Far diventare il proprio figlio un baby influencer è cosa buona e giusta?

Sempre più spesso sul web, i genitori decidono di mostrare i loro figli minorenni. Quali rischi comporta questa eccessiva esposizione mediatica?

Melissa Matiddi
Melissa Matiddi
Esperta in comunicazione e digital marketing, studia lo yoga e le discipline orientali. Ama creare, leggere e viaggiare. Silenziosa ma rumorosa, è sempre pronta a varcare nuovi orizzonti.
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Far diventare il proprio figlio un baby influencer è cosa buona e giusta? Sui social Tiktok ed Instangram, stanno letteralmente spopolando profili in cui i bambini sono delle vere star.

Gli account vengono gestiti dai genitori che, convinti di creare solo video divertenti e virali, trasformano i loro figli in content viventi. Minando la crescita e lo sviluppo, li portano direttamente nella bocca affamata del web che inghiotte e divora ogni cosa.

Ma quali sono i rischi di divulgare le immagini e i video di minori e perché i genitori decidono di trapanare la privacy dei loro bambini in cambio di un po’ di visibilità?

Il fenomeno dei baby influencer: quando i bambini si comportano da adulti

I baby influencer, le nuove star del web, pronte a rubarci un sorriso, a farci mettere like e persino a spingerci a guardare e riguardare più volte lo stesso video, altro non sono che delle vittime, costrette ad indossare il ruolo di adulti e ad assumere atteggiamenti per niente infantili.

Gestiti dai genitori registi che suggeriscono battute, pose, frecciatine e movimenti, vengono macinati e masticati dagli algoritmi social. Sono moltissimi i profili di bimbi che si mostrano in atteggiamenti divertenti davanti alla video camera solo per compiacere mamma e papà, schiavi di un business a cui non riescono proprio a sottrarsi.

Agli occhi dei followers viene raccontata una realtà piacevole e spassosa: bambini vivaci giocano, mostrando al web battute, comportamenti e dando persino suggerimenti. Peccato però che la preparazione di questi video e l’acquisizione dei personaggi che vestono non sia proprio consigliata a quell’età.

Si tratta infatti di rispettare le scadenze pattuite con le collaborazioni, di procedere a dei veri e propri rituali di bellezza per fissare trucco e parrucco e compiere un ripasso meticoloso di tutte le espressioni, vocali e facciali, da mostrare davanti la videocamera. Più che un gioco, sembrerebbe un lavoro a tutti gli effetti, ma questo i genitori non lo sanno, o molto probabilmente lo ignorano.

Baby influencer: il caso di Wren Eleanor

Tutto è scoppiato quando, la comunità di Tiktok ha creato un movimento per richiedere l’eliminazione di video in cui sono presenti minori.

Le polemiche sull’account di una bimba di 3 anni, Wren Eleanor, hanno aumentato l’attrito nei riguardi della questione. La baby influencer, non solo ha collezionato oltre 17 milioni di follower, ma detiene il maggior numero di entrate per collaborazioni, quasi 13mila euro a post.

Il profilo dell’angioletto, occhi blu e capelli biondi, balza subito all’occhio per contenuti esplicitamente sessuali. I video sembrano quasi essere destinati agli orchi del web, dal momento che sono volutamente maliziosi.

Eleanor riceve giornalmente moltissimi commenti inappropriati da uomini adulti che esprimono le proprie reazioni e che salvano i filmati in cui la bambina mangia cibi dalla forma fallica o si mostra mentre fa il bagnetto.

Questo spettacolo, se così si può definire, fa venire i brividi: i minori vengono strumentalizzati, esposti a delle situazioni molto pericolose, compromessi nella salute mentale, nella privacy e ipersessualizzati da chiunque possieda una connessione internet.

Baby influencer: cosa dice la Legge italiana

La Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 20 novembre 1989, e recepita dall’Italia con Legge 176 del 27 maggio del 1991, stabilisce:

Nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza, e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione.

Il GDPR attuato nel 2018, ha posto l’attenzione sulla protezione dei dati dei minori, stabilendo a 14 anni, l’età per il consenso digitale.

Leggi anche: Che cos’è lo sharenting e quali rischi comporta per i bambini

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