“Io trattato come un animale all’ospedale perché straniero”

È la storia di Baryali Waiz, studente afghano, in Italia da più di 11 anni. “Appena ha letto i miei documenti, l’infermiere ha assunto un atteggiamento aggressivo. Ho avuto paura, voleva picchiarmi”.

Elza Coculo
Elza Coculo
Elza Coculo, 30 anni, di adozione romana. Lettrice appassionata con formazione in Studi italiani. Laureata in Editoria e Scrittura. Redattrice per Il Digitale. Amo scrivere di attualità e cultura eco-sostenibile.
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In un momento in cui tutto il mondo guarda all’America e alza il pugno per dire ‘no’ alle discriminazioni razziali, la storia raccontata da Baryali Waiz, lascia uno strano amaro in bocca. Baryali è uno studente della John Cabot di Roma, è originario dell’Afghanistan ed è arrivato in Italia più di 11 anni fa. È fuggito da un paese in guerra e qui si è ricostruito un futuro. Ora, però, è spaventato e impaurito per quanto gli è accaduto lo scorso 6 giugno all’ospedale Regina Margherita di Roma. Con voce spezzata ha raccontato a TPI:

Mi hanno trattato come un animale. Appena ha letto i miei documenti, l’infermiere ha assunto un atteggiamento aggressivo. Ha iniziato a dirmi frasi del tipo ‘che vuoi qua?’, ‘non è casa tua qui’, ‘non hai nessuno diritto’. Ho avuto paura e voleva picchiarmi.

“Avevo solo bisogno di informazioni per il Test Covid”

Baryali Waiz è un mediatore culturale e uno studente. Originario di Kabul, per fuggire dalla guerra, è arrivato in Italia a piedi, percorrendo oltre 5.000 km. Parla sette lingue e grazie a una generosa borsa di studio offertagli da un imprenditore iraniano ha potuto intraprendere gli studi. Ora è in lista delle preferenze della Columbia per un master a New York. In Italia da oltre 11 anni, ha sempre lavorato con contratto e pagato regolarmente le tasse. Nell’immediato futuro c’è un nuovo progetto che coinvolgerà studenti e persone anziane e per questo Baryali voleva fare il test per il Covid. Ha raccontato:

A Roma non ho ancora un medico di base, il mio è lontano, e venerdì avevo deciso di informarmi meglio sulla possibilità di effettuare il test per il Covid-19 prima di iniziare i nuovi corsi con studenti e persone anziane. Così sono andato alla guardia medica dell’ospedale nuovo Regina Margherita, quella disponibile anche per turisti.

Quando sono entrato non c’era nessuno, soltanto l’infermiere che prende le registrazioni e scrive i nomi in lista. La sala era vuota, ho salutato, mi sono messo seduto e ho lasciato i miei documenti. Appena l’infermiere li ha letti ha assunto un atteggiamento ostile. Mi ha detto “che vuoi, qua che vuoi?”. Io ho risposto che non volevo niente, che avevo bisogno solo di alcune informazioni.

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“Vai al San Giovanni”

La situazione all’ospedale Regina Margherita è degenerata rapidamente. Baryali Waiz si è presentato all’infermiere, gli ha detto che era uno studente, ma non c’è stato verso di farsi ascoltare. Ha raccontato:

Ma niente, lui ha cominciato a urlare “Esci da qui altrimenti te meno”, ti picchio in romano. Mi spingeva, urlava e non veniva nessuno, mi ha detto tante parolacce, mi ha dato del “delinquente”. Quando sono arrivato, forse perché vestito bene, mi ha scambiato per un turista. Ma quando ha letto i documenti ha dato in escandescenze, è cambiato improvvisamente.

Non avevo modo di parlare, lui ripeteva “Stai zitto”. “Qua non è casa tua”. A un certo punto sono arrivati alcuni medici, mi hanno portato un po’ lontano per proteggermi perché l’infermiere si era fatto molto aggressivo e voleva picchiarmi. I medici hanno minimizzato la cosa e mi hanno detto “vai al san Giovanni”. Sono uscito e ho cercato aiuto. Ho chiamato il 112 e sono arrivati i carabinieri.

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“È normale tutto questo?”

Quando i carabinieri sono arrivati al Regina Margherita e sono entrati nella guardia medica, l’infermiere era ancora circondato dai tre medici. Appena ha visto tornare lo studente lo ha additato chiamandolo ancora “delinquente”. Ma Baryali era sicuro di quanto accaduto e non ha esitato a chiedere ai carabinieri di controllare le telecamere se lo avessero ritenuto necessario. Ha detto:

Io non ho fatto niente e sono stato aggredito in questo modo. I carabinieri volevano fare una mediazione, ma io ero stato pesantemente aggredito e volevo sporgere denuncia. Così mi sono recato al comando di via Garibaldi e ho raccontato l’accaduto. Non sono soddisfatto di come è stata redatta la denuncia e mi sto muovendo con dei legali e l’ufficio antidiscriminazione di Unar e di Asgi.

Quell’uomo ha cercato di picchiarmi tante volte. Sono traumatizzato da quello che è successo, ho paura anche uscire di casa. Sempre più spesso, negli uffici pubblici mi sta succedendo di aver paura di mostrare i miei documenti perché non mi trattano come una persona, ma come un animale. E infatti mostro solo la tessera della John Cabot perché lì non c’è scritto da dove vengo. È normale tutto questo?

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L’ospedale non vuole rispondere

La testata TPI, che ha intervistato Baryali, rende noto che più volte, via mail e per telefono, la redazione ha sollecitato la Asl Roma1, referente per la guardia medica dell’ospedale Regina Margherita. Mai nessuna risposta o commento su quanto accaduto è arrivato. Al momento Baryali Waiz ha sporto denuncia presso i Carabinieri e la legge farà il suo corso. A chiusura dell’intervista Baryali ha concluso:

È vero che non sono italiano, ma ho diritto a vivere qui: studio alla John Cabot studio con una borsa di studio completa che ho vinto con i miei sacrifici. Sono nella lista delle preferenze della Columbia per un master a New York. Lavoro per mantenermi con un contratto regolare, vivo e lavoro qui da 11 anni, ho sempre lavorato, pagato le tasse, ho sempre avuto il contratto. Ora mi ritrovo a dovermi giustificare per dei diritti che dovrebbero essere comunque garantiti a tutti.

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di Elza Coculo

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Elza Coculo, 30 anni, di adozione romana. Lettrice appassionata con formazione in Studi italiani. Laureata in Editoria e Scrittura. Redattrice per Il Digitale. Amo scrivere di attualità e cultura eco-sostenibile.
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