra radicale, populista e sostenuto attivamente da parte delle influenti gerarchie ecclesiastiche. 

Tra i personaggi che maggiormente si sono distinti e “dissociati” dalle idee della Convenzione troviamo il Ministro della giustizia Zbigniew Ziobro definendola “un’invenzione, una creazione femminista volta a giustificare l’ideologia gay”

Ziobro aveva inoltre sostenuto che la Convenzione violasse “i diritti dei genitori” chiedendo alle scuole di insegnare ai bambini che il sesso è una scelta.

Su questa scia, l’associazione fondamentalista e ultraconservatrice Ordo Iuris ha così presentato un progetto di legge sostenuto da 150 mila firme chiamato “Si alla famiglia, no al gender”. Questo progetto di legge chiede, insomma, di ritirare la Polonia dalla Convenzione di Istanbul e di istituire un organo consultivo che sviluppi un nuovo documento internazionale sostitutiva basato sul rispetto dei diritti della famiglia. Secondo quanto dichiarato da IlPost, nel testo si parlerebbe proprio questi diritti delle famiglie, diritti minacciati e che necessitano di ulteriore protezione.

La teoria del gender secondo Papa Francesco

Proprio il mese scorso, ad aprile, Papa Francesco ha espresso apertamente la sua opinione in merito alla teoria gender, oggetto di diverse critiche nel mondo cattolico. 

“La cultura moderna e contemporanea ha aperto nuovi spazi, nuove libertà e nuove profondità per l’arricchimento della comprensione di questa differenza. Ma ha introdotto anche molti dubbi e molto scetticismo. Per esempio, io mi domando, se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa. Eh, rischiamo di fare un passo indietro. La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione” 

Durante quest’udienza, dedicata in primis alla famiglia, Bergoglio ha inoltre sottolineato che:

“Per risolvere i loro problemi di relazione, l’uomo e la donna devono parlarsi di più, ascoltarsi di più, conoscersi di più, volersi bene di più. Devono trattarsi con rispetto e cooperare con amicizia. Con queste basi umane, sostenute dalla grazia di Dio, è possibile progettare l’unione matrimoniale e familiare per tutta la vita. Il legame matrimoniale e familiare è una cosa seria, e lo è per tutti, non solo per i credenti”.

I nemici della Convenzione di Istanbul

Convenzione di Istanbul boicottata, che fine faranno le conquiste delle donne?
Immagine di Lifegate

Organizzazioni antiabortiste, conservatori cattolici, i contrari ai diritti delle persone LGBT+, governi semi-autoritari dell’Est Europa sono solo alcuni dei nemici della Convenzione di Istanbul. Questi governi, in generale, sostengono che il documento vada contro i valori della famiglia tradizionale e del suo “ordine naturale”. Tanti Paesi hanno così deciso di non ratificare la Convenzione proprio per opporsi a queste “ideologia gender” che la Convenzione di Istanbul “promuoverebbe”.

Come dichiara anche TheVision, la carta utilizza il termine “genere” presente da anni nel linguaggio scientifico e giuridico a integrazione di quella di “sesso biologico”. Per i detrattori, questa nozione cancellerebbe però le differenze “naturali” tra uomini e donne, “promuovendo un’agenda omosessualista”. In merito a queste accuse, il Consiglio d’Europa ha sottolineato più volte che l’obbiettivo principale della Convenzione è combattere la violenza di genere e quella domestica, inoltre non menziona esplicitamente il matrimonio tra persone dello stesso sesso. In ogni caso, ciò non ha fermato realtà come Ungheria o come la Slovacchia, realtà in cui il Parlamento ha respinto il trattato insistendo che è in contrasto con la definizione costituzionale del matrimonio come unione eterosessuale.

Questi argomenti sono ancora oggi fortemente discussi anche in Italia, utilizzati per opporsi alla legge Zan.

LEGGI ANCHE: Donne in piazza contro Erdogan: ecco perché la Turchia è uscita dalla Convenzione di Istanbul

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